Coronavirus: l’Università di Stanford ha bisogno dei nostri computer per contrastare il Covid-19

Folding@home coronavirus

Ormai la comunità scientifica mondiale è quasi concorde nel definire l’emergenza Coronavirus una vera e propria pandemia e gli sforzi dei singoli paesi, Italia in primis, per contenere la diffusione del contagio, stanno via via assumendo caratteristiche di internazionalità.

Installando un piccolo software sul proprio computer si può partecipare al progetto che l’Università di Stanford ha lanciato per contrastare il Coronavirus

Proprio per tentare di contrastare l’infezione e giungere quanto prima alla creazione di un vaccino, l’Università di Stanford ha lanciato il progetto Folding@home che intende sfruttare la capacità del calcolo distribuito dei computer che aderiscono all’iniziativa per svolgere più velocemente, e in maniera più efficiente, i complessi calcoli delle simulazioni sul ripiegamento proteico, ovvero quel processo (che avviene contemporaneamente o alla fine della sintesi proteica) di ripiegamento molecolare con il quale le proteine assumono la loro struttura tridimensionale e ottengono la loro funzione specifica.

Il ripiegamento delle proteine aiuta, infatti, ad analizzare e determinare come affrontare malattie come l’Alzheimer, il cancro, la SARS e la famiglia dei coronavirus che comprende il Covid-19 che tanto sta spaventando il mondo.

Questo tipo di ricerca richiede una notevole potenza di calcolo che il calcolo distribuito, ovvero il sistema costituito da numerosi computer autonomi che interagiscono/comunicano tra loro attraverso una rete, può generare sfruttando le CPU dei PC “volontari” quando queste sono inattive.

Per partecipare al progetto della Stanford Universiti di contrasto al coronavirus, basterà scaricare il software Folding@home da questo indirizzo e consentire l’utilizzo delle risorse inutilizzate del proprio PC.

Computer uniti contro “spike”

Per quanto riguarda il coronavirus, la prima fase dell’infezione si verifica nei polmoni quando una proteina della membrana del virus si lega a una del recettore della cellula polmonare. Questa proteina virale è chiamata “spike” e siccome le proteine non sono statiche, ma si muovono, si piegano e si aprono assumendo varie forme, è necessario studiare tutte queste possibili combinazioni e alternative, non solo quelle legate alla forma proteica del picco virale. Studiare come le proteine riescono a piegarsi, sfruttando appunto le complesse simulazioni che riproducono le varie forme, possono aiutare i ricercatosi a sviluppare farmaci e vaccini in grado di trattare le infezioni del virus.

Gregory Bowman, professore di biochimica e biofisica molecolare e docente di chimica alla Washington University di St. Louis, ha sottolineato come questo sforzo condiviso sia un’importante risorsa da sfruttare per trovare un vaccino il prima possibile:

Con tanti computer che lavorano insieme per lo stesso obiettivo, l’obiettivo è quello di  sviluppare un rimedio terapeutico il più rapidamente possibile. I dati che usciranno da questo sforzo collettivo sulla proteina spike e su altri aspetti del virus saranno rapidamente messi a disposizione in modo aperto come parte di una collaborazione “open science” di diversi laboratori nel mondo.

Fonte: The Verge