Inverso, il ritorno di William Gibson – Recensione

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Ad opera dell’intramontabile Mondadori, giunge finalmente nelle librerie italiane Inverso (The Peripheral in originale, la cui edizione americana risale al 2014), il nuovo romanzo di William Gibson, uno dei padri della fantascienza cyberpunk. La fantascienza (l’unico genere narrativo realmente tale, al pari del poliziesco, come disse un tale) ha avuto negli anni infinite diramazioni. Circa quarant’anni fa, il fenomeno Star Wars ne ha inevitabilmente abbassato l’asticella, puntando al ribasso, ma i fan duri e puri del genere hanno resistito e negli anni ’80, in risposta a quello che era un decennio fatto di sbornia edonista, sono usciti i primi romanzi di stampo cyberpunk, ad opera soprattutto di autori come Bruce Sterling e, appunto, William Gibson, di cui ci apprestiamo a recensire l’ultima fatica letteraria.

Facciamo subito una premessa: come tutti i libri di Gibson, anche questo Inverso è tutt’altro che semplice da assimilare. Io ci tengo a consigliare libri belli, ma dato che la vita è breve occorre essere chiari sin da subito onde evitare di perdere tempo. I romanzi di Gibson hanno la particolarità di ridurre all’osso l’aspetto didascalico. Non aspettatevi quindi un romanzo in cui ci sono intere parti che vi raccontano la storia del mondo e altre amenità del genere. Vi troverete catapultati nel futuro senza che vi sia data nessuna indicazione e spetterà a voi lettori saltarci fuori.

Inverso è il nuovo romanzo di Gibson, il maestro della fantascienza cyberpunk

Spiacente signori, ma mister Gibson non è uno cui piace blandire il lettore. Anzi, gli piace sfidarlo e spingerlo ad impegnarsi a fondo nella lettura. Questo lo ha portato sì a realizzare delle opere di altissimo livello come la famosissima trilogia dello Sprawl, sicuramente il suo lavoro più famoso, ma anche a restare un autore, per così dire, di nicchia. Ergo, se siete lettori forti e/o appassionati di fantascienza e/o appassionati delle opere di Gibson, proseguite comodamente nella lettura di questa recensione. Se, al contrario, siete di quelli che leggono a stento tre libri l’anno, di quelli che Star Wars è la vostra opera di fantascienza preferita o se non sapete chi sono Asimov e Philip Dick, beh, allora passate oltre e fate altro.

Fatta questa lunga, ma doverosa premessa, veniamo a parlare più approfonditamente del romanzo: esso si svolge su due piani temporali. Il primo, più vicino al nostro, si svolge in un futuro prossimo (e se avete letto con attenzione quanto ho scritto sopra, non aspettatevi che vi venga detto l’anno) e vede come protagonisti la giovane Flynne Fisher e suo fratello Burton. Quest’ultimo, sofferente di un disturbo post traumatico da stress subito durante una guerra, sopravvive con la pensione d’invalidità passatagli dall’esercito, mentre sua sorella si guadagna da vivere con vari lavoretti, dall’assemblatrice di stampanti 3D a lottatrice nei giochi on-line per conto di sponsor danarosi. Un giorno a entrambi i fratelli viene proposto un lavoro come agenti di sicurezza per un nuovo gioco on-line che deve ancora essere lanciato sul mercato.

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Settant’anni avanti nel futuro, troviamo il ricco e famoso Wilf Netherton, rampante rappresentante della nuova società inglese dopo che un terribile cataclisma ha spazzato via miliardi di esseri umani e ai superstiti è toccato iniziare una nuova vita. Questi due mondi, così diversi e così lontani, sono destinati a incontrarsi grazie alla tecnologia su cui si poggia il gioco on-line che Flynne e Burton devono monitorare.

Oltre non vado onde evitare possibili spoiler.

Con Inverso ritroviamo il Gibson che tutti gli appassionati conoscono e amano, quello dallo stile sintetico e quasi brutale, che non si perde in evoluzioni linguistiche e inutili, ma punta all’osso e lo fa con la consueta maestria. Non è errato dire che ci troviamo di fronte al miglior romanzo di William Gibson da un po’ di anni a questa parte. Soprattutto, il Nostro ritorna con piacere a quel genere cui lui stesso ha contribuire a dare vita, ovvero il cyberpunk, ed ecco quindi che si trovano mescolati insieme la vita del sottoproletariato del futuro, una vita spesso sul confine dell’illegalità, mischiata con accrocchi tecnologici di qualsivoglia natura che si insinuano nei corpi umani fino a diventarne parte e prolungamenti. Tatuaggi dotati di cervello, robot di varie forme e dimensioni, tutto questo e molto altro all’interno di questo romanzo che è senza dubbio imprescindibile per ogni amante dell’autore e/o della fantascienza.

Difetti?

Innanzitutto una certa osticità all’inizio, perché non è facile uscirne fuori con i vari salti temporali e tutti gli annessi e connessi, anche se con il proseguire della narrazione si finisce con il farci il callo e ad orientarsi. La premessa indispensabile, però, è che si dedichi molto tempo alla lettura. Per dire, non si può leggere Inverso a bocconi, dieci pagine oggi e dieci fra una settimana, oppure leggerlo quindici minuti prima di addormentarsi. Al contrario, bisogna trovare il tempo per dedicarvisi. Un difetto/non-difetto si può ricercare anche nell’andamento irregolare della trama, nel senso che a volte sembra che apra a certe direzioni per poi partire per la tangente e andare dalla parte opposta. Questo aspetto però è difficile da spiegare a parole, è più una sensazione vagamente fastidiosa che fa capolino ogni tanto durante la lettura.

Naturalmente si tratta di due peccatucci venali per un narratore di grande talento come Gibson, il quale tira dritto per la sua strada, fregandosene del fatto che molte cose di questo romanzo siano state viste e riviste in tutte le salse (basti pensare a un film come X-Men – Giorni di un futuro passato o alla serie tv Westworld), o che i vari aggeggi tecnologici siano anch’essi abusati all’infinito e finiscano per risultare un po’ datati. Il bello di questo romanzo è proprio il suo senso di freschezza, di beata ignoranza, di squilibrio sgraziato che sembra più appartenere a un giovane autore all’esordio invece che a un professionista affermato della narrativa quale è Gibson.

In fondo, però, che c’è di male? Meglio leggere un libro curato in ogni sua minima parte al punto da risultare asettico, oppure un libro vivo e vibrante anche grazie ai suoi difetti? Io al posto vostro non avrei il minimo dubbio.