Black Mirror 4×05: Metalhead – Recensione

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Black Mirror, con questa quarta stagione, ha dovuto far fronte all’esigenza di creare nuovi episodi, mantenendo alta la qualità . La stada scelta da Brooker è stata la voglia di esplorare nuove strade, mantenendo comunque una certa linearità con l’impostazione di fondo della serie. Finora, questo aspetto è stato un buono spunto per episodi come Arkangel o Hang the DJ, ma Metalhead sembra sconvolgere nuovamente l’andamento di questa stagione.

Affidato alla regia di David Slade (30 giorni di buio), Metalhead ci trasporta in un imprecisato futuro in cui l’umanità è costretta a vivere in una sorta di civiltà post-apocalittica. Protagonista è una donna, interpretata da Maxine Peake, che durante la ricerca di una preziosa risorsa per il suo gruppo finisce per attivare erroneamente un pericoloso robot, nascosto in un magazzino. Questo è l’inizio della sua odissea personale, in una lotta tra uomo e macchina.

Black Mirror con Metalhead mette in sfida l’istinto di sopravvivenza umano con la tenacia di un robot

Parlare di rapporto con la tecnologia in Black Mirror è ormai scontato. Il tema è la linea narrativa che unisce tutti gli episodi, che diventano declinazione di questa idea, in modo da offrire una approfondita analisi di questa sempre più crescente interazione. Se finora i diversi episodi del serial sono riusciti a dare a questo spunto la giusta importanza, creando un buon feeling tra spettatore e storia, Metalhead si discosta molto da questa linea guida.

Solitamente, lo sviluppo tecnologico è funzionale alla storia, ne è la base e sostiene in ogni istante eventi e personaggi. Storie i più recenti Crocodile o U.S.S. Callister hanno questa componente narrativa sempre al centro degli eventi, sottilmente inserita o platealmente inserita in bella vista. Metalhead, forse seguendo lo spirito sperimentale di questa stagione di Black Mirror, abbandona questa tradizione. La presenza del robot che insegue la donna è un elemento fantascientifico e tecnologico molto realistico, al punto che ricorda in modo vagamente inquietante il robot Spot della Boston Dynamics. Ma oltre a questo minimo contatto con la contemporaneità, comunque legato ad un interesse specifico di alcuni appassionati, non si notano quei legami con la nostra vita quotidiana che da sempre rendono coinvolgenti gli episodi di Black Mirror.

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Tutta la costruzione di Metalhead è basata sul senso di angoscia e l’istinto di sopravvivenza della donna. La trama è ridotta all’osso, l’ambientazione post-apocalittica consente di creare un mondo scarno, privo di dettagli, che trasmette il senso di catastrofe sfruttando una certa famigliarità ad opere come Mad Max. Ma di originale, di proprio, mostra poco. Qualche riferimento alla situazione umana lasciato trapelare durante l’unico dialogo tra il gruppetto di sopravvissuti ad inizio episodio è tutto ciò che ci viene offerto, lasciando un senso di approssimazione.

Slade ha affermato di volere creare un episodio di Black Mirror che raccontasse il tramonto dell’umanità, basandosi sull’idea di Brooker. Sicuramente è d’impatto la scelta di volere girare Metalhead in bianco e nero, una decisione autoriale che esalta il senso di pericolo e disperazione. La fotografia di questo episodio è convincente, specialmente nella fuga nel bosco. Le due tinte e le loro sfumature trasmettono il forte contesto emotivo di questo episodio, complice una recitazione sontuose della Peake, che da sola deve reggere questa intensità narrativa.

Preso come opera a sé stante, Metalhead sarebbe una lavoro interessante. Innegabilmente, Brooker e Slade hanno realizzato un inquietante survival dalle tinte fantascientifiche, che basa la propria potenza sulla figura dell’umana in fuga. Niente storia, nessun contesto narrativo, ambientazione risicata. L’attenzione dello spettatore deve esser totalmente focalizzata sull’odissea della donna, chi assiste deve esser partecipe di questa tragedia, sentendola propria. Uomo contro macchina, la nostra anima deve partecipare a questo scontro. La storia di Metalhead potrebbe esser trasposta anche in un’altra situazione, in una differente ambientazione, non perderebbe di identità, proprio perché non sono stati approfonditi i dettagli dell’episodio. Non sappiamo quale catastrofe abbia ridotto così il mondo, non ci sono dati riferimenti sul ruolo delle macchine, manca tutta la profondità di un racconto che ha bisogno di altri elementi per fare parte del canone di Black Mirror.

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E su questo aspetto, Metalhead si contende con U.S.S. Callister il titolo di peggior episodio della stagione. Guardando un episodio di Black Mirror, al netto della sperimentazione che contraddistingue questa stagione, mi aspetto di ritrovare quelle caratteristiche che mi hanno fatto appassionare alla serie. Il thriller è già stato presente in Black Mirror (Crocodile o Shut up and dance), ma ha sempre avuto una certa aderenza ai dettami del serial, risultando una chiave di lettura interessante e ben orchestrata. Con Metalhead questa sinergia si perde. Il senso di allarme e denuncia di alcune abitudini del presente acuite dalle potenzialità di una futuribile tecnologie viene completamente meno, svanisce il filo conduttore che lega gli episodi di Black Mirror l’uno all’altro.

Metalhead fallisce, come episodio di Black Mirror, perché stravolge l’interpretazione della linea guida del serial. Brooker punta in modo sagace e ragionato ad un’empatia istintiva tra spettatore e protagonista, ma non riesce a creare quella svolta tipica nel finale, manca quell’ultimo slancio che ribalta la nostra percezione e ci stupisce, dando senso a quanto visto. Questo episodio è un buon esercizio stilistico di regia e costruzione emotiva del soggetto, ma manca una identità che sia parte della struttura complessiva di Black Mirror. Fosse uscito senza il richiamo della celebre serie, Metalhead sarebbe stato, probabilmente, maggiormente apprezzato come interessante survival thriller, ma avendo creato una certa aspettativa sfoggiando il brand di Black Mirror si è rivelato un deludente episodio.