Chiamatemi Anna… oppure Cordelia – Recensione

Chiamatemi Anna

Il piacere di ritrovare Anna dai capelli rossi – La recensione della prima stagione di Chiamatemi Anna

Quando dici Anna dai capelli rossi, per chi i primi anni ’80 li ha vissuti da bambino, il pensiero va subito all’anime prodotto da Nippon Animation ed ispirato all romanzo della scrittrice canadese Lucy Maud Montgomery Anne of Green Gables (Anna dei tetti verdi, oppure Anna dei verdi abbaini).

Il romanzo, un classico della letteratura per ragazzi, è uno di quei titoli che entrò a far parte del filone dell’animazione giapponese battezzato World Masterpiece Theater che contempla produzioni come Heidi, Marco, Cuore, Sui monti con Annette e tanti altri ancora, con l’opera della Montgomery che ha conosciuto, nel corso degli anni, anche a diverse produzioni per il piccolo ed il grande schermo.

Chiamatemi Anna,  Anne with an ‘E’ nella versione originale, è la serie tv originale Netflix che racconta la storia della gracile orfana Anna Shirley, ragazzina tredicenne tutta gomiti, ginocchia e lentiggini, con degli inconfondibili capelli rossi, raccolti in altrettanto inconfondibili trecce.

 

La salvezza è nell’immaginazione e in un vestito con le maniche a sbuffo!

Rimasta senza genitori a pochissimi mesi dalla nascita, la piccola Anna si ritrova affidata a diverse famiglie (tutte ovviamente disagiate e brulicanti di bambini a cui badare) per poi finire in un orfanotrofio dove l’aspetto ed il carattere sognante e anticonformista della bambina si tradurranno in una vita difficile, oltre quello che già la misera condizione di orfana le ha purtroppo riservato.

La gentilezza, la bontà d’animo, il carattere forte temprato da mille sofferenze e soprattutto la fervida e caleidoscopica immaginazione, porteranno la piccola ragazzina dai capelli rosso fuoco a non abbattersi mai e a cercare sempre, anche a seguito di cocenti delusioni, il bello della vita nascosto anche dietro ad un albero fiorito, un cielo azzurro, un piccolo laghetto o un vestito con le maniche a sbuffo.

Per un disguido burocratico la piccola Anna verrà erroneamente affidata agli anziani fratelli Marilla e Matthew Cuthbert, proprietari di Green Gables, che originariamente avevano richiesto un ragazzo che potesse aiutarli a mandare avanti la fattoria sull’Isola del Principe Edoardo in Canada.

Dopo i primi momenti in cui si cercherà di venire a capo dell’equivoco, con i Cuthbert (in realtà la sola Marilla) intenzionati a rimandare la piccola all’orfanotrofio, gli eventi (quasi una Provvidenza di manzoniana memoria) finiranno per cambiare la vita di Anna e soprattutto quella dei due anziani fratelli, da troppo tempo rinchiusi in un’asfittico e solitario rapporto parentale di adulti che non si sono mai sposati e che non hanno una propria famiglia.

Il romanzo della Montgomery si adatta benissimo alla serializzazione televisiva di Chiamatemi Anna che ne esplora, con ritmo cadenzato, tutti quei tratti romantici e melodrammatici tanto cari alla letteratura mondiale a cavallo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento.

I drammi interiori, la forza di reagire al destino avverso, la lotta contro pregiudizi e discriminazioni (di sesso e di ceto sociale), la difficoltà del cambiamento e l’accettazione della diversità si fondono benissimo con la splendida ambientazione vittoriana ed i magici e bucolici e, spesso rasserenanti, paesaggi della provincia canadese dell’inizio del secolo scorso.

Sì, Anna è proprio lei!

In questo quadro pieno di colori, dalle tinte volutamente tenui per rimarcare l’aspetto poetico e romantico della storia, viene fuori con luminosa prepotenza l’interpretazione dell’attrice Amybeth McNulty (scelta alla perfezione tra 1800 candidate) che ci regala un’Anna meravigliosa, meno fiabesca di quella dell’anime, ma tremendamente reale che materializza, fin dal principio, la straordinaria forza caratteriale della piccola e sfortunata orfana.

I suoi eccessi immaginativi, che la portano a vivere quasi una realtà parallela fatta di principesse, cavalieri e storie d’amore strappalacrime, seguono in maniera quasi salvifica gli eventi reali che spesso colpiranno duramente la piccola e gracile Anna, la quale sovente sprofonderà nei suoi drammatici e grigi ricordi, isolandola da un mondo gioioso che lei stessa vorrebbe abbracciare e stringere forte a sé.

Questo meccanismo di autodifesa, questa fervida immaginazione che ha aiutato e ancora aiuta il piccolo ed indifeso scricciolo a sopravvivere ai traumi subiti nel passato, rischia di ritorcersi contro la ragazzina che, in qualche momento, perderà contatto con la realtà correndo dei rischi facilmente evitabili.

Nei momenti più difficili, nei passaggi più complicati di questo suo percorso di contemporanea rinascita e crescita, Anna troverà sempre le figure rassicuranti di Marilla e Matthew, interpretati con maestria, convinzione ed efficacia da Geraldine James e R.H. Thomson, con quest’ultimo capace di empatizzare il pubblico già dalla sua prima apparizione. Il trio di attori residenti a Green Gables è così ben amalgamato ed entusiasmante da mettere in secondo piano le altre, seppur altrettanto riuscite, interpretazioni dei personaggi secondari.

 

Una serie per tutti ma non adatta a tutti

Netflix ha senza dubbio fatto centro con Chiamatemi Anna, una serie che racconta una storia che in molti già conoscono ma lo fa con un filo di freschezza (non troppa per scongiurare rivisitazioni moderne) un classico della letteratura i cui argomenti, però, sembrano sempre attuali anche se non riconosciuti da tutti, tanto che in alcuni casi sulle spalle della piccola Anna poggiano sentimenti di rivalsa e riscatto troppo forzatamente accentuati e “moderni”.

Una bella novità, rispetto alla storia originale, sono i flashback che mostrano brandelli del passato di Anna e dei fratelli Cuthbert. Queste “divagazioni” sul filone narrativo principale aprono punti di vista interessanti che danno forza alla storia e ne aumentano l’interesse: da una parte il tormentato e duro trascorso della piccola orfana che ne ha viste e subite davvero tante, dall’altra la giovinezza di Marilla e Matthew, personaggi che hanno dedicato la loro intera esistenza al lavoro nella fattoria di famiglia pur essendo stati anche loro giovani, spensierati e forse addirittura innamorati, prima di essere “costretti” alla solitudine dalle vicende della vita.

La serie, costituita da sette episodi, firmata da Moira Walley-Beckett (sceneggiatrice di Breaking Bad) conquista fin da subito e, seppur basata su un romanzo di formazione per ragazzi, è più che adatta ad un pubblico adulto e alle famiglie che apprezzano le storie con eroine che subiscono le avversità della vita senza abbattersi, i buoni sentimenti e i valori importanti tanto offuscati dal falso ed illusorio benessere della vita moderna.

La spettacolare fotografia, gli stupendi paesaggi, la trama ben sfruttata e ritmata (esclusi dei passaggi un po’ troppo forzati e poco veritieri), la prova più che convincente del cast e la meravigliosa sigla d’apertura (una delle più belle di sempre per una serie TV), che già da sola dona valore e dorata preziosità a Chiamatemi Anna, disegnano con elegante semplicità una produzione di buon livello, con una storia senza età che fa sempre piacere ricordare, purtroppo però lontana dai canoni moderni tanto che il timore di passare inosservata ai più giovani, è più che fondato.