Dylan Dog: La fiamma – Recensione

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Dylan Dog si addentra nell’attualità con una storia scritta da Emiliano Pagani, disegnata da Daniele Caluri

Qualcuno sostiene che gli eroi dei fumetti, per essere tali, dovrebbero vivere fuori dalla realtà, non entrare mai nel quotidiano, evitandolo per non venirne risucchiati e scontrarsi con scomodi confronti. Personalmente, credo che non esista nulla di più appassionante che vedere un personaggio di un fumetto sporcarsi le mani con l’attualità, prendere di petto temi ‘pericolosi’. Esattamente come ha fatto Dylan Dog con La fiamma, il numero attualmente in edicola.

Nell’ultimo anno, Dyd si è già coraggiosamente addentrato nella nostra realtà giornaliera, come ricorderà chi ha letto Il terrore. All’epoca, la storia di Gabriella Contu (disegnato da Casertano) era stata ingiustamente criticata da alcuni, che la ritenevano un manifesto buonista privo di contenuto concreto e poco vicino all’anima di Dylan. Non mi stupisce che sia ora un maestro della provocazione come Emiliano Pagani (se dico Don Zauker?) a regalarci una storia di Dylan che si radica profondamente nella nostra quotidianità, toccando argomenti molto delicati.

La fiamma vede Dylan Dog intento a sopravvivere durante una sommossa cittadina in uno dei quartieri popolari di Londra, dove il malcontento dei residenti per l’apertura di una discarica (ricorda niente?) sfocia lentamente in una rivolta contro l’autorità, un potere che reagisce inviando le squadre anti-sommossa di Scotland Yard. Ma non tutto è come dovrebbe essere, come sempre l’orrore è dietro l’angolo.

Sono tanti i temi che vengono affrontati nella storia di Pagani. Per capire come ho affrontato questa lettura, sappiate che ho preso La fiamma, poi sono entrato nel solito bar per il caffè ed infine ho letto l’albo. E mi sembrava di essere tornato al bar, ma non era più piacevole come dieci minuti, ora c’era una certa inquietudine.

Le prime tavole di La fiamma sono ambientate in un pub, in cui gli avventori si lamentano per l’ennesima protesta. Non è tanto il luogo a colpire, quanto le parole. Mentre in televisione passano le immagini della guerriglia urbana, il capopopolo da taverna del momento, criticando chi si oppone attivamente ad una decisione apparentemente impopolare, se ne esce con una frase che abbiamo sentito tutti in queste situazione, magari la abbiamo sentita in casa, o forse la abbiamo addirittura pensata almeno una volta

“Se fossero rimasti a casa o al pub, non gli sarebbe successo niente male di no?”

Già questa esclamazione ti sbatte in faccia la realtà. Poi il colpo di grazia, la richiesta di cambiare canale, per il celebre quiz dei fagioli di Jack (i più giovani magari non coglieranno l’omaggio a Raffaella Carrà, che lo faceva realmente nei primi anni ’80). Perché affrontare la realtà, se posso rintontirmi con la televisione?

Ecco il primo tema, l’impegno civile. Abbiamo diritto di lamentarci, se non siamo disposti a far qualcosa per cambiare il mondo, anche aderire ad una semplice protesta? Bella domanda, Emiliano!

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Ma fino a che punto è giusto spingersi? In La fiamma, Pagani riesce a inserire una domanda dietro l’altra, ci spinge a ragionare, mostrando tutte le possibili posizioni, in modo lucido e sincero, viscerale, senza costringerci a prendere le parti obbligatoriamente.

Alev, la ragazza di Dylan Dog in questo albo, tiene fede al suo nome (in turco significa proprio fiamma) ed è la scintilla che vuol dare vita alla rivolta. Abbatti il sistema, l’inazione e il dialogo non funzionano, la violenza è l’unica strada. Le sue argomentazioni sono forti, hanno un certo fascino ed incarnano scene già viste ai notiziari. E, in questo caso, Dylan è il punto di vista più moderato, con sarcasmo cerca di ridimensionare questa forza esplosiva.

Dall’altro lato, c’è la repressione della polizia, incarnata da un agente in tenuta da guerriglia, anonimo, senza volto, violento. La paura di ogni manifestante. L’entrata in scena dei bobbies corazzati è impressionante, sembra di sentire il loro passo di marcia uscire dalle pagine (merito di Daniele Caluri ai disegni), un senso di paura che serpeggia fino a colpire duro, quando scatta la ritorsione, la pacificazione degli insorti. E qui Dylan si erge contro questa violenza, prendendo le parti dei dimostranti, non tutti violenti come i black block che ci immaginiamo di solito.

La figura di Dylan in La fiamma per me è perfetta. Il suo non essere catalogabile in una delle parti in causa è un segno di profondo rispetto del personaggio, la sua visione del mondo non viene asservita ad una ragione politica, ma è la lente con cui il lettore vede questa storia, il personaggio supra partes che vuole capire questa delirante giornata di guerra di quartiere.

Se pensate che siamo di fronte ad un semplice ritratto di una polizia brutale, violenta, cambiate subito registro. La battuta di Tyron nella seconda metà dell’albo è chiara

“Dietro questi caschi non c’è nessun mostro, ma solo ragazzi che fanno il loro dovere, sono figli di gente normale”

Se pensate che sia facile raccontare una simile storia in modo così appassionato, ma senza dare un’accusa perentoria, provateci. Pagani con una abilità da equilibrista lo ha fatto. Perchéalla fine si vedono i limiti dei protestanti e dei poliziotti, le colpe e le giuste azioni, di entrambi gli schieramenti. Vedi i black block del G8 di Genova, ma anche i poliziotti che entrarono alla Diaz. Gli errori si fanno da entrambi le parti, accettiamolo.

Le citazioni e i riferimenti culturali sono un’altra raffinatezza di questo albo. Dal già citato gioco dei fagioli, si passa ad un Alan Moore versione guru che unisce meravigliosamente la mentalità del celebre autore alle dinamiche della storia. Segnale di stile l’evoluzione dell’onomatopea della marcia dei poliziotti, che con l’inasprimento della situazione e il loro atteggiamento di repressione passano dal Tump di tavola 6 al Trump di pagina 41.

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Questa splendida storia di Pagani ha una forza incredibile anche per l’ottimo lavoro di Daniele Caluri. In una storia in cui la tensione e la violenza sono sempre presenti, anche se non manifeste, trasmettere questa elettricità al lettore è essenziale, e Caluri non tradisce le aspettative. Prendo ad esempio tavola 38 ( la potete ammirare qui sopra), dove l’espressione cupa di Dylan si contrappone ad Alev che è pronta a lanciare una molotov. La ragazza è ritratta in un attimo di forza esplosiva, specchio della sua tensione interiore: il volto contratto dalla rabbia, il braccio teso nello sforzo. Sono i dettagli di questa tavola che fanno la differenza: la mano tesa e nervosa, i personaggi sullo sfondo. Ma soprattutto l’azione che buca i limiti della vignetta, come se fosse pronta ad esplodere con tutta la rabbia e l’ardore dei manifestanti oltre i confini dell’albo.

La fiamma è la prova che un fumetto non solo può, ma deve entrare nel reale. E Dylan Dog può farlo anche meglio di altri forse. L’orrore con cui spesso è associato il personaggio di Sclavi esiste anche nella quotidianità, in Dylan può venire romanzato per via della natura del media (è pur sempre un fumetto), ma l’origine la abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ed è giusto parlarne, anche in un fumetto.

Vorrei dire qualcosa anche sulla copertina di Cavenago, che è sempre all’altezza del suo compito, ma che con La Fiamma si supera. Solitamente metto la copertina in alto negli articoli, questa volta faccio un’eccezione, perché solo vederla può darvi l’idea di come sia intensa.

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L’appuntamento con Dylan Dog è per il 28 ottobre, con La fine dell’oscurità.