Polar: Mads Mikkelsen conquista Netflix – Recensione

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Mentre tutti sono ancora presi dalla frenetica attesa dell’uscita del terzo capitolo delle imprese di John Wick, Netflix inserisce nel suo palinsesto Polar, action movie con protagonista una killer deciso a ritirarsi a godersi il meritato riposo. Il nome a molti dirà poco, ma il riferimento è ad un webcomic piuttosto sconosciuto creato da Victor Santos; l’originale fumettistico è apprezzabile per la sua forza espressiva, soprattutto nei richiami a maestri del genere come Steranko o Miller. Il passaggio alla pellicola avrà rispettato lo spirito del fumetto?

Polar, da webcomic a produzione originale Netflix

Di sicuro, lo scoglio principale è riuscire a liberarsi dell’incombente ombra dell’assassino di Keanu Reeves. Pur non avendo la sua caratura (e la sua promozione), Polar dovrebbe offrire a uno spettatore una storia avvincente. Sfortunatamente, il killer di Netflix non offre lo stesso divertimento e fascino della saga di John Wick.

Non si tratta solamente di un paragone forzato, visto che la figura di Duncan Vizla sembra lasciarsi ispirare in maniera fin troppo evidente al più noto collega. Ogni aspetto di Polar, a dir il vero, richiamata a qualcosa di già visto, in alte pellicole, grazie ad una trama priva di un tocco di innovazione.

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Duncan Vizla (Mads Mikkelsen) è un killer appartenente ad una misteriosa agenzia di sicari, la Damocles. Al compimento dei cinquant’anni, gli assassini prezzolati sono spinti al pensionamento, consentendo loro di godersi i proventi dei propri lavori. Vizla, a due settimane dal pensionamento, viene assoldato per un ultimo bersaglio, un concorrente che sembra stia eliminando gli agenti della Damocles. Reticente, Duncan accetta, ma questo ultimo contratto rischia di essere troppo anche per lui, il famigerato Black Kaiser.

Sin qui la trama potrebbe esser anche interessante, se non fosse che si introducono altri elementi che sembrano presi a man bassa da altri film del settore, come Wanted. L’idea che la Damocles utilizzi i propri sicari come semplici strumenti, privandoli dei loro diritti una volta raggiunta la pensione e rendendoli quindi sacrificabili, viene sviluppata in modo prevedibile, senza colpi di scena.

La trama di Polar, ad onor del vero, non spicca per equilibrio. Mikkelsen ha il difficile compito di portare il suo personaggio ad esser un eroe da action movie, ma anche dargli uno spessore emotivo che motivi la story line più empatica. Che, personalmente, ho trovato più convincente.

Nel suo ritiro dall’attività, Vizla trova rifugio in un perduto paesino tra i monti, dove incrocia la strada di Camille (Vanessa Hudgens), giovane dal passato misterioso e con una difficoltà relazionale evidente. Tra i due nasce una particolare amicizia, con Vizla che sembra muoversi a sua protezione. Questo aspetto avrebbe potuto esser sviluppato maggiormente, dando maggior importanza alla figura di Camille. La Hudgens offre una prova convincente, riuscendo a creare un legame emotivo con il killer funzionale, grazie alla perfetta recitazione di Mikkelsen.

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Duncan Vizla è un personaggio con un potenziale incredibile, che vive grazie al volto spigoloso di Madds Mikkelsen. Abituato a ruoli non semplici, il nostro Mads, che in passato è stato il villain LeChiffre di Casinò Royale, Hannibal Lecter ed è ora coinvolto nientemeno che dal sommo Kojima per il suo Death Stranding. Mikkelsen anche in Polar si rivela una scelta impeccabile, il suo sguardo glaciale e la sua contenuta mimica facciale sono elementi vincenti per caratterizzare Vizla. L’abilità recitativa di Mikkelsen gli consente di creare un siparietto divertente in una scuola elementare, che si trasforma rapidamente in un contrasto tra l’innocente curiosità dei piccoli e feroci ricordi del suo passato di violenza.

Ma possono questi attimi di contesto emotivo inserirsi bene nella trama di Polar? No, sfortunatamente. Il ritmo della storia di Polar non è stato ottimizzato per poter gestire al meglio questa componente emotiva.

Il punto di forza del film di Netflix è la violenza di questo gruppo di assassini, in quello che sembra un evidente scontro generazionale. Le nuove leve vengono incaricate di eliminare la vecchia guardia, consentendo ai vertici della Damocles di godersi i frutti delle proprie macchinazioni. Idea scontata, ammettiamolo, che non viene rinforzata certo da un gruppetto di giovani killer abbozzata ma mai realmente definita. Anziché inserire cinque assassini, ne sarebbero bastati tre ben caratterizzati, in grado di apportare un valore aggiunto alla trama di Polar, ma questo drappello di assassini prezzolati è sporadicamente divertente, ma più facilmente incolori.

Polar è pensato per esser vicino maggiormente alla verve narrativa di un fumetto che non di un film d’azione. Esistono però precedenti di film che hanno colto l’essenza dell’opera originale, coraggiosamente, per mantenere sia aderenza che fascino sul grande schermo, da 300 a Sin CityNetflix, affidandosi alla regia di Jonas Akerlund e alla sceneggiatura di Jayson Rothwell, non riesce a comprendere questa lezione.

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Visivamente, è innegabile l’ispirazione fumettistica di certe scene. Dalla presentazione con tanto di discalia dei diversi assassini al loro look esageratamente colorato, il media fumetto si mostra ove possibile all’interno di PolarAkerlund cerca di puntare proprio sulla forza delle scene di combattimento per coinvolgere lo spettatore, abbondando con sangue e violenza. I combattimenti sono costruiti con discreta cura, studiati per enfatizzare la violenza della vita dei killer. Lo stesso Mikkelsen è coinvolto in una scena di combattimento particolarmente intensa ed appassionante.

La debolezza della trama non è tanto nei contenuti, comunque presenti, ma nella difficoltà con cui le diverse componenti vengono amalgamate tra loro. Polar, nonostante un finale che lascia spazio ad un eventuale seguito, manca di creare nello spettatore una sensazione di appagamento, non mostrando mai una vera identità che lo renda memorabile.

Pur discostandosi da prodotti di scarso appeal come IO, Polar si presenta come un film da vedere senza pretese, ma inevitabilmente ai titoli di coda rimane la sensazione di un’occasione mancata.