Nei giorni in cui Netflix annuncia la chiusura delle serie dedicate a Iron Fist e Luke Cage, arriva l’attesa terza stagione di Daredevil. La serie, che ha lanciato il mondo Marvel su Netflix con le avventure del Diavolo Custode, rappresenta una speranza per gli amanti delle serie supereroistiche Marvel, dato che chiarisce in modo piuttosto evidente quali fossero le mancanze delle avventure di Danny Rand e Luke Cage.
La terza stagione di Daredevil mostra una delle migliori trasposizioni di fumetti sul piccolo schermo
Sin dalla sua prima apparizione, Daredevil ha saputo trasmettere al meglio la dimensione interiore del personaggio, valorizzando al meglio la pressione emotiva e psicologica del personaggio. Il rapporto tra Hell’s Kitchen e Matt Murdock è una simbiosi, che il Cornetto vive come una missione, soprattutto se inserita nell’ottica religiosa che da sempre contraddistingue il personaggio.
Dopo una prima stagione eccezionale, una seconda meno incisiva ma ugualmente emozionante e la comparsa di Daredevil all’interno di quel deludente team up chiamato Defenders, le aspettative per la terza serie delle avventure soliste del Diavolo Custode erano altissime. Solo guardando i trailer, da amante del personaggio, ho vissuto un’altalena emotiva tra aspettative e timori.
Gli appassionati del fumetto hanno percepito sin dalle prime scene dei trailer l’impronta milleriana di Rinascita (Born Again), uno dei momenti essenziali della vita editoriale di Daredevil. Da critico dei feroce dei cinecomic per la loro difficoltà nel mantenere lo spirito originale dei personaggi, ero già in ansia per quello che sarebbe potuto un tradimento dell’anima vera di Daredevil, ma dopo poche puntate ero già in piena adorazione.
La serie di Netflix ha il merito di rappresentare al meglio le traversie interiori di Matt Murdock. Con intelligenza, le prime puntate scelgono un approccio narrativo più pacato, che potrebbe infastidire chi cerca subito l’adrenalina, ma che sono un ottimo modo per calarci nel mood emotivo corretto. Le prime quattro puntate sono una sorta di riepilogo degli eventi passati e lancio dei nuovi presupposti narrativi, legati in modo suggestivo per dare una continuità alla serie.
Matt Murdock è un uomo a pezzi, che ha perso tutto, ma soprattutto la sua bussola morale: la fede. E sembra anche corretto che a sorreggerlo in questi momenti siano due figure essenziali del suo esser credente, suor Maggie (personaggio fondamentale) e padre Lantom. Murdock ha perso fiducia nella propria fede, il suo rapporto con Dio è quasi un odio ora, alimentato dal senso di tradimento. I suoi poteri non sembrano più esser presenti, e la sensazione di impotenza gli avvelena l’animo.
A peggiorare la situazione, è il ritorno sulla scena di Wilson Fisk. Grazie ad una collaborazione con l’FBI, il Kingpin del crimine newyorkese riesce a tornare nuovamente libero e a dominare la sua città, con un obiettivo: eliminare Daredevil. E quale modo di migliore di renderlo il nemico pubblico?
E qui già si intravede un primo motivo per cui Daredevil funziona dove altre serie Marvel falliscono: il villain. Vincent d’Onofrio mette in scena un Fisk meraviglioso, perfettamente calato nella parte. Kingpin è lui, pianificatore, pronto a tutto e manipolatore, un fine stratega che conosce quali fili tirare per muovere anche i suoi avversari come marionette. E lo spettatore lo guarda rapito, con un misto di ammirazione e soggezione. D’Onofrio non sbaglia una scena, è misurato alla necessità ed esplosivo quando serve, capace in un secondo di concedersi un sorriso liberatorio che trasmette la soddisfazione di un piano ben riuscito, primo passo verso la fine di Daredevil.
Usare il termine ‘rinascita‘ in questo caso non è solo una citazione ad una delle migliori run del Diavolo Custode, ma è dare una chiave di lettura all’intera serie. La nuova vita possibile dopo un crollo riguarda non solo il protagonista, di cui parleremo dopo, ma la sua nemesi fumettistica che finalmente compare nella serie: Bullseye.
Presentato con il nome dell’universo Ultimate, lo storico avversario di Daredevil è mostrato con una umanità e profondità psicologica inappuntabile. Il declino dell’agente Pointdexter è ritmato alla perfezione, rimane quel senso di tragedia imminente che sa per abbattersi, ovviamente pilotato dalla furbizia di Fisk.
La contrapposizione tra Pointdexter e Murdock è magnifica, culminando nel primo scontro tra i due, in cui emergono i punti di forza e debolezza che li rendono quasi complementari. Matt arriva a questo primo confronto spezzato, ancora indeciso se varcare quel confine morale che lo separa dai cattivi che combatte. Matthew Cox incarna al meglio questa difficoltà di Murdock, costretto anche a sfruttare gli amici di sempre come strumenti privandoli di quel rapporto familiare che avevamo conosciuto nella prima stagione.
Lo spirito più vero e puro di Daredevil è reso perfettamente da questi nuovi episodi
Matt è costretto a ritrovare le proprie origini, per delineare il suo futuro. In questi episodi troveremo risposte inattese (se non avete letto il fumetto, sia chiaro), verranno gettati punti essenziali del mito di Daredevil che ne celebrano l’anima più pura, riuscendo a riscrivere il mito del personaggio senza privarlo della sua anima fumettistica.
Peccato che a fare da contraltare a questa perfezione intervenga uno dei personaggi chiave di Daredevil: Karen Paige. Debora Ann Woll non riesce a mantenere la giusta linearità del personaggio, si lascia andare troppo spesso ad una recitazione esaltata per dare tono drammatico a Karen, ottenendo l’effetto opposto e privandola del suo ruolo essenziale. Errore non commesso da Elden Henson, che risulta essere ancora una volta un perfetto Franklin Foggy Nelson, vero bastione morale e rifugio di Matt.
Nella terza stagione di Daredevil tutto è pensato per trasmettere la forza morale di Matt anche nei momenti più bui, mostrando come il Diavolo Custode e l’avvocato siano la stessa anima. Emotivamente, questa terza stagione è perfetta, perché fa proprio lo spirito del personaggio, usando al meglio le suggestione dei fumetti (dall’influsso religioso della Nocenti alla citazione del ruolo di Gladiatore di Melvin Potter), mostrando un’ottima visione del mondo di Daredevil sul media televisivo.
Certo, manca quel pizzico di coraggio da parte degli sceneggiatori che avrebbe sancito la consacrazione di Daredevil come serie supereroistica per antonomasia. Per quanto drammatica, la storia del Daredevil di Netflix manca di un elemento epocale per il protagonista, una morte eccellente che darebbe completezza ad una delle migliori serie supereroistiche. Da amante del fumetto, questa serie è stata travolgente e imperdibile, capace di valorizzare ogni personaggio in modo accorto e suggestivo.
E qui scatta la considerazione sulle serie Marvel/Netflix. Daredevil funziona al meglio perché si protegge lo spirito originale del fumetto, adattandolo al piccolo schermo senza stravolgerlo, ma trovando un’incarnazione che accontenti neofiti e cultori del personaggio. Sapevo dove si sarebbe andati a parare, ma nonostante questo era ansioso di vedere il come avrebbero creato le giuste situazioni.
Mai un attimo di noia, la narrazione ti avvolge e stimola, i personaggi sono vivi e riescono a creare un mondo vivo e dinamico. C’è carisma, in Daredevil, ci sono emotività e tensione, tutti pregi che son mancati a Iron Fist e Cage. Forse Netflix cercherà di riproporli assieme in una serie dedicata agli Eroi in vendita, ma l’importante è che lascino Daredevil come punto di riferimento per la qualità della trama e la costruzione di una serie perfetta.