Sab 5 Ottobre, 2024

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Blade Runner 2049, chiamatelo capolavoro – Recensione

Blade Runner 2049, i capolavori esistono ancora

Quando si cresce con un mito cinematografico come Blade Runner, è inevitabile che l’annuncio di un seguito dopo decenni spaventi. Dopo aver visto come i nuovi seguiti o reboot usciti negli ultimi anni (come i deludenti Covenant e Il risveglio della Forza) abbiano svilito le origini di alcuni capolavori del cinema, il timore che Blade Runner 2049 fosse l’ennesima delusione era lì che aleggiava.

Ma sono bastati nemmeno cinque minuti di visione per dissipare ogni dubbio. La carta vincente calata da Dennis Villeneuve è stata il non voler proporre una fotocopia o una serie di rimandi continui al lavoro di Scott, ma sviluppare quel punto di partenza nato nel 1982 per presentare un nuovo mondo che ne sia la naturale evoluzione.

Se Scott aveva presentato una Los Angeles buia, iperaffollata, Villeneuve gioca sul concetto contrario. Con delicatezza, Blade Runner 2049 si apre in modo identico all’originale, con un occhio e una macchina volante che sorvola Los Angeles, ma anziché trovarci in una megalopoli oscura siamo in mezzo ad una distesa di coltivazioni. L’impatto è mozzafiato, sopratutto per merito di una colonna sonora che non sbaglia una nota, in nessuna situazione. Bastano questi cinque minuti di proiezione per sentirsi a casa, per respirare nuovamente quell’atmosfera leggendaria del 1982.

Blade Runner 2049

Villeneuve ha deciso che il secondo capitolo di Blade Runner dovesse battere nuove strade. Nell’ultimo periodo abbiamo visto un uso intelligente del marketing, con la comparsa dei tre corti (che vi consiglio caldamente di vedere), che aiutano a dare un senso alla crescita della società futura, ci accompagnano in questo salto temporale tra le due pellicole.

Il pericolo di questo tipo di operazioni è di scimmiottare l’originale, ma dietro Blade Runner 2049 c’era un team che voleva raccontare il dopo, portare avanti la storia e non riproporre la medesima trama. Villeneuve sceglie di cambiare radicalmente i temi di fondo, arrivando ad una contestualizzazione anche più attuale (come il rapporto con le IA), spostando l’attenzione dalla mortalità (base di Blade Runner) a concezioni di disagi esistenziali più attuali, come il senso di sè e l’integrazione, fino alla ricerca di un messia, una guida per un popolo in cerca di una propria dignità, del proprio posto nel mondo.

Ryan Gosling è l’agente K, un replicante che caccia altri replicanti, i vecchi modelli per la precisione. Dopo il fallimento della Tyrell Corporation, emerge un altro colosso industriale, la Wallace, il cui magnate ha dato un impulso alla creazione di coltivazioni per soddisfare il fabbisogno alimentare di una popolazione immensa. Ma, nel frattempo, ridando un impulso alla creazione di un nuovo genere di Replicanti, senza data di scadenza, più obbedienti. Gli unici lavori in pelle cacciati sono ora le vecchie generazioni, un lavoro complicato dalla perdita dei dati dopo il Blackout del 2022.

Blade Runner 2049 Ryan Gosling

K è un Blade Runner, una condizione che lo mette in una posizione difficile. Da un lato, è odiato dai suoi simili a cui deve dare la caccia (in tal senso, emozionante il dialogo con Sapper Morton, alias Dave Bautista) e detestato dagli umani che non si sono mai abituati all’integrazione con i Replicanti. Gosling è incredibile nel rendere il suo personaggio emozionante, in una lenta crescita che si sviluppa con il proseguire di un’indagine che riapre un vecchio caso di 30 anni prima, costringendolo a mettersi sulle tracce di un Blade Runner scomparso anni fa: Deckard.

Dirvi di più sarebbe un crimine. Blade Runner 2049 è un viaggio che va vissuto in prima persona, soprattutto per l’incredibile lavoro di approfondimento del personaggio di K, così ben scritto che diventa impossibile non empatizzare con lui. Ironicamente, non dobbiamo chiederci se sia un Replicante come abbiamo fatto per anni con il primo capitolo, lo sappiamo fin dall’inizio e anzi vediamo come questa sua condizione lo condizioni in una società che dovrebbe esser aperta ma che è ancora divisa rigidamente fra persone ‘vere’ e sintetici.

blade runner 2049 1

Gran parte del fascino di questo film è da tributare ad una fotografia monumentale di Roger Deakins. Il suo uso della luce, il mantenere un velo opaco ma chiaro e il cambio improvviso con l’entrata in scena di Deckard sono una leva narrativa che si sposa alla perfezione con la trama, la esalta e ne diventa parte integrante.

Villeneuve lavora con la sua squadra in un equilibrio perfetto. La sua idea è costruire un mondo che si sia evoluto, con cambi radicali che siano ben presenti sullo schermo e che lo spettatore innamorato del mito di Blade Runner possa cogliere. Non ci sono più influenze asiatiche, ma i dettagli indicano come ci sia una maggiore apertura alla cultura russa, Los Angeles si è ulteriormente sviluppata, quasi a voler inglobare la megalopoli vista in passato. Se in Blade Runner l’edificio più imponente era la sede della Tyrell, Villeneuve trasforma l’imponente costruzione in un oscuro monolito ai piedi di una città che è cresciuta, anche sulle ceneri dell’impero Tyrell.

Per dare sostanza a tutto questo imponente racconto, servono attori che sentano e vivano il proprio ruolo in modo pieno. Gosling non è il solo ad essere magistrale, capace di mantenere un’espressione forzatamente rigida per gran parte del film fino alla sua liberazione, drammatica ed umana. Robin Wright è ormai consolidata nel ruolo di donna di ferro, Edward James Olmos torna per una breve apparizione e riesce a dominare la scena con il suo Gaff. I due grossi dubbi, per me, erano Deckard e Wallace.

Ford riesce a proporre un Deckard invecchiato e credibile. Vederlo entrare in scena è stato un colpo, Villeneuve studia una comparsa nel film emozionante e perfetto. Harrison Ford riesce a mostrare ancora classe nel recitare, interpreta al meglio il suo ruolo e infonde forse ancora più carisma che non nel film originale.

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Jared Leto si supera. Attore che ha avuto fortune alterne, il suo Wallace, il villain del film, ha un ruolo centrale. Doversi confrontare con l’Eldon Tyrell di Joe Turkel (uno dei migliori caratteristi della storia del cinema per me) era impossibile, e infatti il paragone viene evitato mostrando un Wallace che è esattamente all’opposto di Tyrell, una sorta di signore della biomeccanica isolato dal resto del mondo, che ostenta un’anima quasi zen ma che si rivela più vicino al classico villain dalla logorrea altisonante, rimanendo comunque credibile. Villeneuve per Wallace aveva inizialmente pensato a David Bowie, ma Leto è stato ugualmente ineccepibile!

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Magistrale il passaggio in cui Deckard e Wallace si trovano faccia a faccia, un dialogo costruito parola per parola, misurato, parco di rivelazione ma carico di significato. Un esempio di scrittura e recitazione, simbolo di come un regista debba trasmettere tutte le emozioni necessarie a catturare lo spettatore, usando l’arma migliore a sua disposizione: l’emozione.

Tutti questi elementi sono i punti di forza di Blade Runer 2049. Alla base c’è stato il rispetto della storia, del mito, il prenderlo in carico con delicatezza e portarlo nuovamente al cinema. La cura nel presentare un nuovo livello tecnologico, una trama che per gran parte del film ci porta in una direzione salvo poi colpirci allo stomaco dandoci la chiave di lettura giusta, che abbiamo sempre avuto sotto gli occhi (e che onestamente uno spettatore attento trova prima del previsto).

Dare vita ad un seguito di Blade Runner non era impossibile, ma addirittura sbagliato. E questo film non è un seguito, ma una storia (non priva di difetti, come la fastidiosa Luv, personaggio che non ha proprio convinto) che condivide l’ambientazione, che avrebbe una forza sufficiente per poter esser un film a sé stante.

Certo, i riferimenti e le risposte ad alcuni crismi del primo Blade Runner sono presenti, ma sono sottili, compaiono senza diventare pesanti, ma sempre graditi. Ed il finale, con il suo incredibile equilibrio di musica, inquadratura e tempi è semplicemente perfetto.

Solitamente mi infastidisce leggere su internet nei commenti ad ogni film il termine capolavoro. Blade Runner 2049 ha diritto ad essere chiamato capolavoro, potenzialmente il film più intenso ed emozionante del 2017.

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