Okja, ecologia e globalizzazione sbarcano su Netflix

Di Manuel Enrico 8 Min di lettura

Ecologia, eco-sostenibilità e globalizzazione sono i temi che animano Okja, il nuovo e discusso film disponibile su Netflix

Il percorso di Okja verso il grande pubblico è stato preceduto da una polemica durante lo scorso festival di Cannes. Oggetto del contendere la liceità di conferire ai prodotti di Netflix l’appartenenza al cinema che conta, quella schiera di pellicole che si contende premi come palme, orsi e leoni. Tralasciando la piattaforma di diffusione, il più moderno streaming al tradizionale schermo di una sala cinematografica, è indubbio che Okja sia un film che merita piena considerazione e soprattutto di esser giudicato per le emozioni che trasmette e non per il media con cui viene diffuso.

Okja è una storia che non nasconde mai il proprio animo profondamente animalista, un approccio che potrebbe renderlo  manifesto di una cultura che si oppone ad allevamenti intensivi, senza sfociare nel torbido territorio delle bufale internettiane o nel complottismo.

Bong Joon-ho, sceneggiatore e regista, continua un percorso personale iniziato con The host e Snowpiercer, ma abbandona il tono tetro in favore di un racconto più delicato, che pur essendo interessante per un pubblico adulto tenta di utilizzare uno stile che si adatti anche ad una platea di giovani e giovanissimi.

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Okja e Mija, protagoniste di Okja

La creazione del progetto del super maiale da parte della Mirando Corp è il punto di svolta nella gestione della fame del mondo, un’idea che presentata come un atto caritatevole verso la natura nasconde però un ben più concreto interesse economico. Per massimizzare questa scoperta, viene deciso di affidare i super maiali creati ad allevatori di diverse parti del mondo, nell’intento di scoprire quale sia il miglior luogo in cui crescere queste creature. Il progetto inizia nel 2007, con un orizzonte di 10 anni che culminerà nella premiazione del Miglior Super Maiale a New York.

All’interno di questo programma nasce l’amicizia di Mjia, adolescente coreana, e Okja, il super maiale affidato alle cure di suo nonno. Il rapporto bambino-creatura non è una novità, da ET di Spielberg fino alle opere di Miyazaki questo espediente narrativo è stato utilizzato per creare un’empatia tra storia e spettatore; Okja non fa eccezione, anzi preme molto su questo dettaglio, strutturando il tutto in modo da farci sentire parte di questa amicizia. Il perfetto equilibrio di musiche, fotografia e recitazione dei personaggi è studiato alla perfezione, ed in certi punti sembra di lasciare il mondo del cinema per entrare in un anime.

Joon-ho ha voluto portare lo spettatore in una storia doppia. Okja è come una moneta, che mostra inizialmente una faccia da storiella leggera, farcita di situazioni e personaggi divertenti e poco reali, ma che sarebbero perfetti in un anime. La rocambolesca fuga nella metro di Seul, le movenze di poliziotti ed eco-terroristi sono esagerate, ridicole a tratti, ma non varcano mai quel sottile confine che le trasformerebbe in farsa; l’intento di questa prima fase è esaltare la figura di Mija (magistrale An Seo Yuhn, da seguire la sua carriera), che deve apparire come il punto focale della vicenda.

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An Seo Yhun nel ruolo di Mija, l’eroica ragazzina protagonista di Okja

La giovane contadina viene esaltata in ogni modo, è il punto di rottura di un sistema che deve essere minato. L’iniziale confronto con il nonno per la sorte di Okja è il primo passo di una lotta del singolo contro la globalizzazione, il vero nemico della pellicola, una progressiva marcia verso la scomparsa di identità e individualità, chiave di lettura della scena in cui Mija cammina contro corrente su una scalinata gremita di gente, unica macchia di colore che si staglia nella marea grigia di una folla incolore e uniformata.

Okja costruisce un crescendo emotivo che nella prima metà della pellicola viene velato da una patina di comicità, complici le ottime interpretazioni di Tilda Swinton, Jake Gillenhall e Giancarlo Esposito, che riescono a rendere quasi machiettistico il proprio ruolo, lasciando però trapelare in alcune occasioni un’inattesa profondità (la confessione da ubriaco di Gillenhall è tragicomica). Il punto di svolta è l’arrivo in America, che si può intendere come un’accusa ad una società iper-consumistica vista come il grande male.

Il tono della pellicola cambia, si perde quella leggerezza vissuta finora, con una radicale variazione anche dell’impostazione dei colori, più freddi e cupi. La giovane Mjia deve affrontare la dura realtà, avatar dello spettatore che viene guidato in un viaggio da incubo all’interno di mattatoi e fredde e rigide dinamiche economiche. Il pubblico più giovane qui viene messo a dura prova, con il regista che sceglie di non nascondere nulla, ma anzi di focalizzare l’attenzione sull’emotività delle vittime, con primi piani strazianti sugli occhi (incredibilmente umani) di Okja. È un totale cambio di registro, una perdita dell’innocenza che Mjia vive in prima persona, trasmettendola a noi, destinatari del messaggio ecologista e sociale di Joon-ho.

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Okja è principalmente una delicata storia d’amicizia

Il difetto di Okja è proprio questo, il voler condensare in un film una serie di ottimi spunti che avrebbero avuto maggior senso in una miniserie, anche di due sole puntate. L’intento del regista è comprensibile, un pò troppo stereotipato in alcune parti, ma profondo e sentito a livello personale, ma il rovescio della medaglia è il condensare il tutto, con un ritmo troppo rapido che penalizza alcuni personaggi (gli eco-terroristi avrebbero meritato più tempo a schermo). Premere sull’emotività è un buon escamotage, specialmente col pubblico più giovane, ma per l’audience più matura queste sbavature si fanno più evidenti. Okja vuole sensibilizzare, eccedendo in vis narrativa magari, ma perché mossa da una volontà preoccupata da certe tematiche, che vuol raggiungere più cuori possibili, iniziando dai più puri, quelli giovani; l’errore forse è l’aver pensato il film diviso in due tempi, indirizzandoli a diversi target e non tentando di realizzare un unico vettore globale.

Nonostante questo, Okja rimane un film che va visto assolutamente, per la recitazione dei protagonisti, per l’incredibile carica emotiva che permea tutta la pellicola ed alcune scelte stilistiche che sono dei tocchi di classe. Dare a Okja un giudizio viziato da un contrasto con l’argomento trattato sarebbe un’ingiustizia, l’opera di Bong Joon-ho merita di esser considerata nel suo valore di racconto moderno, dalla morale controversa, ma innegabile.

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