Galeotti furono i Gunpla, ennesima materializzazione del mio spirito nerd alla quale ho a lungo resistito (e galeotti furono i miei demoniaci amici Luca e Mattia, che mi spinsero nel baratro).
La versione modellistica e plasticosa della pletora infinita di Mobile Suit sono stati la mia tardiva porta d’ingresso verso il mondo partorito nel 1979 dalla fervida fantasia antimilitarista e pacifista di Yoshiyuki Tomino.
Fra pochissimo ci ritroveremo a festeggiare i 40 anni esatti dalla prima messa in onda di Mobile Suit Gundam, tutt’ora la sua creazione più famosa; e la prima serie, con le sue tematiche che sembrano, oggi più che mai, attuali
Netflix, che punta molto sugli anime e, mark my words, punterà sempre di più sull’animazione nipponica dopo che Disney+ avrà fatto il suo trionfante ingresso nelle nostre vite, ha in catalogo sia la serie originale che quella dedicata al MS monocornuto presente a grandezza naturale a Tokyo, presso la baia di Odaiba (il Gundam RX-0 Unicorn).
Mi piacerebbe, nell’ambito di una serie di articoli che cercherà il più possibile di addentrarsi nel mondo Gundamiano, rivedere e rileggere la serie originale affiancandola ai prodotti più recenti del medesimo franchise, per effettuare una riflessione generale (a grandi linee eh, non è mia intenzione tediarvi oltre una certa soglia) sul robottone che ha ucciso i robottoni, facendoli rinascere.
Non tanto facendo una serie di recensioni vere e proprie, ma andando a raccontarvi sensazioni e stati d’animo particolari legati al franchise, con gli occhi di uno che gli è gravitato attorno fintamente disinteressato per anni, finendo poi per essere inesorabilmente risucchiato in un buco nero di modellini, manga e serie anime.
Questa serie di articoli si andrà ad intersecare, spero, con l’arrivo sulla piattaforma di Los Gatos dell’“altra” serie robotica che ha rivoluzionato il mondo dell’animazione: Neon Genesis Evangelion.
NGE è la mia serie anime preferita e, in un certo senso, è debitrice a Mobile Suit Gundam per tematiche e svolgimento, anche se in NGE alcuni temi gundamiani sono ribaltati fino ad essere quasi irriconoscibili.
Facciamo che vi parlerò anche di Eva, dai.
Ma non divaghiamo, questo inizio sarà dedicato unicamente a Tomino-sensei (che poi, come fai a non amare uno che si chiama “Tomino”? Quante grigliate in gioventù!)
Partiamo quindi, con quel bagno di sangue e tragedia che è Mobile Suit Gundam (Kidō Senshi Gundam-1979, su Netflix adesso, in casa vostra).
Nata come risposta personale di Tomino all’epopea ormai sbiadita, all’epoca, dei cosiddetti super-robot, che non si scaricavano mai, non perdevano mai e, soprattutto, sembravano non avere prerogative responsabilistiche per i loro avventati e giovani piloti, la storia di Amuro Ray è, per mettere subito le cose in chiaro, la storia di un soldato bambino che perde la propria anima nell’orrore inutile ed insensato della guerra.
Amuro parte come un ragazzino immaturo ed un filo str**zo se posso permettermi, ed in una decina di puntate diventa un militare spietato, come quando spara con l’intenzione di uccidere ad un soldato di Zeon mentre sua madre, che tentava di proteggerlo con l’unica arma a sua disposizione (l’amore) lo guarda inorridita e senza riconoscerlo a pieno.
Mobile Suit Gundam è il frutto della visione del suo creatore non solo nei confronti, come detto, del genere mecha, ma anche nei riguardi della vita stessa, avendo per anni combattuto lo spettro orrendo della depressione; e questa è un’altra cosa che lo avvicina ad Hideaki Anno e ad Evangelion, se vogliamo.
Come ho già detto all’inizio del pezzo, non intendo fare una vera e propria recensione di Mobile Suit Gundam, d’altronde parliamo di un anime del quale quest’anno festeggiamo i 40 anni e, per quanto sarebbe carino recensirlo come se fosse appena uscito, si tratterebbe solo di un divertissement senza grosso valore aggiunto.
Lo scopo di questo articolo e, si spera, del resto di questa “serie”, è di suggerirvi momenti particolari durante i quali mi sono reso conto di trovarmi davanti a qualcosa di davvero “diverso”.
Si tratta in questo caso di un momento precisissimo, identificato da una puntata, la 14, che vede Amuro e gli altri abitanti della Base Bianca alle prese con uno sparuto gruppo di soldati di Zeon, caratterizzati in modo assolutamente maturo (sono solo uomini, che non vedono l’ora di tornare a casa e di smettere di combattere) e decisi ad affrontare il candido robot con tecniche di guerriglia.
A bordo di moto volanti, come delle vespe aggrediscono il MS di Amuro, applicando alla sua corazza una serie di esplosivi a tempo che, se lasciati dove sono, porterebbero alla completa distruzione del robot.
Amuro se ne accorge e, sotto lo sguardo terrorizzato dei suoi compagni d’arme e quello sinceramente ammirato dei suoi “avversari”, disinnesca tutte le bombe in extremis, salvando capre, cavoli e robottoni.
I suddetti nemici, dopo aver assistito a tale atto d’immaturo ma enorme eroismo, si dichiarano sinceramente curiosi di “guardare negli occhi quel pazzo coraggioso d’un pilota” e, smesse le loro divise ed indossati panni civili, si spingono in incognito (fingono di essere semplici turisti / girovaghi) fino alla Base Bianca, sotto la quale, ai piedi anche del Gundam, Amuro e gli altri si stanno riprendendo dalla tensione del salvataggio.
Ne segue un breve dialogo, privo di tensioni negative, fra esseri umani divisi solo da stemmi e mostrine su inutili divise.
In una “piccola” scena Tomino mostra, spogliandola di ogni sovrastruttura materiale ed etica, la violenta stupidità della guerra e come essa giunga a stravolgere equilibri precostituiti fra esseri viventi che, in realtà, potrebbero vivere tranquillamente spalla a spalla senza nuocersi.
E questa è solo una delle tante scene in cui due opposte fazioni si ritrovano, sotto mentite spoglie, a confrontarsi come esseri umani e non come militari.
Una volta, parlando di Thanos, Freud e Nietzsche (cosa che, chissà, farò anche a queste latitudini prima o poi) conclusi con la frase “e pensare che in teoria son solo filmetti di idioti in costume”.
Non credo sia fuori luogo parafrasarmi in questo caso.
“E pensare che dovrebbe essere semplicemente un cartone giapponese”.