American Monster, l’America secondo Azzarello – Recensione

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American Monster, Brian Azzarello si addentra nella cupa provincia americana

Oramai parlare bene di saldaPress sembra essere ripetitivo, ma non si può non mostrare simpatia per una casa editrice che incastra una serie di colpacci non indifferenti. Dopo aver annunciato mesi fa l’ennesima collaborazione con un’etichetta interessante come Aftershock Comics, saldaPress ha tenuto fede all’impegno preso e da domani porta in fumetteria il primo albo nato da questa comunione d’intenti, American Monster.

Se qualcuno dovesse dubitare di questo nuovo arrivo, leggere sulla copertina il nome di Brian Azzarello è un buon viatico per iniziare a conoscere Theo Montclare, il protagonista di American Monster. Azzarello è noto per avere mostrato una certa predisposizione al racconto crime, una dimistichezza che ci ha portata opere come quella piccola gemme chiamata 100 Bullets o una collaborazione con Frank Miller per Batman. Con un simile background artistico, Azzarello può sicuramente vantare una certa credibilità.

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Quello che mi stupisce dell’autore è come riesce a usare strumenti narrativi che in mano ad altri rischiano di andare oltre, di rovinare anziché valorizzare la trama. Prendete il linguaggio. American Monster è tutto fuorché raffinato, i personaggi sono volgari, ma non fuori luogo, in un equilibrio delicato ma che non svanisce mai; la volgarità di Azzarello è connaturata ai personaggi, fa parte del loro tessuto sociale e della loro quotidianità, non è forzata. Per questo funziona, è spontanea.

American Monster si presenta come l’ennesimo tassello della carriera di questo autore. Se state cercando una storia dura, scorretta e che dei buoni sentimenti non ne vuole nemmeno sapere, Theo Montclare è il vostro miglior amico. Il mostro che dà il titolo alla storia è un’allegoria di un paese profondamente contraddittorio, che spesso conosciamo dalle immagini patinate delle grandi città e dai sorrisi di personaggi che sembrano incarnare l’american dream, ma il cuore dell’America, la sua anima vera è nei paesini, nelle piccole comunità in cui la popolazione sembra appartenere ad un’altra nazione.

Nonostante il protagonista sia sempre al centro della storia, Azzarello non dimentica di curare in modo appassionato un elemento fondamentale della storia: l’ambientazione. La provincia americana diventa un personaggio silenzioso, composto da mille anime che hanno il volto di residenti, ognuno incarnazione di una delle mille contraddizioni americane. Quello che stupisce è lo spaccato impietoso dei giovani del luogo, una compagine di amici che sembrano destinati ad un ingloriosa vita fatta di fumo e mezzuccoli, in cui una totale assenza di principi si accompagna alla necessità di una meta nella vita. La loro moralità inesistente, o calpestata, è forse il ritratto più estremo di Azzarello, che crea un incredibile contrasto tra due personaggi femminili, Snow e Candy.

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E in questo marasma si muove lo straniero, Theo Montclare, l’American Monster. Il suo aspetto orribile, le sue cicatrici, sono i ricordi di una guerra, del suo servizio per una patria al fianco di fratelli in divisa che lo hanno abbandonato, rendendolo ciò che è ora. C’è un passaggio chiave in questo primo albo, una domanda che assilla il nostro orrendo protagonista:

“Sono qui perché voglio sapere… perché esisto?”

Nella sua spietata caccia alle risposte, Theo ricorda un altro celebre mostro, quello di Frankenstein. Come il suo predecessore, Montclare è in cerca di una risposta alla propria esistenza, vuole sapere perché la sua vita ora è fatta di pietà o ribrezzo (emblematica la scena in cui rifiuta la solidarietà di un veterano). American Monster, anzi, l’American Monster è un personaggio tragico, forte e spietato, lo spettro di un’America vera, esagerato per necessità narrative, ma che attinge alle radici più autentiche e nascoste della società americana.

Azzarello non rinnega i difetti di una cultura provinciale fatta ancora di sfiducia nello straniero, popolata da elementi criminali che vedono nello stato federale il nemico della libertà o che fanno della religione un’ottima leva per smuovere a proprio favore le masse più deboli di una cittadinanza dimenticata da Washington. E in tutto questo inserisce Theo, specchio deforme della vera America, in cerca di una propria ragione di vita, che inevitabilmente sconvolge gli equilibri già precari della piccola comunità.

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Come se non bastasse, Juan Doe riesce a creare un notevole impatto visivo. Il tratto è sproporzionato, per nulla realistico, ma ha una sua forza, una concretezza che ben si sposa con la narrazione di Azzarello. Theo è orrendo ma al contempo umano, riesce ad essere imponente ma a risultare anche fragile in alcuni momenti, con una scelta quasi da cartoon, ma che sa sfiorare con delicatezza il grottesco per Theo e offrire uno spaccato della provincia degradata. Sempre di Doe sono i colori, dove il rosso della pelle di Montclare si staglia su tinte che vanno dal verde acide alle sfumature ocra, sempre studiate per dare il massimo trasporto emotivo al lettore.

American Monster si rivela un prodotto interessante, la riconferma dello stile di Azzarello, che con il suo nuovo personaggio entra ancora più prepotentemente nella società americana, esagerando a fini narrativi, ma comunque mostrando la provincia a stelle strisce nella sua anima contraddittoria.