The Division 2: la battaglia per Washington è iniziata – Recensione

Di Manuel Enrico 11 Min di lettura

Reduce dalla conquista di Bastion in Anthem, mi sono deciso a cimentarmi con l’altro atteso titolo GaaS del periodo, The Division 2. Già sufficientemente incuriosito dalla prova nella Private Beta, tornare nei panni di un agente della Divisione era un passaggio obbligatorio, se non altro per scoprire quante delle impressioni avute durante il week end di beta avessero preso corpo.

The Division 2 ci riporta a vestire i panni di un Agente per salvare Washinton dall’orlo della distruzione

The Division 2, come il suo concorrente creato da BioWare, appartiene alla nuova generazione di videogiochi, i GaaS (Game as a service), ossia titoli la cui natura può esser equiparata a un servizio continuo di contenuti, che ne prolunga la longevità attraverso DLC e vari pacchetti aggiuntivi. Ubisoft ha già un’esperienza diretta di questo settore, maturata proprio con il primo capitolo di The Division.

Il rischio di un GaaS è quello di portare il giocatore all’endgame della storia principale senza offrire sufficienti ragioni per tenerlo ulteriormente legato all’ambientazione. The Division aveva mostrato, inizialmente, di patire sotto questo frangente, costringendo Ubisoft ad imparare rapidamente sul campo come gestire un’intelaiatura ludica così dinamica.

Questa esperienza sarà servita per dare maggior consistenza a The Division 2?

In modo intelligente, a mio avviso, Ubisoft ha scelto di non stravolgere in modo radicale il gameplay alla base della serie. La dinamica di base del titolo, infatti, riprende quanto di buono già mostrato in precedenza, dando ai giocatori esattamente il gameplay che si attendono: un looter shooter ad ampio respiro.

Aggirarsi per Washington seguendo le varie missioni, infatti, trasmette la giusta familiarità al contesto narrativo. Teniamo presente che The Division 2 è legato al nome di Tom Clancy, celebre romanziere americano apprezzato a livello mondiale per la sua narrativa spionistica particolarmente intrecciata a politica e tecnologia. Il mondo dei videogiochi ha già mostrato di esser un buon viatico per le suggestioni del compianto scrittore (ricordate Splinter Cell?) e la serie di The Division, con la sua impostazione narrativa, può esser una degna erede di questo ruolo.

Abbandonata New York, ci ritroviamo nella capitale americana, devastata da un’epidemia che ha fatto crollare l’ordine sociale. Il Presidente è sparito, e a cercare di salvare la civiltà urbana sono gli Agenti della Divisione. Scopo della nostra missione è recuperare una cura a questa tremenda malattia, che potrebbe ripresentarsi a breve e dare il colpo di grazia alla città.

Lo spunto è affascinante, soprattutto perché inserito nella città giusta. Sfruttando quell’aura di mistero che circonda la capitale americana, con i suoi edifici inviolabili edifici governativi, è stata realizzata una trama che ci spinge ad affrontare missioni all’interno di laboratori segreti e agenzie governative. Washington è una curiosa alchimia di civile e governativo anche nella realtà, e The Division 2 sfrutta al meglio questo dualismo.

Graficamente, è uno spettacolo. Tralasciato il letale inverno newyorkese, ci troviamo in una dimensione urbana primaverile/estiva. Vegetazione ribelle, fauna che si aggira per la città fatiscente ma soprattutto un’attenzione accorta alla luminosità e agli effetti di luce sono le novità più interessanti su schermo di The Division 2. In più occasioni mi è capitato di fermarmi a godere di una visione urbana affascinante, in cui i segni del caos vengono esaltati dalla luminosità del tramonto. Ottimo lavoro, non c’è che dire.

 

Ma non dimentichiamo che The Division 2 è un videogioco action, e che necessita di una solidità narrativa credibile. Se la partenza è avvincente, strada facendo la trama principale (che si esaurisce in circa trenta ore di gioco) perde parte della sua concretezza, complice un protagonista poco inserito nel mondo di gioco. Il nostro Agente non ha una sola battuta in tutto il gioco, nelle cutscene che spiegano gli eventi è poco più di una presenza silenziosa che non mostra alcun ruolo nelle decisioni prese dagli altri personaggi. Peccato, perché se è vero che sono le nostre azioni a decidere l’evolvere della storia, è altrettanto vero che sarebbe stato giusto darci modo di avere voce in capitolo.

Detto questo, The Division 2 punta ovviamente su altri aspetti per dare sostanza agli eventi. Per quanto sia lodevole la trama imbastita, in alcuni punti sembra che la cura sui personaggi con cui interagiamo non si stata del tutto ben controllata, lasciando emergere figura poco incisive e che si accettano più perché tappa obbligatoria del gioco che non per il loro carisma.

Fortunatamente, gli scontri che inevitabilmente affronteremo sono stati realizzati con maggior impegno. D’altronde, stiamo parlando del fulcro stesso del videogioco. Impegnativi il giusto, specialmente nelle prime sessioni di gioco, le battaglie con le diverse gang di Washington sono ben strutturate, con la possibilità di utilizzare, specialmente negli ambienti chiusi, vari elementi del mondo (estintori, taniche e simili), in modo da poter valorizzare il nostro acume tattico.

Ho cercato di realizzare un Agente che fosse il più versatile possibile, mantenendo comunque un approccio tatticamente aggressivo. Per le tre armi (tutte personalizzabili con varie mod, da sbloccare con i punti SHADE)ho pensato ad un fucile d’assalto dal rapido rateo di fuoco, ad una carabina da usare per la lunga gittata e alla classica pistola da fondina, mentre le dotazioni SHADE mi hanno lasciato più indecisione.

Si tratta di tre abilità che vengono tradotte in armamenti specializzati di supporto che potremo schierare in battaglia. Dopo attenta analisi ho optato per l’immancabile torretta in versione mitragliatrice, per il drone difensivo e per le mine a ricerca. Sono presenti anche numerosi altri kit, ma ad avermi convinto è la possibilità di utilizzare questi supporti sia in modalità aggressiva che in qualità di supporto di squadra. Trattandosi di un gioco che fa dell’interazione con altri giocatori il suo punto di forza, The Division 2 in questo comparto offre un’ottima visione del suo spirito.

Ma la componente multiplayer è davvero necessaria? Il gioco, nelle sua trama, si può gustare per la maggior parte del tempo anche in single player, ma in diverse occasioni sarà necessario ricorrere al supporto di altri giocatori per affrontare scontri particolarmente intensi. Senza dimenticare le Zone Nere, mutuate giustamente dal precedente capitolo e la cui dinamica è rimasta invariata.

Dove però diventa essenziale il gioco di squadra è dopo l’endgame. Una volta ripulita Washington, infatti, tutto verrà ribaltato dall’arrivo di una nuova minaccia, una milizia inarrestabile nota come Black Tusk.

Se affrontare Reietti e True Sons era parso impegnativo, con i nuovi arrivati sarà ancora peggio.

Questa sorpresa finale è il punto di svolta per The Division 2. La potenza di fuoco e le dinamiche dei Balck Tusk sono un invito alla collaborazione tra giocatori, soprattutto a considerarsi parte di un team ed agire di conseguenza. In questa fase diventa centrale l’aver un personaggio particolarmente versatile e utile alla squadra, il che si traduce in una gestione dei potenziamenti SHADE dinamica ed intercambiabile.

L’agire con altri giocatori è il vero motore di The Division 2. Tramite il matchmaking si può entrare in un gruppo di Agenti per affrontare le missioni più intense, ma anche scegliere di affrontare un azzardato recupero di materiale nelle Dark Zone. Certo, se membri di un clan la cosa potrebbe esser più semplice, ma anche giocando come lupi solitari si può comunque provare in modo convincente l’esperienza del branco.

La prova della versione definitiva di The Division 2 è stata più che convincente. Il contesto urbano è uguale al precedente nella sua impostazione ma riesce a variare a sufficienza per non esserne una pallida eco e dare un senso di ‘more of the same’ fine a sé stesso. Anche la fluidità dei controlli e l’interazione col mondo di gioco, non privi di qualche sbavatura, trasmettono il giusto pathos al giocatore.

IL vero punto di domanda, come prevedibile, riguarda la longevità di The Division 2. A pochi giorni dall’uscita è ancora presto per dare una valutazione sui contenuti aggiuntivi, ma se Ubisoft ha fatto tesoro degli errori con il precedente capitolo, possiamo ragionevolmente attenderci uno sviluppo interessante.

Ora, la domanda del secolo: meglio Anthem o The Division 2?

Pur appartenendo allo stesso segmento di mercato, i due titoli si discostano per avere dato rilevanza a diversi aspetti.

BioWare ha sicuramente puntato maggiormente alla cura dei dettagli della storia, rendendo Bastion non solo un pianeta condiviso ma anche ricco di sfumature, arricchito da una natura selvaggia che preme maggiormente sul nostro spirito d’avventura fantascientifico. E poi si vola con gli Strali, ditemi niente.

The Division 2, per quanto avveniristico, mantiene un contesto più realistico, cercando di coinvolgere il giocatore maggiormente nella modalità multigiocatore, valorizzando maggiormente anche l’aspetto tattico dei combattimenti.

Siamo di fronte a due diverse incarnazioni dei GaaS, che ne incarnano in modo differente pregi e difetti. The Division 2 dovrà mostrare in futuro di avere fatto bene a puntare su aspetti non valorizzati da Anthem, ma di questo dovremo riparlare più avanti. Per ora, imbracciamo i nostri fucili e riconquistiamo Washington.

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