Trollhunters stagione 2, il fantasy torna su Netflix – Recensione

Quando si parla di Guillermo Del Toro, sono dichiaratamente di parte. Il regista è famoso per avere a cuore il genere fantasy, cercando sempre di fare propri i protagonisti, rendendoli buoni quando generalmente verrebbero considerati da tutti dei mostri o dei reietti dall’intera società. Non a caso è stato proprio del Toro a portare per primo al cinema l’Hellboy di Mignola, o a regalarci una piccola perla come Il labirinto del Fauno. Non c’è da stupirsi che sia alla fine arrivato Trollhunters, tratto dai libri scritti dallo stesso Del Toro e da Daniel Kraus.

La prima stagione ci aveva presentato Jim, un adolescente di quindici anni che un giorno per caso trova un artefatto, un amuleto particolare che lo sceglie, conferendogli il titolo di Trollhunter, difensore dei Troll che vivono nel sottoterra della città di Arcadia. Le varie vicende ci avevano portato a conoscere anche Toby, il migliore amico nerd di Jim, Claire, la ragazza per cui il protagonista ha una cotta stratosferica e anche alcuni Troll come Blinky e Argh, il primo mentore di Jim e grande studioso, il secondo un Troll che è tutta forza fisica (e tanta tenerezza).

E’ uscita la nuova stagione di Trollhunters, il cartoon fantasy targato Netflix e firmato da Guillermo Del Toro.

Con la seconda serie di Trollhunters torniamo ad Arcadia, in cui la vita sembra scorrere nella norma, ma che in realtà nasconde una delle minacce più grandi sia per il mondo dei Troll che per quello degli umani: il ritorno imminente di Gunmar, l’antagonista principale della serie. Seguiamo di nuovo le peripezie dei giovani protagonisti che si dividono tra Arcadia, la scuola e il mercato dei Troll, con nel mezzo la scoperta di una sorta di setta segreta, l’Ordine di Giano, e vari problemi causati dai mutanti presenti sulla Terra.

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Purtroppo, nonostante la prima stagione mi sia piaciuta moltissimo, devo dire che questa non mi ha entusiasmato come speravo. La lunga attesa non è stata del tutto ripagata, anche se forse le mie aspettative erano settate un po’ troppo in alto. A tratti il ritmo della serie mi è sembrato un po’ lento, come se si volessero riempire i 20 minuti di ogni puntata con “qualcosa” perché non si sapeva bene come fare, dopo aver detto il necessario ai fini della storia. Di cose da fare e  far vedere ce n’erano e ce ne sono state, ma a livello personale credo siano state gestite un po’ peggio, rispetto alla stagione precedente. Un po’ di delusione quindi alla fine dell’ultimo episodio c’è stata, nonostante i personaggi – specialmente Argh e Toby – abbiano mantenuto la loro linea di sviluppo, senza far mancare la comicità che li caratterizzava. I colpi di scena ci sono stati, ma forse è venuta a mancare quella vena di novità e freschezza che c’era stata indubbiamente con la prima stagione.

Le musiche sono sempre in linea con ciò che è la serie televisiva, create ad hoc per ogni episodio e mai ripetitive, insomma il giusto accompagnamento per un fantasy di animazione, che non risulta pesante o fuori luogo. Menzione speciale per la colonna sonora riadattata alla fine della nona puntata rifatta da due personaggi che si vedono spesso, ma fino a questa stagione non hanno mai avuto grande spazio nel ciclo narrativo.

Trollhunter si conferma quindi come una serie televisiva adatta ad un pubblico giovane o a chi si sente ancora un bambino, con una speranza che non muore mai, ma con forse qualche cliché di troppo. Guillermo Del Toro ci riprova dunque, ma come quasi tutti i sequel fatica a stare dietro alla prima stagione, pur mantenendo una linea generale del tutto consona. Speriamo che la terza stagione riprenda il ritmo appassionante della prima, perché sono sicura che Trollhunters può ancora dare molto di interessante all’animazione digitale.