In casa Netflix il comparto Marvel si sta assottigliando sempre di più cuasa gli annunci di chiusure prevedibili (come Iron Fist e Luke Cage) ed altre più sorprendenti, come nel caso di Daredevil.
A tenere alto il buon nome della Casa delle Idee, ironicamente, è il meno “super” dei supereoroi Marvel approdati sul catalogo del colosso dello streaming The Punisher 2 è un punto a favore delle serie ispirati ai fumetti, che solo pochi giorni fa avevano ampliato la loro presenza sullo schermo con Titans, un prodotto della Distinta Concorrenza.
ll passato non dimentica e riemerge con prepotenza in The Punisher 2, la seconda stagione della serie Netflix dedicata a Frank Castle
The Punisher merita una certa fiducia, dato che all’interno di un mosaico seriale in cui Frank Castle rappresenta l’unico non supereroe, è proprio questo granitico ex soldato a sembrare il più convincente.
Non è un caso che la prima stagione sia stata presentata come uno spin off di Daredevil, merito dell’ottima interpretazione di Jon Bernthal nel ruolo di Castle.
L’attore ha fatto proprio il pesante teschio di Castle, dando per la prima volta una visione del disturbato personaggio (che il nostro Frank sia disturbato è indubbio) che sia appassionante e coerente, distaccandosi molto da quanto fatto in passato da Lundgren o Jane.
Nella prima stagione di The Punisher, la difficoltà di Castle nell’accettare la propria sofferenza era il focus dell’intera serie, con Frank sempre sotto i riflettori.
Alla fine, però, dopo avere regolato i conti con Billy Russo (Ben Barnes), Castle è sparito dalla circolazione dopo aver stretto un accordo con la Homeland Security.
Nel primo episodio, lo si rivede intento a costruirsi una vita nuova in Ohio, intento a riprendersi una parvenza di normalità che gli consenta di ripartire dopo la sua tragedia personale.
Ma quando sei Frank Castle, se non ti cerchi i guai, sono loro che vengono a beccarti.
Intelligente, in tal senso, l’impostazione del primo episodio. Quella che diventerà in breve tempo la fonte dei problemi di Frank compare sin dall’inizio, non sbattuta in primo piano, ma sottilmente presente, con una visibilità che man mano prende più corpo.
La giovane Rachel (Giorgia Whigham) cerca di sfuggire ad una misteriosa banda di assassini, intenzionati a scoprire quali siano le pericolose informazioni in suo possesso.
The Punisher 2 lascia emergere in modo onesto anche i comprimari delle avventure di Frank Castle
Inevitabilmente i due finiscono per rimanere legati, complice l’istinto di Frank nel fare la cosa giusta, almeno secondo il suo distorto codice morale.
Da un’iniziale sfiducia, specialmente da parte della giovane, si passa ad un crescendo emotivo che avvicina i due, dando vita anche ad alcune situazioni di alleggerimento ironico che ben si adattano al tono fin troppo cupo della vita di Frank.
Con questa seconda stagione, The Punisher presenta una diversa gestione di Frank Castle.
La sua guerra personale contro la criminalità si distacca molto dal canone fumettistico, divenendo più una reazione a stimoli esterni che non una volontà interiore.
Il Castle di Bernthal è più reale della controparte cartacea, ha una psicologia più complessa e ben gestita, in cui il suo feroce odio represso ribolle sempre sotto la superficie, pronto a eruttare nei momenti di massima tensione.
Ma fino ad allora, viene tenuto a bada da una disperazione e una struggente voglia di ricominciare che rendono l’interpretazione di Bernthal vincente, specialmente nel primo episodio.
Vedere il volto stanco e arrendevole di Frank riprendere un minimo di interesse, spronato da una barista con figlioletto al seguito, è stato un buon esordio.
Così lontano dal Punisher fumettistico, eppure incredibilmente definito e ben inserito nel contesto del Marvel Cinematic Universe, in costante fuga da un passato che sembra non lasciargli scampo.
E questo passaggio contempla l’aiutare anche Rachel, scoprendo degli avversari intriganti come il predicatore assassino John Pilgrim, braccio armata di una particolare lobby intenzionata a colpire profondamente la vita americana.
Tutti questi elementi, per avere solidità, richiedono spazio all’interno della trama e giustamente gli sceneggiatori non intendono lasciare nulla al caso o fornire zone buie alla storia.
Ogni episodio si lega al meglio con la trama della stagione, dando vigore alla narrazione. Inevitabile alcuni rallentamenti, necessarie battute d’arresto al ritmo per costruire le solida fondamenta di questo ritorno di Castle.
Ovviamente per costruire questo spessore è necessario un sacrificio: lasciare, a tratti, il personaggio di Frank in ombra.
Frank Castle mostra pienamente le sue doti di combattente in alcune delle migliori scene di lotta degli ultimi tempi
The Punisher 2 lascia, in effetti, più spazio al riemergere del passato di Castle piuttosto che allo stesso Punitore.
Non è un male, sia chiaro. Fornire ad un personaggio principale dei comprimari solidi e ben caratterizzati, specialmente se questa cura dona vigore e tridimensionalità ai villain, è un ottimo modo per dare solidità e concretezza all’intera serie.
Ad esser particolarmente valorizzato è Billy Russo, che al termine della prima stagione rimaneva orribilmente sfigurato.
La sua caratterizzazione è ben gestita, nonostante il nostro indagare nella sua psiche è spesso guidato dal poco convincente personaggio della psicoterapeuta.
Nonostante ciò, però, Russo avrebbe meritato un maggior coraggio da parte degli sceneggiatori nel renderlo veramente quel Jigsaw fumettistico che tutti i fan del Punitore aspettavano, già mostrato in modo convincente in Punisher: War Zone.
Per quanto sfigurato, Russo non riesce ad esser convincente nel ruolo, complice il timore di sfigurare troppo l’attore belloccio, anche in questo modo contrapposto alla durezza facciale di Castle.
Dove non si è lesinato, è nella gestione della violenza e delle armi.
Scelta criticabile da un punto di vista educativo? Forse si, ma stiamo parlando del Punitore, un personaggio che sin dall’inizio nasce come incarnazione di un’America violenta e fuori controllo, seguendo una linea narrativa che negli anni ci ha offerto Natural Born Killers o il Bill Foster di Michael Douglas.
E siamo onesti, in una serie del Punitore ci si aspetta anche questo.
La fisicità di Bernthal è perfetta per il ruolo, mette su schermo un Castle selvaggio e granitico, maestro nel combattimento.
La scelta eccellente di concentrare la maggior parte degli scontri in ambienti raccolti è ottima per valorizzare le capacità di Castle, capace di incassare una serie incredibili di colpi e ferite, salvo poi trasformarsi in una feroce macchina da guerra in grado di affrontare qualunque scontro, vittorioso. Almeno, dal punto di vista fisico, altro discorso sarebbe la vittoria morale ed interiore.
Al termine di questa seconda stagione di Punisher, è indubbio che Netflix conservi ancora un pezzo da novanta nel proprio catalogo di produzione ispirati ai fumetti.
Castle è da sempre un antieroe urbano che si è contrapposto spesso ai metaumani, e questa serie dimostra come questa identità di Castle sia la chiave stessa del successo della serie ispirata a Frank Castle.
Il timore che anche Punisher incontri l’infausto destino di Daredevil è reale, ma sarebbe un vero errore da parte di Netflix, anche se abbiamo avuto, in un certo senso, una chiusura alla vicenda umana di Frank Castle, ma come dice il Punitore: La guerra non finisce mai.