Ven 26 Luglio, 2024

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La Tempesta di Sabbia: il coraggio di far restare le cose come stanno – Recensione

Netflix firma un film forte e difficile da comprendere, ma La tempesta di sabbia ci mostra il grande coraggio delle donne beduine

Negli ultimi tempi, i diritti delle donne, non di rado calpestati, ignorati e violati, hanno avuto un’eco molto forte in tutto il mondo.

Le continue lotte contro la disparità dei sessi, i soprusi e le violenze sia fisiche che psicologiche, sono all’ordine del giorno e tantissimi sono gli scrittori, registi e sceneggiatori che hanno puntato la loro attenzione verso le donne dei paesi in via di sviluppo, cercando di denunciare forme di violenza che, in alcuni casi, si trasformano in sfruttamento, disprezzo e schiavitù.

Anche Netflix sembra aver voluto dare il proprio contributo a questa lotta per la vera e definitiva emancipazione femminile con un film sulla vita delle donne beduine che vivono in una società tradizionalista e patriarcale.

La calma prima della tempesta

La tempesta di sabbia (Sufat Chol) è una pellicola israeliana diretta da Elite Zexer in lingua araba. Cominciamo col dire che il doppiaggio italiano è abbastanza penoso, quindi, se avete la possibilità, guardatelo in lingua originale sottotitolato o al massimo in inglese.

La storia è quella di Jalila (Ruba Blal) e Layla (Lamis Ammar), madre e figlia, che si ritrovano a combattere contro una vita che non vogliono e che non riescono ad accettare.

Il marito di Jalila, interpretato da un notevole Hitham Omari, ha deciso di prendere una seconda moglie, molto più giovane: Jalila ne rimane offesa anche se le tradizionali usanze beduine riguardo la poligamia dovrebbero essere accettate e condivise da parte di tutte le donne della tribù. Le preoccupazioni maggiori della donna, però, derivano principalmente dalla figlia Layla la quale, contro ogni veto, si è innamorata di un ragazzo di un’altra tribù ed è decisa a sposarlo, pur sapendo che la sua famiglia non acconsentirà mai a questo matrimonio.

La caratteristica che permea questa pellicola è il senso di sacrificio di Layla. La giovane, pur guardando con una lucidità disarmante la realtà della sua misera condizione, non si sottrae ad essa, non per paura di essere punita, né tanto meno per una sorta di dovuta obbedienza verso la famiglia, bensì con la speranza che le sue sorelline più piccole possano godere di un futuro e di una vita con più diritti.

Ci troviamo davanti ad una vera e propria doppia rivolta: da una parte una moglie (Jalila) che si sente offesa e trattata come un oggetto, dall’altra una figlia (Layla) che cerca di rivendicare il diritto di scegliere la sua vita e inseguire i propri sogni. Ognuna delle due donne cerca, a modo proprio, di cambiare le regole immutabili della loro società.

La tempesta di sabbia non è un film per tutti, bisogna possedere una capacità introspettiva e di identificazione con i personaggi non certo così comune.

La pellicola è priva di colpi di scena, l’azione è quasi del tutto inesistente e il ritmo è molto lento.

Cuore pulsante del film sono i dialoghi inframmezzati da lunghi e riflessivi silenzi, da sguardi profondi e frasi sottintese, con le due protagoniste che hanno svolto un lavoro notevole proprio in questa direzione, interpretando ruoli di chi, spesso, non ha voce e resta inascoltato.

Il film risente molto di questa sorta di criptica enigmaticità, soprattutto perché questa caratteristica evidente rende l’interpretazione delle due attrici davvero difficile e allo spettatore viene chiesta una sensibilità e una complicità inusuale, nonché una rielaborazione personale autonoma.

La metafora meteorologica che non c’è

Il titolo promette fin da subito l’arrivo di una tempesta. Lo spettatore si aspetta un percorso caratterizzato da una tensione sempre più soffocante, fino a raggiungere un picco dominato da caos, momentanea cecità e sofferenza.

È questo che succede durante una tempesta di sabbia, giusto?

Eppure, lo spettatore, come le protagoniste stesse, esce da quella tempesta senza essersi neanche accorto di esserci finito dentro.

Tutto passa attraverso un silenzio ostinato e poche caute obiezioni.

Sia Jalila che Layla affrontano la paura e l’umiliazione con freddezza, senza lasciarsi andare, senza chinare la testa. Sono coraggiose da quando erano bambine e hanno imparato ad inscatolare le loro emozioni senza fare scenate. Si sacrificano in silenzio, consce di contribuire, con il loro silenzioso ma importante contributo, a dare un futuro, anche se ancora molto nebuloso, alle donne di domani.

Una denuncia diversa

Quella della regista è una denuncia concreta che deriva direttamente da una visione amara e lucida della realtà. È una denuncia che si fonda sulla disillusione delle donne che vengono offese e umiliate ogni giorno, relegate al ruolo di serve o addirittura di semplice merce di scambio. È il coraggio di far restare le cose come stanno (cambiandole però nel profondo), è l’acqua cheta che fa crollare i ponti.

Ma la realtà messa in mostra da la Tempesta di Sabbia ci riguarda molto più di quanto noi possiamo immaginare, Jalila e Layla vivono al nostro fianco, ogni giorno.

Anche le donne occidentali sono vittime di soprusi e le vite che vengono illustrate in Tempesta di sabbia non sono poi così lontane dalle nostre. È vero che noi donne occidentali ci siamo affrancate da culture e vite spesso parallele a quelle di Jalila e Layla ma a volte, il mondo moderno si riscopre androcentrico con tutti i problemi che, per le donne, derivano da ciò.

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