Challenger: 35 anni fa la tragedia dello Space Shuttle

space shuttle challenger

Il 28 gennaio 1986 splendeva il sole sul Kennedy Space Center, nonostante le temperature ben al di sotto della norma per la Florida. 7 persone presero posto all’interno della cabina dello Space Shuttle Challenger, pronte a partire alla volta dello spazio. Oltre ai sei astronauti professionisti, tra di loro c’era anche Christa McAuliffe, un’insegnante della Concord High School selezionata nell’ambito del progetto Teacher in Space.

Christa era stata scelta per essere la prima di questo progetto, fortemente voluto dall’allora presidente statunitense Ronald Reagan. Una volta in orbita, avrebbe dovuto tenere una lezione trasmessa via satellite nelle scuole di tutto il paese.

Alle 11:38, ora locale, il Challenger decollò dalla piattaforma. 73 secondi dopo, la tragedia.

La tragedia dello Space Shuttle Challenger

Il nome della missione era STS-51-L, e doveva essere la venticinquesima missione portata avanti dallo Space Transportation System, il veicolo comunemente chiamato Shuttle. Sarebbe stato il decimo volo del Challenger, il secondo veicolo del programma costruito dopo il Columbia.

Facevano parte della missione 6 astronauti “professionisti”:

  • Dick Scobee, il comandante. Il più anziano ed esperto del gruppo. Aveva 46 anni
  • Michael John Smith, il pilota della missione. Al suo primo volo spaziale, aveva 40 anni
  • Judith Resnik, specialista di missione. È stata la seconda donna americana nello spazio. 36 anni
  • Ellison Onizuka, specialista di missione. Di origine giapponese ma nato alle Hawaii, aveva 39 anni
  • Ronald McNair, specialista di missione. Fisico con all’attiva già una missione, Ronald aveva 35 anni
  • Gregory Jarvis, specialista del carico. Ingegnere di formazione, all’epoca dei fatti aveva 41 anni

equipaggio challenger

Infine c’era Christa McAuliffe. Nata nel 1948, avrebbe compiuto 38 anni qualche mese dopo quello sciaguratissimo 28 gennaio. Superando la concorrenza di altri 11.000 candidati del programma Teacher in Space, Christa venne scelta come prima insegnante a volare nello spazio nel luglio del 1985. Come suo backup, un sostituto che sarebbe subentrato a Christa in caso di problemi, fu scelta Barbara Morgan.

Seguirono dicotto intensi mesi di addestramento come astronauta, oltre alla preparazione delle lezioni che Christa avrebbe dovuto tenere dall’orbita. Dopo aver salutato il marito, il figlio Scott e la figlia Caroline (che sarebbe a sua volta diventata, anni dopo, un’insegnante) Christa era pronta, insieme al resto dell’equipaggio, a lasciare la Terra alla volta dello spazio.

I problemi

La missione STS-51-L sarebbe dovuta partire il 22 gennaio 1986, ma varie problematiche costrinsero la NASA a rimandare il decollo di qualche giorno. Quel gennaio fu particolarmente rigido rispetto alla norma della Florida, fattore che le indagini successive giudicarono chiave per lo svolgimento del disastro.

Il componente, tra i milioni che componevano il Challenger, che fu ritenuto causa della tragedia fu un O-Ring. Si trattava di una guarnizione usata nel razzo a propellente solido destro, necessario per il sollevamento delle oltre 100 tonnellate del veicolo. La guarnizione non sarebbe stata in grado di assolvere alla sua funzione, in quanto le temperature rigide avrebbero messo a repentaglio la sua elasticità.

Inoltre, furono molti gli ingegneri che negli anni successivi parlarono di come il disastro fosse in un certo qual modo prevedibile. Secondo alcuni, non sussistevano le condizioni di sicurezza per la partenza del Challenger, ma queste voci non furono ascoltate dai piani alti dell’Agenzia Spaziale statunitense. Della vicenda parla ampiamente il documentario Challenger: l’ultimo volo prodotto da Neflix, di cui consigliamo la visione a chi fosse interessato a dettagli più approfonditi.

Il disastro

La rottura della guarnizione causò una fiammata visibile da mezzo secondo dopo il liftoff, durata meno di 3 secondi. Gli scarti della combustione tapparono temporaneamente la falla, bloccando l’emissione di fumo dal fianco del razzo a propellente solido.

58 secondi dopo il decollo, anche a causa di un fortissimo vento trasversale, il “tappo” si ruppe definitivamente. Questo decretò la perdita dell’integrità strutturale del razzo a propellente solido destro; a questo punto la traiettoria di volo era seriamente compromessa, anche se nei pochissimi secondi che restavano al Challenger i computer di volo cercarono di compensare queste spinte impreviste.

A 73,137 secondi dal decollo le strutture cedettero. Lo Space Shuttle Challenger viaggiava a quasi due volte la velocità del suono, e si trovava già ad un altitudine di 14 chilometri. Nonostante a quelle altezza l’aria sia già molto rarefatta, le altissime velocità facevano sì che questo fosse un momento del decollo in cui lo stress aerodinamico sul veicolo fosse vicino al massimo.

Portato fuori traiettoria ideale, e con un orientamento non adatto a fendere l’atmosfera con la minor resistenza possibile, il Challenger fu fatto a pezzi dalle forze aerodinamiche.

Non sappiamo l’esatto momento della morte dell’equipaggio, né la causa. Le forze in gioco al momento del disastro erano molto grandi, ma probabilmente non letali di per sé. La cabina dell’equipaggio resistette, almeno inizialmente; ma non ne conosciamo con esattezza lo stato d’integrità. Se decompressa, la bassissima pressione potrebbe aver portato l’equipaggio a perdere conoscenza molto rapidamente. Le tute di volo erano provviste di dispensatori d’aria, ma non erano adatta a lavorare alle pressioni di quelle altitudine. A 14 chilometri sul livello del mare, un essere umano sviene in pochi secondi.

La cabina di pilotaggio si schiantò in mare, 2 minuti e 45 secondi più tardi, alla micidiale velocità di 333 chilometri all’ora.

L’eredità dello Space Shuttle Challenger

A volte, quando cerchiamo di raggiungere le stelle, falliamo. Ma dobbiamo sollevarci nuovamente e andare avanti nonostante il dolore – Ronald Reagan

Dopo la tragedia, il programma STS si fermò per oltre due anni e mezzo. Durante questo tempo furono corretti gli errori di progettazione che portarono al disastro, e vennero sviluppati anche nuovi sistemi di sicurezza per la tutela della vita degli astronauti (che non avrebbero comunque avuto rilevanza nella fattispecie dell’incidente dello Space Shuttle Challenger).

La missione STS-26 decollò dal Kennedy Space Center il 29 settembre 1988 con lo Space Shuttle Discovery. I 5 astronauti a bordo portarono a termine con successo la loro missione. Il programma STS sarebbe andato avanti fino al 2011.

A Christa McAuliffe non potrebbe essere riconosciuto il titolo di “astronauta”. Esso sarebbe, a livello formale, assegnabile solo a coloro che abbiano volato ad un’altitudine superiore ai 100 chilometri. Ma per una volta possiamo soprassedere, e ricordare oggi, a 35 anni dal disastro dello Space Shuttle Challenger, i 7 astronauti che sono morti nel tentativo, attraverso le avversità, di raggiungere le stelle.

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