American Vandal, come parodiare i crime show! – Recensione

Di Manuel Enrico 6 Min di lettura

American Vandal, il serial di Netflix che si fa beffe delle docu-series!

Negli ultimi anni siamo stati invasi dai crime shows provenienti dall’America. I più noti sono sicuramente i serial che indagano a fondo nelle dinamiche delle indagini sui crimini più efferati, da CSI a Law & Order, ma una buona parte di questi programmi ha scelto un approccio più freddo, almeno nelle intenzioni: le docufiction. E da queste nasce la loro parodia, American Vandal.

Le docufiction o docu-series sono quelle serie in cui si cerca di analizzare un crimine o una situazione particolare come fosse un documentario, un’analisi ragionato ed asettica del fatto in sé. Ovviamente, per galvanizzare il lato più curioso degli spettatori, vengono inseriti dei momenti in cui la spettacolarità, il soffermarsi su dettagli particolari e pruriginosi diventa essenziale.

American Vandal ridicolizza in modo perfertto questo approccio dello show biz americano.

In un piccolo liceo i professori diventano vittime di un atto di vandalismo senza eguali: tutte le loro auto vengono deturpate da dei giganteschi peni, realizzati con vernice spray. Il colpevole viene subito indicato in Dylan Maxwell (Jimmy Tatro), il teppistello della scuola. Che si professa innocente, nonostante il corpo docente abbia un testimone oculare.

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La cosa stuzzica la curiosità di Peter Maldonado (Tyler Alvarez), studente della scuola e appassionato di giornalismo, che decide di raccontare la storia di Dylan, scavando a fondo per scoprire cosa ci sia dietro questo ignobile gesto. Nasce così il suo documentario, American Vandal.

La dinamica dello show è incredibilmente comica, grazie ad un’impostazione che segue in modo puntuale quelli che sono i dettami del genere docufiction. Se non fosse per il tema, sembrerebbe di essere di fronte ad un programma serio, dato la precisa scansione dei tempi o del linguaggio usato. Il ricorso a parole ad effetto, con un tono del parlato che enfatizza certi termini, accompagnato da una musica ad effetto è intrigante. In alcuni punti, la traduzione in italiano si sovrappone all’originale inglese, esattamente come avviene per programmi televisivi più ‘seri’.

Quello che funziona maggiormente in American Vandal è la struttura delle puntate (8 per questa prima stagione). Un piccolo riassunto iniziale, con un’apertura verso un altro potenziale sospettato, con la conseguente indagine sulle sue motivazioni. Ad arricchire la narrazione anche l’ironia sul reporter in cerca della verità che si scontra con i poteri forti (il corpo docente) o che affronta la cospirazione ai danni del povero Dylan.

Gli amici scemi di Dylan, il suo comportamento sopra le righe sembrano essere segni di evidente colpevolezza, ma alcune sue confessioni mostrano una persona inattesa, che non manca comunque di mostrare la sua stupidità, forse semplice immaturità. A fargli da contrappunto c’è la serietà con cui il giovane Maldonado realizza il suo documentario. Serio, fin troppo vista la situazione, aiutato da due amici che lentamente iniziano ad appassionarsi alla sua indagine.

American Vandal si focalizza molto sull’approccio investigativo del giovane Maldonado, esaltandone i lati comici (il dettaglio dei peli è delirante!) e mettendoli in contrasto con il tono serio con cui il documentario viene percepito dagli adulti. Figure come l’ambiguo Trimbodi o la disinibita Sara Pearson sono ritratti con impietosa freddezza nelle intenzioni di Maldonado, ma il risultato è una risata per come tutto sembri eccessivo, sproporzionato rispetto all’atto di vandalismo iniziale.

Per questo American Vandal ha una sua appassionante dimensione narrativa. Vedere questo serial, in cui giornalismo e volgarità adolescenziali si alternano, è un perfetto strumento, per quanto comico, di analizzare un certo tipo di entertainment in cui la ricostruzione del crimine è più un soddisfare la morbosa curiosità dello spettatore che non una sincera volontà di presentare il fatto, nudo e crudo.

American Vandal

Le inquadrature sono tipiche dei reportage, i protagonisti non si vedono in posa da serial, ma come delle persone comuni ritratte durante deposizioni, con delle interviste in cui si evidenzia sia il loro lato umano che tutto il contesto ridicolo alla base di American Vandal. Ed è proprio questo il punto di forza della serie. Per quanto si voglia rivestire tutto con un’aura di realismo (in primis la sigla, che ringrazia addirittura la scuola!), la farsa ed il grottesco sono innegabili, danno ad American Vandal l’anima di una riuscita satira.

Il successo che il documentario di Maldonado on line diventa un divertente ritratto della percezione degli eventi al tempo di internet, con la conseguente fama di regista e persone coinvolte. Dal teppista che diventa idolatrato (come certi venerati serial killer) al professore licenziato per certe dichiarazioni compromettenti, tutti vengono coinvolti da questo American Vandal, in maniera realistica.

Netflix ancora una volta riesce a presentare un serial curioso, divertente ma con una volontà di far riflettere lo spettatore che non è celata, ma sempre presente. Questi otto episodi sono una divertente analisi di una certa televisione di bassa qualità che però mantiene una forte attrattiva, facendo leva sulle emozioni più basse del pubblico, tra espressioni di falsa comprensione e ricostruzioni maniacali di plastici. Ma almeno con American Vandal la comicità è voluta, anche se in certi momenti sembra più credibile di certi talk show nostrani.

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