Ven 26 Luglio, 2024

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Fino all’osso: i volti dell’anoressia – Recensione

Non è la prima volta che un progetto originale Netflix fa discutere perché tocca temi delicati: ricorderete senz’altro le polemiche su Tredici, Okja e tante altre produzioni.

Per Fino all’osso (To the Bone) non è stato diverso e, anche se l’accoglienza al Sundance Film Festival 2017 è stata più che buona, sono scattate le critiche fin dalla sua prima apparizione sul catalogo di Netflix nello scorso luglio.

Il nuovo film di Marti Noxon (conosciuta soprattutto come produttrice esecutiva di Buffy l’ammazzavampiri) narra la storia di Ellen (Lily Collins), una ragazza ventenne che soffre di anoressia.

La giovane protagonista viene convinta dalla sua famiglia ad entrare in un gruppo di auto-aiuto, dove viene seguita dal dottor Beckham (Keanu Reeves).

Attraverso una terapia basata su “punteggi e livelli”, Ellen si ritroverà a lottare per (e contro) il proprio obiettivo.

Tanti volti, un nemico comune

Nella casa dove Ellen inizia la terapia ci sono altre sei ragazze ed un ragazzo, Luke, più i membri dello staff medico.

Tutti i ragazzi presentano sfaccettature diverse dello stesso disturbo: c’è chi si rifiuta di mangiare, chi si ammazza di attività fisica, chi vomita dopo ogni pasto e chi è tenuto in vita solo grazie a un sondino.

Ognuno di loro ha le proprie esperienze negative alle spalle, ma tutti hanno la stessa voglia di tornare a stare bene.

Il problema è che, come dice il proverbio, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare: non è facile tornare ad essere quelli di prima e ad abbandonare abitudini (anche se deleterie) che sono ormai parte di noi.

Un ruolo importante è giocato proprio da Luke, un promettente ballerino che attende con ansia il giorno in cui potrà tornare sul palco, perché si, spesso ce lo dimentichiamo, ma l’anoressia non colpisce solo le donne.

Ellen è un po’ Hannah Baker

Vi ricordate di Hannah Baker, la protagonista di Tredici? Nella recensione della serie avevamo spiegato come il suo personaggio non fosse stato ben caratterizzato con completezza.

Ellen è un po’ come Hannah Baker, nel senso che sappiamo ben poco di lei: perché è diventata anoressica, ad esempio? I suoi stessi discorsi non sono particolarmente illuminanti, anzi, sembrano solo sfoghi di una ragazzina.

È vero, fare un film sull’anoressia non è affatto facile, ma qualche considerazione concreta e profonda bisogna pur metterla in bocca alla protagonista.

La malattia andava spiegata meglio da parte di Ellen, uno sbrigativo “non riesco a smettere” non ci sembra essere sufficiente.

Fino all'osso

Un film basato su esperienze vere

Fino all’osso in realtà è un film strettamente autobiografico: la regista ha infatti vissuto sulla propria pelle la malattia nel periodo tra le superiori e l’università.

Il suo periodo di crisi, sfociato poi nell’alcol, è durato molto e si è risolto solo dopo la nascita dei suoi figli.

Non si tratta quindi di un progetto improvvisato, ragionato solo in vista di una possibile notorietà, ma del frutto di un’esperienza che ha completamente cambiato la vita di Marti Noxon.

Fino all'osso

Anche la stessa attrice Lily Collins ha sofferto di disturbi alimentari: prima la bulimia e poi l’anoressia.

Per l’attrice, lo immaginiamo alla perfezione, girare il film è stato per lei piuttosto traumatico, con i fantasmi del passato che sono prepotentemente tornati a galla, come confessato dalla stessa Collins nel corso di una recente intervista:

“Questo è stato per me un ruolo molto drammatico. Ho sofferto di anoressia da ragazzina e, quando ho ricevuto il copione, mi sono sentita come se tutto l’universo mi invitasse ad affrontare i miei vecchi turbamenti.”

Fino all’osso è a tutti gli effetti la condivisione di esperienze reali, che mira a sensibilizzare gli spettatori e a far capire che non si tratta semplicemente di un capriccio tipico delle teenager, né di un banale litigio con lo specchio.

fino all'ossoNon è una questione di moda

Molte delle polemiche che ci sono state (specialmente negli Stati Uniti) derivano dalla paura che il film faccia passare l’anoressia come una moda, banalizzandola.

Ma chiunque abbia guardato la pellicola con attenzione sa che non è così. L’anoressia viene mostrata per quello che è: un disturbo, una sindrome di interesse psichiatrico. Non si tratta quindi di un’ossessione per la taglia giusta, della voglia di assomigliare a delle modelle o della fobia del cibo.Non è un capriccio giovanile.

I protagonisti hanno veramente voglia di vivere, di cambiare, di tornare come prima… ma non è facile. La lotta non è contro il cibo, ma contro se stessi.

Nella casa di recupero tutti fanno finta di migliorare con passi da gigante, ma non è così. I ragazzi mentono, minimizzano, mostrano di essere ottimisti, ma non stanno migliorando.

L’anoressia non è una moda, non è glamour, e quando ci si è dentro è come essere in un labirinto: bisogna trovare un’uscita per sopravvivere, ma si continua ad avanzare senza sapere in quale direzione andare; spesso si è convinti di esserne quasi fuori, ma in realtà si sta camminando nella direzione sbagliata.

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