Megan: c’è una nuova bambola assassina in città – Recensione

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Il 4 gennaio scorso è uscito nelle sale italiane Megan (reso graficamente come M3GAN), film horror distribuito dalla Universal Pictures e primo vero “caso” cinematografico del 2023.

Diretta da Gerard Johnstone e prodotta dalla Blumhouse di Jason Blum, quella di Get Out, Nope, Paranormal Activity, la pellicola è co-sceneggiata da James Wan, la mente dietro alle saghe di Conjuring e Annabelle che qui prosegue con il suo feticcio verso le bambole, considerando anche Dead Silence, sempre diretto da Wan.

Il giocattolo perfetto

Gemma è una giovane ingegnere robotica di un’azienda di giocattoli che, alla ricerca del giocattolo perfetto, dopo che il precedente progetto (un versione high tech del Furby) è stata copiata dalla concorrenza. Il risultato della ricerca è Megan, che sta per Model 3 Generative ANdroid, bambola robotica dotata di un sistema di auto apprendimento talmente sofisticato che nessuno potrà copiare e che nemmeno la stessa Gemma è in grado di comprendere fino in fondo.

Probabilmente non avendo mai visto 2001: Odissea nello spazio, o qualsiasi altro film dove un’intelligenza artificiale si ribella al suo creatore, Gemma affida la bambola alla nipote Cadie dopo esserne diventata la tutrice legale, causa la scomparsa dei genitori della piccola in un incidente stradale.

Megan è per Cadie l’amica perfetta, quella che ti ascolta sempre, che c’è sempre quando ne hai bisogno, che ti aiuta nei momenti di sconforto e infelicità, l’amica pronta a tutto per “soddisfare le richieste dell’utente primario”. La bambola, tuttavia, serve soprattutto a Gemma per parcheggiare una nipote chele interessa poco o niente.

Le attenzioni del robot giocattolo nei confronti della ragazzina ben presto vanno al di là dell’attaccamento affettivo e le prime vittime di questa morbosità non tardano ad arrivare, in barba a tutte le leggi di Asimov. Con delle premesse del genere era lecito aspettarsi il classico horror jump scare, ormai diventato l’unico tipo di cinema in grado di portare il pubblico generalista in sala, insieme ai cinecomic Marvel.

Megan, però, non è il film horror che vci si può aspettare.

Megan è essenzialmente un B-Movie

Cos’è un B Movie? È un film a basso budget che ha lo scopo di intrattenere lo spettatore senza troppi fronzoli, ma con un sacco di trovate per sopperire alla mancanza di fondi.

Megan è costato “soltanto” 12 milioni di dollari e quindi, per gli standard di Hollywood, va catalogato come un film a basso budget, ovvero un B Movie, ma nel senso positivo del termine: costato poco, ha incassato molto, arrivando addirittura a spodestare il sequel di Avatar dal primo posto. Insomma, ha tutte le stigmate per diventare un cult movie. Ed è proprio questo l’obbiettivo di Wan e Blum, far divertire senza preoccuparsi di dare troppa coerenza alla sceneggiatura e fregarsene del realismo. Lo scopo è di realizzare un film divertente e d’intrattenimento e l’obbiettivo viene pienamente centrato: oltre ad essere un film di fantascienza a tinte horror, Megan è anche una dark comedy, appurato anche dallo stesso regista in un’intervista a The Playlist: “Adoro che le persone parlino di quanto sia divertente. Mi piace pensare che sia il mio tocco al film”.

La scena del ballo è volutamente un momento comico demenziale, ma questo non toglie che, subito dopo aver mostrato gli agili passi di danza da bambola, Megan compie un duplice omicidio rubando la lama di un tagliacarte; un attimo prima vediamo la bambola cantare canzoni in versione Disney e subito dopo la vediamo guadare minacciosa la vicina di casa.

Megan è un film che merita di essere visto, che ha già creato una nuova icona del cinema di genere e che con ogni probabilità vedrà il realizzarsi di sequel e spin off, visto anche il finale aperto.

ar combaciare commedia e horror è un sentiero pericoloso da percorrere e rischiare di scadere nel ridicolo e fin troppo facile, tuttavia Megan riesce a restare sul sentiero senza inciampare e portando a casa il risultato. Non manca neanche il messaggio  educativo del film, nemmeno toppo nascosto: lasciare i figli davanti a smartphone e tablet, invece che occuparsi della loro educazione, è un modo per facilitare il lavoro del genitore ma anche un rischio che può portare a conseguenze inaspettate.

Visivamente ben realizzato, con una serie di inquadrature sulla bambola che, pur essendo inerte, riesce a trasmettere un senso di inquietudine che porta a chiedersi come possa accadere che una bambina provi affetto verso quell’essere tecnologico.

Il corpo (e la voce) dietro alla bambola

La presenza scenica di Megan è merito di chi l’ha saputa inquadrare ma anche di chi l’ha interpretata.

Per creare un’icona serve avere il look giusto e una presenza scenica d’impatto, realizzata dallo sguardo del regista, o chi per esso, dal reparto costumi e dall’aderenza degli effetti speciali, pratici o in CGI, al personaggio. Ma serve anche un interprete che calzi a pennello e, in questo caso, ci sono volute due attrici: Amie Donald e Jenna Davis. La Donald alla “veneranda” età di 12 anni  vanta un curriculum da stunt girl e ballerina veramente promettente, avendo già partecipato alla serie Sweet Tooth ed a Avatar: la via dell’acqua. La scena del balletto di Megan ne dimostra le capacità, come se non bastassero le vari medaglie vinte nei vari campionati mondiali. A prestare la voce ci ha pensato, invece la Davis, 19enne attrice con all’attivo film e serie a partire dal 2014.

Il resto del cast vede Allison Williams interpretare Gemma, alla seconda collaborazione con Jason Blum dopo Get Out; la piccola Violet McGraw è Cadie, Ronny Chieng è il capo arrivista di Gemma, Jan Van Epps e Brian Jordan Alvarez sono i colleghi mentre Lori Dungey interpreta la vicina di casa leggermente fastidiosa.

Direttamente dagli anni 80

Se nel leggere la trama vi sembra di aver già sentito qualcosa di simile è perché avete ragione. I riferimenti e gli spunti da cui prende questo film sono molti ma su tutti, il primo film che torna in mente, dopo aver letto la storia, è La bambola assassina del 1988, prima scorribanda di Chucky, che ha dato inizio ad una saga composta da 6 sequel, un remake e una recente serie TV.

Visivamente, però, la prima grossa citazione viene da un atra icona degli anni 80, il poliziotto cyborg Robocop. Nel film di Paul Verhoeven quando il robot viene acceso per la prima volta gli viene mostrata una penna che deve seguire con lo sguardo, tutto visto dalla prospettiva di Robocop. Questa scena viene riportata pari pari all’accensione di Megan, riferimento a Robocop che prosegue anche con lo scontro finale con un altro robot più grosso (L’ED209 per Robocop, Bruce per Megan).

Anche Terminator (1984) viene citato dagli scatti che la bambola fa con la testa che ricordano le movenze di Schwarzenegger.