Star Trek Discovery: l’avventura ha inizio – Recensione

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Star Trek Discovery inizia oggi la sua avventura, con i primi due episodi disponibili su Netflix!

Dopo una lunga estate di curiosità, perplessità e critiche preventive, finalmente oggi su Netflix sono arrivati i primi due episodi di Star Trek Discovery, la serie che riporta l’universo di Gene Roddenberry al suo formato originario, quello serial. Da appassionato trekker non ho atteso più del necessario per arruolarmi nella Flotta Stellare e seguire le avventure dell’equipaggio della USS Shenzou.

Sfortunatamente, non sarà possibile il binge watching tipico di Netflix, visto che Star Trek Discovery sarà offerto con un rilascio settimanale, il lunedì. La prima parte della serie andrà avanti fino ai primi di novembre, con poi una pausa fino a gennaio 2018.

La vera domanda che ci ha seguiti nell’attesa di questa nuova serie di Star Trek è stata una: quanto Star Trek ci sarà? Discovery si inserisce in uno dei lassi temporali meno noti della cronologia di Star Trek, il periodo tra Enterprise e la Serie Classica, un arco di tempo in cui la Federazione muoveva i primi passi e di cui si è saputo poco, tranne qualche riferimento sparso nei cinquant’anni di Star Trek.

Colmare questo gap è un compito non da poco, sia dal punto di vista narrativo che da quello puramente visivo. Si tratta di sapere adattare una tecnologia meno sofisticata rispetto a quanto visto con la serie classica, figlia degli anni ’60, con un’idea di serial hi tech che si rivolge al pubblico moderno, che ha ancora negli occhi la visione di Abrams e del nuovo corso cinematografico di Star Trek.

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Non è un caso quindi che l’impostazione di base nella regia si avvicini maggiromente a quanto visto negli ultimi anni al cinema che non alla tradizione, con la plancia della Shenzou che sembra insolitamente buia rispetto ai luminosi ponti visti in The Nex Generation o Voyager, ad esempio; torna il marchio di fabbrica di Abrams, l’abusato lens flare, che in Star Trek Discovery viene usato con parsimonia e soprattutto logica!

Operazione, quindi, complicata, che richiede un elemento fondamentale: uno spettatore comprensivo. Cercare ad ogni costo una linearità tecnologica è impossibile, bisogna accettare che Discovery è un serial pensato per il pubblico moderno, abituato a un certo stile e che merita il meglio. Il vero senso di questo nuovo serial di Star Trek è il rispetto dello spirito originale dell’opera, quello non ha bisogno di ritrovati visivi ma di una buona scrittura.

Primo passo, come sempre, la sigla. Abbandonata la sigla con canzone usata con Enterprise, si torna alla vecchia scuola, con un tema che pur suonando nuovo mantiene quel tocco di classico che fa subito sentire a casa lo spettatore affezionato, specialmente sul finale in cui le note tipiche di Star Trek sembrano darci il bentornato. Ho apprezzato molto l’idea di mostrare le schematiche della Discovery o le animazioni di dettagli dell’equipaggiamento della Flotta, fino al volo finale della Discovery. Niente da dire, la sigla è perfetta!

I primi due episodi, Un saluto vulcaniano e La battaglia delle stelle binarie, sono in effetti ben inseriti all’interno del mito di Star Trek. La Federazione è ancora giovane, idealista oltre ogni modo, nonostante alcuni ufficiali vedano la missione di esplorazione come un qualcosa di non esclusivo, senza dimenticare che nello spazio è pieno di pericoli.

La distinzione di queste due correnti di pensiero viene resa alla perfezione dalle due figure forti di questo incipit, Philippa Georgiou (Michelle Yeoh) e il suo numero uno Michael Burnham (Soneqa Martin Green). Le due donne sono ben caratterizzate, credibili nel proprio ruolo, in un equilibrio dinamico e coinvolgente; non è facile far convivere sullo schermo due figure così forti, ma la trama ed il ritmo di questi due primi episodi ha il pregio di valorizzarle e mostrare tutta la potenzialità del serial.

Burnham, la protagonista di Star Trek Discovery, è un personaggio interessante. Sopravvissuta ad un attacco Klingon, cresciuta dal leggendario vulcaniano Sarek (padre di un certo Spock) ed ora ufficiale della Flotta Stellare, divisa fra la sua educazione vulcaniana e la sua anima umana. Già in Un saluto vucaniano, Burnham appare come il personaggio che meglio incarna il tono di questa serie, in cui lo spirito di conoscenza della Federazione dovrà piegarsi alle esigenze della guerra, come spesso accade quando entrano in scena i Klingon. Affascinante l’idea di mettere al centro della storia un ufficiale non proprio classico come Burnham, che in questi due primi episodi sembra finire preda di una parabola discendente della sua carriera, piagata da una perdita incredibile e che sembra essere destinata a soffrire per colpa dei Klingon.

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Ecco, i Klingon. Pur tenendo presente il discorso sulla contemporaneità del prodotto, bisogna dire che la razza guerriera di Qo’noS è stata praticamente ridisegnata da capo, privandoli totalmente del loro aspetto classico. Pur essendo la razza che più è stata ridefinita all’interno del mito di Star Trek, nelle serie precedenti (specialmente in Enterprise) si era tentato di dare un senso al loro mutare di serie in serie. Star Trek Discovery presenta dei Klingon che nulla hanno dei loro omonimi, in nessuna delle precedenti serie, tranne la lingua.

Le celebri creste craniali sono diventate un qualcosa di totalmente diverso, con tratti facciali accentuati e che ricordano più un Ingegnere del nuovo corso di Alien che non un Klingon. Stesso discorso per tutta l’architettura barocca che vediamo nelle astronavi kligon, una ricerca del dettaglio raffinato che mal si sposa con la tradizionale cultura spartana e pratica dei guerrieri di Qo’noS. Visivamente è una gioia per gli occhi, chiariamoci, ma si discosta grandemente dalla tradizionale visione della semplicità Klingon.

Ma questo nuovo stile Klingon, per quanto mi sia sgradito, mi ha rovinato l’esperienza ? Assolutamente no! Star Trek Discovery ha saputo mettere su schermo una serie di ottimi spunti, personaggi che ricordano vecchie dinamiche senza essere puro fan service, riuscendo ad offrire un intrattenimento verace, abbastanza rispettoso del mito di Star Trek andando a mostrare l’altra faccia della Flotta Stellare, quella delle origini, con le prime difficoltà di una neonata Federazione. Ho storto un po’ il naso per la scena in cui la Georgiou riesce a disegnare un perfetto delta federale come segnale nella sabbia, durante un’imminente tempesta, ma la spettacolare scena seguente mi ha subito gasato al punto che il perdono è stato automatico.

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Da spettatore, devo ammettere che lo show di Netflix si presenta in modo eccelso. Il design delle navi federali è innovativo pur mantenendo una linea di continuità con il classico stile della Flotta Stellare, e il livello tecnologico viene reso in modo affascinante, con una plancia che pur ricordando maggiormente le ultime incarnazioni di Star Trek, risulta affascinante e coinvolgente. Nonostante l’audio in alcuni casi subisse degli strani abbassamenti, specialmente nel secondo episodio quando erano Georgiu e Burnham a parlare, durante la battaglia Star Trek Discovery ha mostrato un ottimo livello, e anche il sonoro ha contribuito ad un buon coinvolgimento dello spettatore, complice una colonna sonora discreta e in linea con gli eventi.

Dopo la paura di questi mesi, posso tirare un sospiro di sollievo. Star Trek Discovery sembra voler offrire una narrazione più vicina ai serial moderni, offrendo allo spettatore occasionale una serie di fantascienza accattivante, ma dando all’appassionato del brand un serial che mostri un periodo storico della Federazione ancora oscuro eppure centrale nel mito di Star Trek, seppure con alcune discrepanze piuttosto vistose in alcuni personaggi, uno su tutti Sarek. Prima di essere secco nel giudizio, preferisco aspettare ancora un episodio e vedere come si evolve l’ambasciatore di Vulcano, ma il Sarek visto in questi due episodi si discosta molto da quello interpretato da Mark Lenard nella serie originale.

Ora dobbiamo solo armarci di pazienza e aspettare lunedì prosssimo per il terzo episodio, ma con vulcaniano stoicismo lunedì saremo nuovamente davanti allo schermo.

Tai nasha no karosha