Su Netflix è approdato ieri il live motion di Full Metal Alchemist (Hagane no renkinjutsushi), ispirato ad uno dei manga più apprezzati del nuovo millennio ideato da Hiromu Arakawa. La fama di questa interessante serie si è in seguito ancora più diffusa grazie alle due serie di anime che in Italia abbiamo potuto ammirare su MTV, che all’epoca era uno dei canali principali per la diffusione di anime (Alexander, GTO, Inuyasha, e via discorrendo).
Full Metal Alchemist poteva vantare una complessità di temi ed una gestione delle relazioni tra i vari componenti della narrazione estremamente avvincenti. Il fascino dell’alchimia, al centro della storia, si innestava su una costruzione sociale ed una ramificazione di argomenti, una complessità che era difficile condensare nei 134 minuti di questo live action. Ma qualcosa andava pur fatto, sembra il pensiero dietro questo film.
Full Metal Alchemist si ispira all’omonimo manga, tentando di condensare tutto il fascino dell’opera originale in un film
Al centro della storia del manga ci sono due fratelli, Alfonse ed Edward Eldric, appartenenti alla famiglia di un noto alchimista, intenti nello studio della materia magica. Un giorno la madre muore davanti ai loro occhi, e i due fratelli decidono di ricorrere all’alchimia per riportarla in vita, ma la loro inesperienza porta alla catastrofe.
Alfonse viene ucciso in questo incidente, portando Ed a sacrificare un braccio e una gamba secondo la legge dello scambio equivalente per ottenere indietro l’anima del fratello, che verrà conservata all’interno di un’armatura vivente. Da questo momento, Ed intraprende un percorso che lo porterà ad esser un grande alchimista, con l’obiettivo finale di trovare la leggendaria pietra filosofale, magico oggetto in grado di ridare ad Alfonse il suo corpo.
Il film di Fumihiko Sori ha un compito ingrato, questo va riconosciuto al regista. Le recenti produzioni che tentano di portare nel mondo del cinema i manga più amati non hanno riscosso particolare successo nel mercato occidentale, come dimostrato da Death Note o da Ghost in the shell. Si tratta di condensare in poco tempo tutto il contesto narrativo di serie che possono contare su anni di pubblicazione, una sfida davvero temeraria e, purtroppo, destinata alla sconfitta.
Nell’affrontare questa tipologia di produzioni, si sa già che i puristi del manga usciranno delusi, come accade agli appassionati di comics che si sentono traditi dai cinecomics. Il vero obiettivo, probabilmente, è condensare il meglio di un manga per offrirlo ai nuovi spettatori, creando nuovi appassionati. Non si possono accontentare fan e nuovi spettatori, chi accontentare dunque? La tentazione in cui è caduto anche Sori è di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ma è un gioco di equilibri che non riesce mai.
In questo, Full Metal Alchemist riesce a raggiungere il suo obiettivo solo in parte. Sori cerca di mantenere una certa aderenza agli elementi base del manga e dell’anime, in modo da dare alle new entry in questo contesto narrativo una parvenza di comprensione. Ne esce una spiegazione spesso rapida e confusa, che non ha sufficiente solidità narrativa e cerca di concentrarsi principalmente sul fattore visivo.
Ma anche qui non siamo proprio ben messi, ammettiamolo. L’apertura di Full Metal Alchemist vede come sfondo la nostra Volterra, e le inquadrature cercano di rendere giustizia anche alla bellezza della città toscana, ma son sempre abbastanza sterili, mancano di un guizzo stilistico che sappiano sorprendere lo spettatore.
Full Metal Alchemist conta maggiormente sull’aspetto visivo che non sulla solidità narrativa
Full Metal Alchemist cerca di scimmiottare lo stile visivo dell’anime, senza considerare che quello che in un anime funziona (espressioni esagerate, posture e prospettive innaturali), in un film risulta a volte ridicolo. A complicare la vita ci si mette un cast che è quanto di più lontano possa esistere dal perfetto tramite emotivo.
Ed è interpretato da Ryosuke Yamada, con una recitazione che in certi punti è quasi fastidiosa, fatta da faccette buffe e pose da cosplayer più che da attore. E parlando di cosplay, la resa di Al con la sua armatura è di livello poco superiore ad un buon cosplay visibile a Lucca. Anche i dialoghi non sono particolarmente emozionanti, raramente raggiungono quel pathos che tiene lo spettatore incollato allo schermo.
Full Metal Alchemist, proprio per la sua natura, richiede un discreto impiego di CGI, visto che trasmutazioni, lotte e ambientazioni necessitano di un intervento piuttosto massiccio. Nella battaglia iniziale a Volterra la CGI (vedi la prima fase dello scontro con il Vicario) pare essere a livello base, Ed rimbalza sull’onda di pietre in modo ridicolo e troppo plastico. Nel resto del film la CGI mostra qualche miglioria, ma senza mai raggiungere grandi livelli.
Full Metal Alchemist è una produzione che riesce ad emergere nella massa dei live action, ormai un vero e proprio fenomeno nel mercato asiatico (solo nel 2017 ne sono stati realizzati più di 15), ma come il resto di queste produzioni manca l’impatto emotivo verso lo spettatore.
Le realizzazione di questo film sembra quasi un mostrare i muscoli delle capacità tecniche nella CGI, che comunque ha ancora tanta strada da fare, dimenticandosi di curare la parte emotiva e di narrazione, che sono i punti deboli di Full Metal Alchemist.
Ribadendo come sia difficile come sia difficile condensare tutta un’ambientazione in un film di poco più di due ore, Full Metal Alchemist rimane comunque una delle peggiori trasposizioni disponibili, vagamente piacevole per chi non conosce l’opera originale e non cerca un film di alto spessore.