Chi sono i 47 ronin? Ecco la storia vera che ha ispirato il film con Keanu Reeves

47 ronin di Akō

47 ronin, il film del 2013 con Keanu Reeves racconta la storia di alcuni samurai i quali, dopo che il loro signore viene accusato di disonore e “costretto” al seppuku, diventano dei “ronin” ovvero guerrieri decaduti e rinnegati che vagano per il Giappone fino a quando, consapevoli che il loro daimyo era stato vittima di un inganno al fine di screditarlo, giurano vendetta per l’onore del loro defunto signore e per ripristinare la loro posizione.

Scopriamo chi sono i 47 ronin di Akō, i leggendari samurai rinnegati che vendicarono a costo delle loro vite l’onore del proprio signore

Ma chi sono i 47 ronin? Cosa sappiamo su questa storia vera, intrisa delle più caratteristiche e importanti virtù giapponesi del codice dei samurai (il bushido) come lealtà, sacrificio, giustizia e onore? Scopriamo perché le loro gesta sono diventate leggenda tanto da essere celebrate in svariate opere, oltre ad avere una celebrazione che si tiene ogni 14 divembre, il Gishi-sai no cha, una speciale cerimonia del tè per onorare la memoria dei 47 ronin di Akō che vendicarono l’ingiustizia subita dal loro signore e che ancora oggi rappresentano un simbolo del Sol Levante e dell’orgoglio di questo paese.

Un storia di fedeltà nel mitico paese del Sol levante

I fatti che hanno ispirato il film diretto da Carl Rinsch si sono svolti all’inizio del XVIII secolo, in piena era Tokugawa quando l’Imperatore Higashiyama, come era usanza di ogni anno, inviò dei propri rappresentanti ad omaggiare lo Shogun di Edo, l’odierna Tokyo, personalità che rappresentava la carica più alta dell’esercito giapponese.

Asano Naganori di Akō, uno dei daimyo convocati al palazzo dello shogun Tokugawa Tsunayoshi, ben presto finì nel mirino del maestro di cerimonie di corte, tale lord Kira Yoshinaka, il quale aveva il compito di istruire tutti i nobili. Tra i due gli attriti erano frequenti, soprattutto perché Asano si rifiutava di pagare i doni che Kira domandava per i suoi servizi (una sorta di tangente), con il responsabile del protocollo che non si faceva sfuggire nessuna occasione per umiliare Asano pubblicamente.

La situazione raggiunse un tale livello di esasperazione tanto che, dopo l’ennesimo insulto e successiva ridicolizzazione da parte di Kira, Asano perse la pazienza e tentò di uccidere Kira, riuscendo solo a ferirlo al volto. Il gesto di Asano, pur scatenato dal comportamento vile e snervante di Kira, violava le regole di corte che prevedevano l’assoluto divieto di beghe e l’utilizzo di armi all’interno del palazzo dello shogun, oltraggio per cui i colpevoli furono chiamati a rispondere.

Kira, anche per via della sua codardia e della sua influenza a corte fu perdonato, mentre Asano attirò su di sé tutta l’ira dello shogun che doveva mostrare fermezza: il feudo di Asano venne confiscato, il fratello posto agli arresti domiciliari e al daimyo colpevole di tentato omicidio fu concesso di morire onorevolmente facendo seppuku, conosciuto anche come harakiri, ovvero il suicidio rituale con cui ci si tagliava il ventre con un apposito pugnale, il tantō.

ronin

La vendetta è un piatto che va servito freddo

Dopo la morte di Asano la sua famiglia fu diseredata e agli oltre 300 samurai al suo servizio fu ordinato di disperdersi abbandonando il castello di Ako (nell’odierna prefettura di Hyogo), diventando così dei ronin ovvero guerrieri senza padrone.

Alcuni di loro, però, conoscendo come si svolsero realmente i fatti, giurarono vendetta facendo una sorta di patto di sangue: avrebbero restituito l’onore al loro defunto signore.

Come si sul dire la vendetta è un piatto che va servito freddo e, in tipico spirito giapponese, i 47 ronin guidati da Oishi Kuranosuke (conosciuto come Oishi Yoshio) trascorsero due anni a preparare un meticoloso piano per vendicarsi di Kira, andando incontro a innumerevoli sacrifici e umiliandosi oltremodo pur di attuare il loro proposito.

Per sviare l’attenzione di Kira Yoshinaga, il quale temendo ritorsioni nel frattempo si era circondato da guardie del copro, i 47 ronin fecero di tutto per dare l’impressione di aver rinunciato a ogni velleità vendicativa, con Oishi che cominciò a fare una vita dissoluta da ubriacone e frequentatore di bordelli. La messa in scena fu così realistica che la leggenda racconta che una notte, tornando dalla taverna ubriaco fradicio, Oishi stramazzò a terra senza riuscire a rialzarsi, tanto che un samurai di passaggio lo insultò accusandolo di dare ulteriore disonore al suo vecchio padrone e alla casta dei samurai tutta.

L’inganno funzionò alla perfezione e Kyra, ormai convinto che nessuno dei samurai di Asano, ora divenuti ronin, cercasse effettivamente vendetta, divenne meno attento e anche la sicurezza intorno a lui si allentò.

Fu in questo frangente che i 47 ronin attuarono la parte finale del piano e, la sera del 14 dicembre 1702, i fedeli servitori di Asano assaltarono la residenza di Kira con armi e armature tutte fatte in casa nel corso dei due anni per non destare sospetti. Dopo circa un’ora e mezza di combattimenti sgominarono tutte le 61 guardie senza subire perdite trovando, infine, Kira nascosto in un armadio.

I 47 samurai offrirono a Kira l’opportunità di morire anch’esso con onore facendo seppuku ma, al rifiuto del vile funzionario dello shogun di togliersi la vita, lo decapitarono portando la testa di Kira sulla tomba di Asano nel tempio di Sengaku-ji, completando così la loro vendetta e dichiarando di aver ripristinato l’onore del proprio signore.

47 ronin di Akō

Tutta l’essenza del bushido, il “codice cavalleresco” dei samurai, nelle gesta dei 47 ronin

Coraggio, onore, lealtà e rispetto del bushido sono alla base di questa epica storia e furono le virtù che guidarono i ronin fin dall’inizio, con i guerrieri che si autodenunciarono allo shogun per quello che avevano fatto, sottolineando che il loro scopo era quello di lavare con il sangue l’onta infamante che aveva colpito ingiustamente il loro padrone e la sua casata.

Seppur impressionato da tale dedizione e coraggio e simpatizzando per l’operato dei 47 samurai rinnegati, lo shogun non avrebbe mai potuto perdonare il fatto che i guerrieri si fossero fatti giustizia da soli uccidendo un funzionario imperiale e, dopo 47 giorni di “processo”, ai ronin fu concesso di fare seppuku invece di essere giustiziati, restituendo comunque il titolo e parte dei vecchi possedimenti al figlio maggiore di Asano Naganori.

I quarantasette valorosi samurai incontreranno la morte che comunque avevano già messo in conto. Tutti, tranne il più giovane di loror, Terasaka Kichiemon, risparmiato affinché potesse tributare i giusti onori funebri ai compagni e onorarne la memoria, compito che solo uno dei 47 era degno di assolvere.

Il 4 febbraio 1703, i 46 ronin di Akō si uccisero onorevolmente dando ancora più valore alle loro vite e al loro sacrificio per ristabilire l’onore del loro signore, al fianco del quale vennero sepolti nel tempio Sengaku-ji. 10 di questi ronin fecereo seppuku in un giardino che adesso fa parte dell’Ambasciata Italiana a Tokyo.

Da quel 14 dicembre 1702, ogni anno, i giapponesi rendono omaggio a queste 47 anime il cui onore e la cui fedeltà rappresentano l’essenza stessa di una nazione che ha un sentimento di profonda ammirazione e affetto verso questa impresa.

Qui di seguito trovate l’epica scena finale del film in italiano.