Joker – Recensione di un film emozionale e maestoso

Di Manuel Enrico 12 Min di lettura

Anticipato da una serie di lunghe polemiche sulla premiazione all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Joker è finalmente arrivato nei cinema italiani.

Quello del film di Todd Phillips è stato un esordio che subito ha dissipato ogni rimanente dubbio: a Venezia hanno riconosciuto il valore di un film che mette in scena un dramma umano che esula dal contesto fumettistico originale.

Non è facile esser un cinecomic, venire associati ad un genere considerato minore e cercare di farsi apprezzare come forma d’arte, soprattutto quando si mette al centro un protagonista come il Clown del Crimine, già portato al cinema da mostri sacri come Jack Nicholson o Heath Ledger.

Joker, l’origine della nemesi di Batman

All’annuncio di Joker, c’erano più perplessità che slanci ottimistici.

Todd Phillips non è un regista dalla grande fama, più noto per pellicole ironiche e demenziali (come il primo Una notte da leoni), con una produzione piuttosto debole. L’avere come protagonista lo storico avversario di Batman, mettendo in secondo piano il Cavaliere Oscuro, era un azzardo non da poco, soprattutto considerando che la vera storia delle origini di Joker non è mai stata raccontata. E qui si parla di un film che si basa interamente sull’origine della nemesi di Batman, si entra in sala per assistere alla nascita di uno dei più iconici villain della storia dei fumetti.

Phillips, aiutato alla sceneggiatura da Scott Silver, decide di avventurarsi in un terreno sfiorato in precedenza. Restando nel mondo del cinema, abbiamo assistito alla genesi di Joker nel primo film di Burton e alla mutevole storia del Clown del Crimine offerta dal compianto Heath Ledger. Si tratta comunque di racconti in cui l’ilare criminale viene mostrato sempre in relazione al Cavaliere Oscuro, mai come unico e solo protagonista.

Fino ad ora.

Gotham City, nel 1981, è una città che sta per esplodere. La disparità sociale fomentata da una elite di ricchi privi di scrupoli tiene sotto pressione la maggioranza della popolazione, che vive in condizioni disperate.

Sin dalle prime battute del film appare evidente come la tensione stia arrivando a un culmine, spinta da una deliquenza dilagante, che invade le strade e le rende un inferno. La povertà è una costante, che costringe la gran parte dei gothamiti a trovare mezzi disperati per sopravvivere.

A quest’ultima schiera appartiene Arthur Fleck, uomo mite e con una patologia che lo spinge a strazianti eccessi di risa in situazioni di particolare stress. Arthur sembra un agnello sacrificale in una realtà come quella di Gotham, debole ed emarginato, con un lavoro come clown e un sogno nel cassetto: diventare un comico di cabaret, seguendo l’esempio del suo mito, il presentatore Murray Franklin (interpretato da un Robert De Niro, semplicemente stupendo).

Arthur è però incapace di fare ridere, vive un’esistenza triste e opprimente, con la madre psichicamente instabile, e si trascina in una stanca routine in cui i suoi sogni sono costantemente infranti e in cui vede un nemico: i ricchi di Gotham.

In particolare, Thomas Wayne, l’uomo per cui la madre lavorò anni fa e che ancora è l’amore della sua vita, a cui lei scrive lettere continuamente nella speranza di un aiuto. Wayne entra prepotentemente nella quotidianità di Arthur quando il miliardario sceglie di entrare in politica, candidandosi come sindaco di Gotham.

Ma cosa accade quando la città decide di farsi ancora più spietata con Arthur? Come reagirà un uomo fragile, quando verrà portato definitivamente oltre il limite?

Joker è un film che si discosta dal terreno sicuro dei film ispirati ai fumetti a cui siamo ispirati.

Phillips si concentra sul raccontare la storia struggente di un’umanità tormentata e delirante, incapace di trovare un posto in una società spietata. L’ispirazione è l’America violenta, con la criminalità a livelli incredibili e la recessione economica che seminava paura e disperazione.

Non è un caso che si scelga come anno il 1981 e come modello per Gotham la New York versione feroce giungla urbana a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. L’intenzione è di creare una sinergia tra le traversie interiori di Arthur e il contesto sociale, una tensione verso un’anarchia ribelle delle masse che è il solo sfogo, violento ed inarrestabile, che conduce ad una rinascita.

E qui compare un primo ribaltamento della nostra tradizionale concezione del mondo di Batman.

Da sempre, i coniugi Wayne muoiono in odore di santità per redimere Gotham, figure pie e ammirate. Ma qui il protagonista è Joker, spetta a lui il ruolo di eroe atipico che guida un ribellione ad un potere corrotto, ed ecco che Thomas Wayne diventa un uomo sgradevole e vicino ad un politico meschino e approfittatore, un repubblicano detestato e simbolo stesso della Gotham che dimentica i suoi figli più disperati.

Non potrebbe esserci sfondo migliore per la nascita di una maschera come quella di Joker. Dietro il sorriso ghignante del Clown del Crimine, nel corso degli anni, si sono viste diverse anime, ma il disturbo mentale è sempre stato una nota latente che accompagnava le sue apparizioni. Ecco che il regista decide di renderlo il tema portante, ci mostra un Arthur disperato che non vorrebbe essere così complesso e sofferto, che chiede disperatamente un aiuto (“E io ora con chi parlerò?”), sino ad un’accettazione di sé che sembra essere al contempo sconfitta e vittoria.

Il merito è di un Joaquin Phoenix in stato di grazia.

Trasmettere la complessità di un personaggio simile, mostrarne l’evoluzione anche fisica è un’opera attoriale immensa, che sarebbe un delitto contro l’arte se venisse ignorata in fase di premiazione agli Oscar. Phoenix riesce ad esser per la prima parte di Joker un essere gracile e timido, al limite di uno scoppio di ira tenuto ferocemente a bada, fino all’esplosione di una violenza che ha il sapore acido della rivalsa. Il cambio di postura, la cura nelle espressioni, la mimica e il suo sguardo sono le armi migliori del film, specchio di un’anima tormentata che sembra finalmente fuoriuscire da una prigione imposta da una società ingiusta.

La risata, simbolo stesso del Joker, viene riscritta come una sofferenza per Arthur.

Quando ride, soffre, piange, non è mai liberatoria, ma sempre sinonimo di sofferenza e barriera tra lui e la società. La sua liberazione sono dei passi di danza forzati e rigidi, il suo rifugio, messi in scena da un corpo sofferto e sofferente. Una condizione che viene man mano rielaborata, il suo corpo e la sua postura mutano nel suo percorso interiore verso il folle clown, al punto di diventare pura estasi nel primo balletto veramente poetico e liberatorio su una scalinata, in cui il sorriso di Phoenix non è più dolore e patimento, ma libertà, una boccata d’aria dopo una lunga apnea esistenziale. Phoenix non cerca di interpretare un personaggio dei fumetti, si fa tramite della storia di un uomo che diventa una maschera, ne racconta la discesa nella follia o forse l’ascesa ad una consapevolezza del proprio ruolo che lo rende la scintilla di una rivolta sociale.

Trattandosi, comunque, di una figura nata nel mondo dei comics, ci si aspetta giustamente qualche richiamo al mito di Joker fumettistico.

I richiami, sottili e ben utilizzati, sono presenti specialmente nella seconda parte, in cui i richiami a Miller (come l’entrata in scena nello spettacolo di Murray Franklin)  e Moore (“Ho avuto una brutta giornata”) sono sotto gli occhi degli spettatori avvezzi al mondo di Batman, ma anche a soluzioni stilistiche prese dal canone cinematografico del personaggio. Apprezzabile il voler creare un legame saldo tra Arthur e Bruce Wayne, giocato sul dubbio sino alla fine, ma che concretizza quanto meno la nascita dell’alter ego del giovane Wayne.

Joker potrebbe essere definito capolavoro, e sicuramente la sua volontà è quella. La definizione è oramai troppo abusata, e Joker, per quanto film completo e stupefacente, non può ancora fregiarsi di questo titoli. Alcuni passaggi, pochi a dir il vero, risultano un po’ forzati, troppo asserviti alla storia per esser credibili, ma sono dettagli minori davanti ad un impianto visivo ed emozionale così maestoso.

Ironico che in questi giorni Martin Scorsese abbia deciso di intraprendere nuovamente una crociata contro i film ispirati ai fumetti, scagliandosi contro il simbolo stesso di questa nuova visione del cinema supereroistico, il Marvel Cinematic Universe. Il regista autore di pellicole epocali come Taxi Driver è una delle fonti di ispirazione per la storia di Arthur Fleck, così simile al Rupert Pupkin di Re per una notte (interpretato da De Niro, corsi e ricorsi della storia), sminuisce un genere cinematografica così distante dalla sua visione del cinema che rasenta la spocchia, non considerando come nel tanto odiato filone dei cinecomic ci siano pellicole come Era mio padre, V per Vendetta o, per l’appunto, Joker.

E ora, con gli Oscar già in vista, Joker si candida come un film che meriterebbe almeno due riconoscimenti: miglior attore protagonista a Joaquin Phoenix per la sua stupenda e tragica umanità e alla fotografia per la cromatica di una New York mascherata da Gotham City dai toni acidi e cupi.  E se non arrivassero statuette, pace, Arthur Fleck ha già avuto la sua miglior gratificazione.

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