Black Mirror vs Electric Dreams: quale guardare?

Electric Dream Philip K Dick Amazon

Nell’ultimo mese sono uscite due delle serie più attese dagli appassionati di fantascienza, Black Mirror e Philip K. Dick’s Electric Dreams. Netflix e Amazon Prime Video si sono scontrare su un terreno noto a gran parte del pubblico, offrendoci una visione del futuro, più o meno vicino, che facesse emergere nello spettatore anche uno spirito di critico, tornando ad uno dei punti focali della fantascienza letteraria classica.

Sui social, inevitabilmente, le due serie sono state oggetto di uno scontro che le ha volute dirette concorrenti, in un confronto che mirava a stabilire quale delle due fosse la migliore interprete dello spirito critico della fantascienza. I confronti in questo ambito sono sempre ardui, e sono principalmente decisi dal gusto personale, ma alcune considerazioni a riguardo si possono fare tranquillamente, senza per questo togliere nulla al gusto di guardare in entrambe.

Black Mirror vs Electric Dreams: due serie antologiche a confronto

Black Mirror ha dalla sua una certa gavetta, essendo ormai giunta alla sua quarta stagione. La serie ideata da Charlie Brooker ha saputo conquistare il pubblico grazie alla sua natura antologica fin dalla prima comparsa, andando a costruire un proprio stile che rendesse fin da subito chiaro come la linea narrativa portante fosse una certa critica all’invadenza della tecnologia nella nostra vita. Questo trait d’union tra i diversi episodi e le varie stagioni ha offerto allo spettatore una certa famigliarità, nata dal vedere eventi di un futuro percepito come prossimo e la cui dimensione fantascientifica sia così reale da risultare quasi inesistente. Il progresso tecnologico visto in Black Mirror è più che compatibile con la nostra attualità, il che aiuta non poco ad inserire le idee di Brooker nell’immaginario collettivo.

Con questo fil rouge, Brooker ha saputo costruire una serie che fosse al contempo libera da un episodio all’altro, ma anche coerente con sé stessa. Il mondo di Black Mirror è potenzialmente uno, i richiami da un episodio all’altro possono esser facilmente trovati da uno spettatore attento, che quindi ha la percezione di vedere diverse storie appartenenti ad unico contenitore. Per coloro appassionati di serie TV in cui la continuità tra gli episodi è un valore, questa coerenza d’ambientazione non è un dettaglio trascurabile. Episodi come USS Callister o Arkangel, pur mantenendo un tema diverso, hanno una certa affinità narrativa e d’intenti, rendendoli quindi più coesi che non racconti totalmente separati, come accade in Philip K. Dick’s Electric Dreams. Certo, non mancano delle sperimentazioni, come Metalhead, ma è da notare come la quarta stagione di Black Mirror, la più ardita in fatto di battere nuove strade, sia stata considerata la meno apprezzata, proprio per questa sperimentazione.

Va ammesso che Brooker ha comunque imbastito un’intera serie su un unico tema, le cui declinazioni arrivano presto ad esser ripetitive. Black Mirror, in tal senso, ha pagato pegno nella sua monolitica struttura narrativa, incentrata totalmente sull’evidenziare l’ingerenza sempre più manifesta nella nostra società. Brooker, come un moderno luddista, ha cercato di aprirci gli occhi su questo tema, ma una maggior varietà di spunti, specie nelle ultime due stagioni sviluppate per Netflix, sarebbe stato una manna per una serie che inizia a sentire il proprio peso. Nonostante questo, Black Mirror è un interessante contenitore di riflessioni, appoggiandosi spesso anche a quella black science che può esser un monito sul nostro futuro.

Quasi a ereditare il ruolo della serie di Brooker, Philip K. Dick’s Electric Dreams arriva su Channel 4 a riempire il vuoto lasciato da Black Mirror nel suo passaggio su Netflix. L’idea di Ronald D. Moore di affidarsi alla vasta produzione di Dick è stato un atto di puro coraggio, o di totale follia secondo i punti di vista.

Lo scrittore americano ha una sua cifra stilistica che si è evoluta, mantenendosi però fedele nel tempo. Dick era una personalità complessa, spesso paranoica, che ha saputo però interpretare anche con cinismo la società americana del secondo dopoguerra, descrivendone le ipocrisie e palesandone le paure. Non è un caso che lo scrittore californiano sia stato una miniera di spunti per il cinema, da Blade Runner a Un oscuro scrutare fino a Minority Report. Molti suoi racconti sono divenuti film per il cinema o per la televisione, proprio per questa sua caratteristica di ritrattista di valori e difetti senza tempo della società.

Philip K. Dick’s Electric Dreams ha voluto riproporre la complessità del mondo di Dick in dieci episodi, ognuno ispirato ad altrettanti racconti scritti negli anni ’50. Nonostante la sempre attuale visione di Dick, era necessario un certo adattamento al gusto e alla tematiche moderne, ma quanto si deve modificare di un simile processo narrativo? Idealmente il meno possibile, ma realisticamente il media differente richiede un lavoro più massiccio. E in questo, Dick e la sua dialettica sono sempre stati sconfitti.

La serie di Amazon infatti soffre di quello che per alcuni spettatori potrebbe esser un insanabile difetto. Dick, contrariamente ad un Asimov, non ha mai tenuto un’ambientazione lineare tra i propri racconti, ma li ha sempre concepiti come prodotti indipendenti, senza figure od eventi che potessero essere dei leganti all’interno della sua produzione. Pensati principalmente per esser venduti a varie riviste del periodo, questa sua libertà espressiva era anche comprensibile, ma dovendo creare un’intera serie basata sui suoi lavori questo si è tradotto in un elemento di complicata gestione.

Philip K. Dick's Electric Dreams the hood maker cover

All’interno di un episodio di circa 50 minuti, oltre alla storia principale, Moore e i suoi compagni di avventura dovevano riuscire a dare allo spettatore anche una visione sufficientemente strutturata del mondo in cui si muovevano i protagonisti. Teniamo presente che Dick ha sempre valorizzato molto le sue ambientazioni, puntando non tanto al piano descrittivo quanto a quello emotivo dei personaggi. Tipico dello scrittore era il dare per scontato alcuni aspetti dei suoi mondi, inserendoci in modo repentino nella narrazione. Se da un punto di vista letterario era una cifra stilistica apprezzata dagli estimatori di Dick, adattare questa caratteristica ad una serie è una difficoltà in più.

Philip K. Dick’s Electric Dreams patisce non poco questo continuo cambio di ambientazione. Se in The hood maker abbiamo una società molto vicina ad una concezione alla Blade Runner, in Impossible Planet passiamo ad un futuro remoto, un continuo cambio di stile che rischia di confondere uno spettatore, che si trova a vivere un continuo senso di novità, con cui fatica a entrare in sintonia. Episodi come Father Thing o The Commuter hanno una maggior presa perché sfruttano un’ambientazione estremamente attuale, facendo leva su una famigliarità che elimina un primo ostacolo tra storia, ambientazione e spettatore.

La serie di Amazon si presenta come un richiamo per i fruitori di Dick, che sanno già come affrontare la varietà di temi e ambientazioni tipiche dell’autore californiano. Questa libertà è contemporaneamente un pregio ed un difetto di questa produzione. La varietà di spunti di riflessioni elimina quel senso di ripetitività che ha segnato il calo di interesse nelle ultime due stagioni di Black Mirror, troppo statico su un’unica chiave di lettura. Electric Dreams fa leva sulla critica sociale di Dick, che non mira solo a dipingere un futuro devastante ma a segnalare quali sono gli aspetti sociali e civici su cui operare, con uno spietato ritratto della società americana del periodo in cui Guerra Fredda e Maccartismo rivestivano ogni aspetto della vita sociale.

Nella serie questi aspetti sono parzialmente anacronistici, ma la bellezza di Dick è come il suo occhio lucido e critico riuscisse sempre a cogliere dei tratti immortali della vita civile. Moore ha cercato di guidare la sua squadra di collaboratori alla ricerca di questa forza narrativa di Dick, un intento che ha invogliato i fan di Dick a cercare le tracce dell’autore californiano negli episodi proposti. Guardando la serie con accanto Electric Dreams, il volume di Fanucci che raccoglie gli episodi che hanno ispirato la serie, appare chiaro come questo lavoro di svecchiamento sia stato necessario, ma al contempo lesivo. Safe & Sound e Kill all the others sono interessanti disamine sociali, specialmente il primo, ma hanno perso completamente di vista il fulcro della dialettica di Dick.

electric dreams impossible planet 2

Personalmente ho cercato in Electric Dreams la forza primigenia della narrativa di Dick, e salvo alcuni rari casi, non è mai arrivata nella sua piena potenza. Per fedeltà all’originale, si erge su tutti Father Thing, ma questo assenza di aderenza è un male? A malincuore da amante di Dick devo dire di no. La serie di Amazon prende spunto dalla produzione di Dick, ma vuole offrire uno sguardo più vicino alla nostra quotidianità, cercando di mantenere il più possibile lo spirito dei racconti.

Certo, questo sforzo rischia di appesantire la visione ad uno spettatore che deve al contempo familiarizzare il più rapidamente possibile con l’ambientazione dell’episodio, dimenticando quanto visto in precedenza, per catapultarsi in una nuova realtà, con una nuova linea narrativa da comprendere. Il grande pubblico è ormai legato alla consequenzialità degli eventi da un episodio all’altro, mentre questa serie antologica vuole adattare la struttura di una raccolta di racconti al format televisivo. A questa abitudine, Electric Dreams mostra il fianco, chiedendo uno sforzo che, unito alla complessità insita nella dialettica di Dick, rende questo prodotto piuttosto impegnativo.

Al netto di pregi e critiche, a questo punto torna alla ribalta l’interrogativo iniziale: meglio Black Mirror o Philip K Dick’s Electric Dreams? La risposta migliore, a mio avviso, è una: è davvero così importante stabilirlo? In fin dei conti si tratta di due prodotti che sono affini solo per la loro natura antologica, ma che seguono di impostazioni stilistiche e narrative differenti. Black Mirror è una variazione sul tema, solido nel suo aver mantenuto una certa affinità di ambientazione che aiuta lo spettatore a seguire il filo dell’intento critico di Brooker, ma che paga dazio su una certa ripetitività. Electric Dreams, al contrario, ha a disposizione il fascino della fervida mente di Dick, così lucida ed inquieta, in costante movimento e più dinamica nel muoversi su diversi fronti della critica sociale, in cui la tecnologia che tanto inquieta Brooker è marginalmente vista come il nemico. Ma questa dinamicità, il continuo cambio di scena è forse troppo per uno spettatore che potrebbe esser tentato di farsi un binge watching di Black Mirror, ma che raramente opterà per questa soluzione nel guardare la serie di Amazon.

La realtà è che i due prodotti sono difficilmente paragonabili da un punto di vista oggettivo, l’unica discriminante è la percezione soggettiva di temi e impostazione narrativa. Il giudice ultimo è il nostro gusto personale, la nostra visione di intrattenimento. Personalmente, ho trovato valide entrambe, con pregi e difetti in ambedue i casi, anche se ho avuto un leggero trasporto iniziale per la serie Amazon, essendo un appassionato senza speranza per i lavori di Dick. Il consiglio che mi sento di dare è sempre lo stesso: provare in prima persona. Alla fine, la soddisfazione è una sensazione estremamente intima!