X-Men: Dark Phoenix – La recensione senza spoiler

X-Men: Dark Phoenix

X-Men: Dark Phoenix ha il poco invidiabile compito di essere, verosimilmente, l’ultimo film Marvel prodotto dalla Fox, prima dell’effettività del merger con la Disney.

Poco invidiabile perché, con un peso simile sulle spalle, la tragedia narrativo-produttiva è veramente dietro l’angolo.

La recensione di X-Men: Dark Phoenix, ultimo film della saga mutante Marvel iniziata quasi 20 anni fa da Bryan Singer

Per la seconda volta Fox cerca di adattare una delle saghe più importanti della storia del fumetto supereroistico mondiale.

E per la seconda volta fallisce miseramente nei suoi intenti.

Scritto e diretto, in mezzo ad una continua valanga di problemi e reshoot, da Simon Kinberg, la pellicola sembra una dichiarazione d’intenti del regista e produttore anglo-americano nei riguardi dell’amatissimo personaggio di Jean Grey.

Kinberg aveva già messo le mani, assieme a Zak Penn, sulla saga della Fenice Nera nel contestatissimo X-Men: Conflitto Finale, dimostrando di non aver capito nulla della psiche della Grey e delle dinamiche superbamente raccontate da Claremont a cavallo fra gli anni ’70 e ’80.

Raccontare gli struggimenti di una Jean Grey in preda ad una overdose di potere cosmico, senza prima aver raccontato la Jean “normale” e la Fenice “standard” è un disastro annunciato nella maggior parte dei casi.

Questa volta, a differenza del 2006, non ci sono nemmeno prove attoriali di rilievo a tentare di correggere il tiro.

McAvoy e Fassbender, da tempo i pilastri sui quali si regge il nuovo corso del franchise, appaiono svogliati e poco coinvolti, Jennifer Lawrence non fa altro che alternare la resting bitch face di Mystica alla sua naturale (J-Law, abbiamo capito che non ne puoi più di farti truccare, non c’era bisogno di essere così esplicita).

Sophie Turner, il vero fulcro della pellicola, appare legnosa, fredda, persino immatura laddove l’essenza stessa di Fenice è vero e proprio fuoco cosmico, ardore bruciante di passione e perdita del controllo.

Evidentemente il passaggio dai ghiacci di Winterfell al fuoco dell’uccello galattico portatore di vita non è stato così semplice.

X-Men: Dark Phoenix

Il film compie un balzo all’indietro anche nell’accettare i topoi superomistici ormai più che sdoganati dal MCU

Nel 2019, per amor di Galactus, il pubblico anche più generalista è ormai smaliziato a sufficienza da poter “accettare” di vedere sul grande schermo eroi in costumi sgargianti che combattono.

Sono passati, a livello culturale, molto più di 19 anni da quando i mutanti dovevano girare vestiti da motociclisti per evitare di far ridere gli astanti.

Ma Kinberg e soci sembrano essersene dimenticati, tanto che gli eroi del film, a parte una mediamente breve sequenza d’apertura (tra l’altro, l’unica davvero entusiasmante), passano la totalità della pellicola a combattere in camicia, pantaloni e t-shirt.

Non è questo che si intende quando si dice, a proposito degli eroi Marvel, la frase: “come for the capes stay for the people“.

In un mondo in cui un film con al suo interno un albero, un procione, un semi-dio panzone e una valanga di altri tizi strambi che combattono un tizio viola altrettanto inverosimile, incassa quasi 3 miliardi di dollari e l’idea di una sua presenza alla Notte degli Oscar non fa venire il mal di pancia dalle risate, vedere il trattamento riservato alla liturgia dei costumi da Kinberg e soci fa imbestialire.

Ancora più delle scelte narrative legate al personaggio di una ingessatissima Jessica Chastain e alla sua ridicola back-story.

Il film pecca in quasi tutti gli ambiti: ha un pacing noiosissimo, un tremendamente blando cast di supporto, scelte narrative e micro-narrative al di là del pietoso (per chi l’ha visto: Nightcrawler sul treno), coreografia delle scene action confusionaria.

Non avevo grossissime aspettative, soprattutto dopo il mediamente deludente Apocalypse, ma non pensavo certo che entrando in sala mi sarei trovato davanti ad un film rigido, vecchio, svogliato, raffazzonato.

Oltretutto X-Men: Dark Phoenix è ambientato in un 1992 che serve solo da specchietto per le allodole atto a far salivare i fan della serie animata degli anni ’90 ma che non ha alcuna reale attinenza con quel periodo storico.

Nessuno sforzo produttivo, nessun richiamo agli anni ’90, nemmeno una cavolo di canzone.

Dark Phoenix è forse la più grande delusione targata Marvel mai vista al cinema di recente, ma davvero non ha nemmeno un pregio?

Eppure, persino un disastro come questo film ha qualche qualità positiva.

Nicholas Hoult è sufficientemente in parte nel ruolo di Hank McCoy/Bestia, anche se passa tre quarti del film in versione “non pelosa”, per chissà quali esigenze contrattuali.

Inoltre è sempre e comunque interessante l’istanza (o almeno, il tentativo d’istanza) proto-femminista e pseudo inclusiva, del quale la storia cerca di farsi carico nei primi minuti ma che va a perdersi miseramente nel finale.

Rimane la certezza che Hollywood si è finalmente accorta delle donne, soprattutto nell’ambito action-supereroistico-scifi e, fra una pila di spazzatura e un film ben fatto, la strada da percorrere è quella giusta.

Un’altra qualità positiva di questo film è che è talmente brutto che ti fa apprezzare ancora di più l’acquisto di Fox da parte della Disney.

I mutanti stanno tornando a casa, ora è tutto nelle mani di Kevin Feige e compagnia.

Speriamo in bene.