Antonio Serra “La continuity, che dolore!” – Intervista

antonio serra

Due chiacchiere con Antonio Serra, storico autore (e appassionato) di fumetti

La mia prima esperienza da collezionista di fumetti è stata con Nathan Never, l’eroe futuro della Sergio Bonelli Editore. Ricordo ancora il primo albo letto, Buffalo Express, il numero 34.

Ero in ospedale per un’operazione al ginocchio, ragazzino di 13 anni, e mio padre pensò di portarmi questo fumetto per distrarmi. Fu l’inizio della nostra avventura con Nathan, e dico nostra perché per anni io e mio padre abbiamo fatto a gara per chi avrebbe letto prima l’albo del mese!

Autore di quella storia era uno dei tre membri della Banda dei Sardi, Michele Medda. Ma pochi giorni fa, durante una visita in Bonelli, ho avuto l’occasione di fare due chiacchiere con un altro dei creatori del personaggio, Antonio Serra.

Abbiamo parlato di Nathan e di fumetto in generale e, credetemi, è stata una vera impresa! Ironico e disponibile, Serra ha il compito di curare i dettagli di così tante serie di casa Bonelli che è sempre di corsa, sembra che sia ovunque nella sede di via Buonarroti. Complice l’amico comune Andrea Artusi, siamo riusciti però a concordare questo incontro, per fare due parole sul nostro Nathan Never.

Già sedersi nell’ufficio che Serra condivide con un altro pilastro della Bonelli, Moreno Burattini, è un’esperienza unica. Tra le pile di materiale da visionare, spuntano modellini Lego, numeri storici della Marvel e tutti i simboli di una passione sincera e viva per tutto ciò che potremmo definire Nerd.

Io sono innegabilmente emozionato, Serra riesce a sedersi un attimo, iniziamo la nostra chiacchierata. Serra mi mette a mio agio, si passa dal signor Serra ad Antonio e l’argomento diventa subito lui: Nathan Never.

Per rompere il ghiaccio tiro fuori la mia storia con Nathan e con Buffalo Express. E subito appare l’ironia di Antonio…

Sei stato fortunato, era una storia doppia e tuo padre ti ha preso la prima parte e non la seconda! Beh, Nathan era l’unico fumetto di fantascienza in edicola in quel momento, direi (non consideriamo i supereroi fantascienza, giusto? Sono un genere a parte). E la continuity? Colpa mia! Mi ero detto (e avevo detto a Michele e Bepi): nessun autore Bonelli l’ha inserita prima di noi! Farà la differenza! Mi sbagliavo: gli altri autori erano solo più esperti o più furbi di me. La continuity, se vuoi fare fumetti seriali (cioè che durano molti, ma molti albi…), è una scelta da evitare, perché si rivela dura da gestire. La continuità per funzionare deve essere più “delicata”, con il personaggio che ha ricordi degli eventi, con amici che ritornano, ma nulla più. Se invece si segue una strada più rigida, stile Marvel, vuol dire che dopo 50 numeri si sovrappongono talmente tanti elementi che inevitabilmente sorgono delle incongruenze… e per uscirne devi ricorrere alla dimensioni parallele! Tutti quelli che hanno avuto una continuity serrata (e scusate il gioco involontario sul mio cognome) si sono scontrati con questo problema.

Ecco, uno dei punti cruciali è proprio la presenza di incongruenze. Gli appassionati di Nathan Never che si incontrano sui social, come il gruppo Facebook amministrato da Luigi Donnarumma, spesso rilevano queste discrepanze, pensando a un errore dell’autore, vedendo negli universi paralleli una facile via di fuga. Serra ne è conscio e affronta l’argomento onestamente.

Hanno ragione, ma è inevitabile. Giunti a un certo punto, i personaggi come Nathan che hanno una continuity vera, che coinvolge tutto il loro mondo, devono inevitabilmente ricorrere a questi espedienti narrativi. Teniamo presente che Nathan Never è contestualizzato in un mondo che si evolve con gli anni, non è come quello di Zagor o Tex, ad esempio. Per quanto inseriti in un contesto storico preciso, Tex e Zagor sono sempre in quel periodo, hanno intorno un mondo familiare al lettore e quasi immutabile. Loro hanno una memoria di quello che succede, ma il mondo in cui si trovano non progredisce.

Eppure, questo approccio dinamico del mondo di Nathan Never per me è sempre stato un suo punto di forza. Ma in fondo, io ho la visione dell’opera come lettore, non come autore. Per gli autori deve essere diverso, visto che sono loro che devono portare l’albo in edicola.

La scelta di creare un mondo che si evolve da una storia all’altra, con differenti rapporti tra i personaggi che mutano col tempo, da un lato appassiona e ha fatto anche la fortuna di Nathan Never ma, dall’altro lato, come ho detto, è ingestibile. È una scelta nemica dell’umanità! Pensa ai tempi di lavorazione di un albo. A volte viene finita prima una storia che andrebbe pubblicata in un secondo momento, magari sceneggiatore e disegnatore non si comprendono o giunti a un certo punto si cambia idea sull’andamento della trama. Se non si è sincronizzati, non si può sopravvivere alla continuity.

antonio serra nathan never

E non dimenticare che anche lo stesso autore dovrebbe ricordare a memoria tutte le storie precedenti. Io ho sempre riletto tutte le storie prima di scriverne un’altra ma, capisci, finché sono 10, 20 albi è un conto, ma ora siamo arrivati a più di 300, è impensabile. Alla fine mi sono detto “non scrivo più”, non riesco a ricordami tutto e non ho il tempo di rileggere tutto. La mia memoria di autore, oltretutto, non è in linea con quella del lettore. A chi legge, magari, l’evento X è piaciuto molto e lo ricorda benissimo, invece chi lo ha scritto può ricordarlo male proprio perché non gli è sembrato così interessante, e viceversa! Quello che voglio dire è che spesso mi vengono segnalate lamentele su errori di coerenza, ma io, ad esempio, ne vedo di altri e di diverso tipo nella stessa storia. Quello che dà fastidio a me, non dà fastidio a te!

Qui ho un attimo di incredulità. Da appassionato di Nathan Never, specialmente nei primi anni, ho sempre trovato storie incredibili, fatico a credere che un autore possa aver cambiato idea sulla propria opera.

Prendi il primo Gigante. Tutti mi hanno detto “Antonio, è bellissimo”, secondo me non è così. Mai avrei voluto scrivere quella storia (e potrete saperne di più se comprerete l’edizione in volume tutta a colori che uscirà per Lucca), ma a causa di vari eventi sono stato costretto a sceneggiare quelle 200 e rott pagine in pochi giorni. Un inferno in Terra! E non dimenticare che l’autore può anche cambiare idea successivamente… magari se ne accorge quando rilegge la storia ormai pubblicata, e pensa “No, non dovevo scriverla così”. Ma ormai è fatta, è “canone”.

Insomma, anche gli autori spesso si ritrovano a dover gestire problematiche non indifferenti, e Serra fa un esempio che si ricorda ancora, nonostante sia capitato all’inizio della vita editoriale di Nathan.

Per farti un esempio, prendiamo il numero 20, “L’ora della vendetta”, quando i robot ispirati ai Fantastici Quattro attaccano la Città. Sai, la storia in cui scopriamo che Jack O’Ryan ha la pelle sintetica, l’albo dei fratelli Esposito? Durante lo svolgersi dell’azione, uno di questi quattro robot viene sicuramente distrutto, fatto a brandelli, minuscoli pezzettini. Passano una decina di numeri, e arriva l’albo intitolato “Io, Robot”. E nella storia ricompaiono tutti e quattro i robot visti in “L’ora della vendetta”. Me ne sono accorto? No. Chi se ne è accorto? Tu, il lettore. Arriva una lettera di un lettore “Antonio, ma quel robot era distrutto”, troppo tardi , me lo ero scordato. E in 25 anni di vita editoriale, gioco forza, se ne sono accavallate migliaia di incongruenze così.

A ben pensarci, è anche normale. Scrivi storie per anni, hai in testa centinaia di idee e non tutte arrivano sulla carta, ma i lettori si aspettano che in qualunque momento tu abbia bene in mente tutte le linee narrative, in fondo le hai create. Serra ride e racconta un’altra realtà.

A volte mi viene detto che, in quanto autore, io dovrei conoscere tutta la storia, nel dettaglio. No, come autore io so cosa mi piace e cosa no. So che quando ho iniziato a scrivere avevo un’idea, ma oggi la penso diversamente, sia a livello di storia che di contenuti. Confrontandomi, leggendo i fumetti, da lettore mi sono accorto che è folle imporre il rispetto della continuity del tipo di cui stiamo parlando, è un atto di odio verso il personaggio, perché se ne impedisce la crescita. Nella testa del lettore l’immagine del personaggio è ferma su una certa identità, ma nella mente dell’autore (o, perlomeno, nella mia testa) la figura del protagonista è andata oltre, si evolve. Ed è un disastro, nel nostro rapporto umano, tra autore e lettore.

Mi coglie di sorpresa. Quando ho scelto di parlare di continuità con Serra pensavo di averne una visione positiva, invece il creatore di Nathan Never fa un’analisi logica, grazie alla sua diretta esperienza, di questa struttura narrativa. A suo avviso, sarebbe necessario ripartire, tornare alla base della storia del personaggio.

Accade anche nelle serie televisive, oggi, ma nel passato è già successo mille volte. Ora vado con i miei ricordi di cose lette molto tempo fa, quindi c’è la possibilità che io dica cose inesatte… John Byrne nella sua celebre storia su Fantastici Quattro numero 232 (numerazione americana originale) disse “Back to the Basics”, rilanciando i FQ. Ma non era proprio così, era John Byrne che prendeva in mano la famiglia Richards e riscriveva la loro origine, inventandosi tutto all’interno della continuity. Sai come è finita? Che anche Byrne è rimasto prigioniero di questa trappola! Tre anni dopo – non duemila, bada bene! – entra in scena il padre di Reed Richards, tutti si chiedono da dove arriva (non accettano la soluzione “fantasiosa” prospettata da Byrne che, guarda caso, riguardava gli universi paralleli), sottolineano il contrasto con quanto detto prima e l’autore risponde con un semplice “Ma sto raccontando un’emozione, andate al diavolo!”. E la penso come John Byrne! Ciononostante chiuse bruscamente quel racconto, visto che non era gradito ai lettori, purtroppo.

Serra è una persona piacevole con cui parlare. Fino a questo punto è stato incredibilmente onesto, non nasconde nulla del suo rapporto con lo scrivere o come lo abbia vissuto in questi anni. Ed è proprio parlando delle possibilità che si hanno con la continuity, che si arriva al discorso dei mondi paralleli. La scorsa estate, con la Saga di Omega, Nathan Never si è addentrato in questo territorio, non per la prima volta a dirla tutta. Era una mossa evitabile?

Chissà. Forse se scriveva un altro. Per me era inevitabile! Universi paralleli, multiversi, Crisis on Infinite Earths, non puoi farne a meno! Il fumetto di fantascienza ha la possibilità per sua natura di usare il multiverso. Quando ho scritto la mia ultima storia, tutti si sono stupiti, ho dovuto scrivere un articolo sul sito Bonelli in cui dicevo “non capisco il vostro stupore, avreste dovuto averlo vent’anni fa, quando tutto è realmente successo!”. Le mie storie sono tutte “multiversali” (e perdonate il neologismo, stavolta). Son vent’anni che non c’è il vero Nathan Never al suo posto, ti ho riproposto un’idea già usata, sperando di averla utilizzata in un modo nuovo, differente e magari la rivedrai più avanti, adattandola ai nuovi gusti. Una volta, ad esempio, scrivevo storie incredibilmente verbose, bla bla bla bla, spiegazioni, spiegazioni, spiegazioni… ora credo che negli ultimi tre albi pubblicati ci sia meno testo che in tutto il primo gigante, anche meno della metà. Ma basta con tutta questa fuffa parlata!

Conoscendo una passione di Antonio Serra, una che abbiamo in comune, non resisto. Parlando di continuità nella fantascienza è quasi d’obbligo parlare di Star Trek, ed è proprio Antonio a tirare in ballo la creatura di Roddenberry, prendendola ad esempio sui pericoli della continuità.

Io ho smesso di guardare Star Trek perché per rispettare la continuity gli sceneggiatori creavano spaventosi errori nella continuità. Ma non puoi semplicemente raccontare storie? No, devono spiegare se Picard è davvero Picard, se Kirk è quello vero o quello dell’Universo Specchio… e così cadono in errore. Non è meglio ricominciare tutto daccapo?

Star Trek Discovery

Ma in questi giorni, su Netflix arriva Star Trek: Discovery, sicuramente anche lui si metterà di fronte alla televisione a guardarla…

Guardare Discovery? Assolutamente no! Solo l’idea che lo abbiano fatto mi fa arrabbiare! Ma come pensi di fare una serie di Star Trek nel mondo attuale che, purtroppo, ha dimostrato che le idee romantiche del creatore, Roddenberry, sono impossibili da realizzare nella realtà? Vuoi fare uno Star Trek guerrafondaio e ultraviolento (questo sembra)? Perché chiamarlo Star Trek e posizionarlo all’interno della continuità classica? È una scelta sbagliatissima! Se solo guardo il trailer, mi sento preso in giro! Se mi avessero detto che era Star Trek, ma disconnesso da qualsiasi continuità, poteva essere una bella storia di fantascienza. Dammi una cosa nuova! Solo il trailer contraddice tutto, ciao, me ne vado, non ti guardo, è offensivo!

Ora, so che la sera in cui è stato reso disponibile Star Trek Discovery su Netflix, anche Serra lo ha visto, e non è rimasto esattamente soddisfatto (come i trekkies più irriducibili). Ma non è un giudizio mosso solo dalla nostalgia, Antonio, ad esempio, ha apprezzato la pellicola del nuovo corso di Star Trek realizzata da Abrams nel 2009.

Il primo Star Trek di Abrams mi è piaciuto, sono gli altri che sono sbagliati! Prendi il secondo, c’è un errore di scrittura, ci sono due cattivi, ma uno non è un vero cattivo. Chi è che salva una bambina? È Khan, poi fa saltare Londra è vero, ma lo fa per difendersi! Manca un rispetto della trama originale! Pensa alla serie classica, a come è reso l’equipaggio della Botany Bay. In “Into Darkness”, da cosa deriva l’esser superiore di Khan? Usa il cannone più grosso. Non basta! Nella scena del lancio nello spazio, Kirk e Khan entrambi all’arrivo rotolano a terra. Perché Khan non atterra in piedi, e dimostra così il suo essere superiore? Ecco la prova che il film è scritto male. Se ripenso all’episodio della serie originale, si faceva di tutto per mostrare che Khan era un superuomo, lo riprendevano mentre faceva le sue buffe mosse di arti marziali, più banalmente dicevano in continuazione ‘superuomo’. Non basta avere Benedict Cumberbatch, grande attore… il senso di “superomismo” deve arrivare certo dalla sua recitazione (e secondo me nessuno lo ha spiegato a lui e agli altri), ma anche dalla storia e dalle immagini!

antonio serra star trek khan

Al centro del mondo di Serra ci sono i personaggi, ma soprattutto il saper adeguare le storie al mutare della società, renderle attuali. Ma non è un processo facile!

Fosse per me, dopo un po’, tutte le testate andrebbero chiuse e poi riaperte (non il mese dopo, anni dopo). Si dovrebbe ricominciare con un nuovo pubblico, e con nuovi autori. Il rilancio non può farlo chi ha creato la serie, deve esser qualcun altro, che la conosce, magari la odia pure, ma che ha una visione diversa. Gli esempi, soprattutto negli Stati Uniti, non mancano.

In effetti, il ragionamento non fa una piega. Da sempre, nel mercato americano vengono chiamati nuovi sceneggiatori per rinverdire i fasti dei personaggi, per dare un taglio nuovo, la Marvel, ad esempio, ha chiamato Soule su Daredevil o Spencer su Capitan America. Ma è una realtà diversa, sia storica che geografica, e un esperto del settore come Serra non lo nasconde.

Il mercato del fumetto non è più quello di una volta. Le vendite del settore sono minori rispetto ad un tempo. Non vedo perché, in un mondo in cui posso diventare editore di me stesso, grazie a internet e ai social, dovrei legarmi a un personaggio non mio. Cioè, in passato, se volevo fare fumetti, andavo ad esempio da Marvel o DC e, essendo sconosciuto, prima mi veniva proposto di scrivere un eroe esistente. Ci sono passati nomi come Millar o lo stesso Byrne: lavoravi su un personaggio dimostrando le tue capacità e poi avevi la possibilità di presentare una tua creazione. Anche Frank Miller ha fatto questo passaggio. Ora il mondo è cambiato, posso presentare le mie idee online, raccolgo un certo numero di consensi, di “like”, ed è l’editore a quel punto che si interessa a me, perché propongo un’idea nuova con un pubblico già potenzialmente pronto. Personaggi come Nathan rimangono in edicola perché hanno avuto un grande successo in passato, ma teniamo conto che a esser in crisi è la serialità non l’autorialità. L’ottica europea ora è quella della graphic novel, di una storia compatta o di pochi albi (e quindi con continuity anche “serrata”, ma gestibile negli spazi ristretti), per un pubblico poco disposto a comprare fumetti seriali e a seguirli.

Allora ecco perché stanno comparendo le miniserie in casa Bonelli, si cerca di rivolgersi a questo nuovo pubblico, sicuri di cogliere una nuova fetta di mercato.

Qualcosa dobbiamo fare, facciamo fumetti, troveremo una soluzione. Tranne personaggi che godono di un successo molto grande ed una popolarità acquisita come Tex, Dylan Dog, Zagor, Dampyr e Julia, gli eroi più recenti faticano maggiormente a imporsi. Non è un problema di qualità, siamo tutti professionisti, è una differenza della percezione del media fumetto da parte del nuovo pubblico.

Ecco, in effetti alcuni lettori lamentano che le storie un tempo erano più belle, una critica che si legge spesso ultimamente. L’accusa nasce dal fatto che il personaggio non è più lo stesso, che le nuove storie non siano più all’altezza di quelle originali. Su questo punto Serra la vede diversamente.

Non sono assolutamente d’accordo che le storie un tempo fossero migliori. Noi autori ora abbiamo una diversa cultura, siamo più coscienti di quello che scriviamo, le tecnologie ci aiutano a realizzare migliori disegni. Le storie di oggi, per me, sono migliori, senza nulla togliere alla classicità delle vecchie, che non è in discussione. Ma non è questo l’approccio tipico del lettore appassionato che tende a esser nostalgico, facendo finta di ignorare che, crescendo, anche lui è cambiato, maturato.

Eppure io, pur essendo un nostalgico, non disdegno le nuove storie di Nathan Never. C’è stato un periodo due anni fa in cui anche io vedevo gli albi di Nathan come privi di carattere, ma i recenti numeri mi sembrano ben impostati, anche se curano maggiormente il mondo di Nathan Never, e meno il protagonista. Esempio il numero attualmente in edicola, Il dilemma. Antonio sorride e allarga le braccia.

Poco Nathan… non c’è rimedio! Dopo 316 numeri di Nathan Never, diventa assurdo pretendere che ci sia sempre lo stesso personaggio al centro di un mondo in continuità dinamica. Nathan è inserito in un contesto, diciamo così, “realistico”. Ora, quando pronuncio “realistico” ci dovrebbe essere sempre una risata fuori campo! Dovremmo prima parlare per ore per definire cosa sia il realismo. Nathan è differente per sua natura e per via del mondo in cui si muove rispetto, ad esempio, a Tex. Nathan non può essere un eroe a tutto tondo, non ha un’autonomia d’azione così completa. Ma questo è parte della modernità di Nathan. Prendi la mia ultima trilogia, Nathan compare credo per dieci pagine, mi sono preoccupato che faccia la mossa decisiva, ma ci sono albi bellissimi in cui non c’è nemmeno questo aspetto. I fumetti non sono strutturalmente realistici. La Marvel ha creato questo ibrido fumetto-realismo, e io ne ero innamorato, almeno finché li ho letti (fermandomi alla Caduta dei Mutanti, quasi trent’anni fa). È affascinante, ma questa continutiy elevata a sistema è pericolosa. Prendi gli X-Men, era la soap opera mescolata all’avventura, ma alla fine è un sistema che si auto-alimenta, i legami alla fine si esauriscono. Il sistema fa come la maionese, impazzisce e non si solidifica. Alla fine, è un problema degli autori.

antonio serra x-men

Antonio tocca un tasto che suona spesso nelle discussioni sul personaggio. Nelle ultime storie, Nathan è spesso in secondo piano, una figura che agisce poco, lasciando più spazio ai suoi comprimari, ed è un dettaglio che la vecchia guardia dei nathanneveriani non vede esattamente di buon occhio.

Di questo dovresti parlarne con Glauco Guardigli, che è il curatore della testata. Immagino che anche lui abbia il problema come lo avevo io ai tempi in cui mi occupavo direttamente del prodotto. Il lettore è appassionato del personaggio, non del mondo. L’ambientazione è importante perché in sua assenza il protagonista non avrebbe dove agire, ma l’eroismo che attira è quello del personaggio, che quindi dovrebbe esser statico. Prendi Nathan: muore la moglie e si mette con un’altra, Tex non lo farebbe mai! Nathan ha commesso degli “errori narrativi”, legati alla continuità (e sono stato io a farglieli commettere, eh… mica li ha fatti da solo!). La continuità sposta contenuto e contenitore, è pericolosa proprio per questo, perché evolvendosi genera non solo contraddizioni ma rischia di scontentare il lettore che preferiva una certa situazione. I lettori hanno avuto una sorta di “imprinting” nel momento in cui hanno iniziato a leggere la serie. Il nostro lettore vorrebbe il numero 1, e le emozioni da esso generate, all’infinito. È giusto, attenzione, ma diventa complicato per me autore che non riesco a riscrivere la stessa storia. Prima hai citato “Il Dilemma”, un’ottima storia per la quale dobbiamo ringraziare il lavoro di Glauco e l’entusiasmo di Giuliano Ramella e Davide Rigamonti. Io, purtroppo, quell’entusiasmo l’ho perso da tempo.

Quindi è per questo che Serra ha rinunciato a scrivere storie?

Io ho bisogno di raccontare cose diverse in modi diversi, la serialità purtroppo non fa per me. Chi mi conosce sa che spesso dico: “Non sono un vero professionista”, e lo penso sul serio: mi manca la straordinaria capacità di un Moreno Burattini o di un Mauro Boselli di rinnovare costantemente il personaggio dall’interno, rimanendo fedele al protagonista e al suo mondo.

Tornando al discorso delle critiche, Serra fa un appunto. Da lettore, segue diverse pubblicazioni, ne parla in una trasmissione radiofonica, non più come autore ma come critico, e si è accorto che a volte il problema è come viene recepito il media fumetto.

Come saprai tengo una rubrica di fumetti su Radio Popolare, e a volte mi hanno criticato perché parlo sempre bene delle pubblicazioni che presento. Ma è ovvio! Mentre stiamo parlando ora saranno usciti decine di fumetti, ma io in trasmissione ne posso portare uno. Quindi porterò un fumetto che mi sia piaciuto, anche perché dire che un fumetto è “brutto” non vuol dire nulla, posso al massimo dire che non è piaciuto a me. È il mio gusto, è soggettivo. Molto più interessante segnalare prodotti che possono piacere a me, alla luce della mia esperienza, o che oggettivamente hanno contenuti interessanti (risate anche qui… cosa c’è di oggettivo in tutto l’Universo? Niente!). È un ragionamento complicato, è più facile dire “brutto”. Questa lontananza tra chi acquista e chi scrive può nascere perché il lettore ha il diritto di aver ciò che chiede, ma a volte l’autore non è in grado di dargli quella storia. Prendi ad esempio Tex, quello che leggiamo oggi è il Tex di Mauro Boselli, non di Gianluigi Bonelli. Lascia perdere il fatto che Bonelli purtroppo non è più tra noi, non è quello il punto. Quando Miller ha scritto Dark Knight, Bob Kane era vivo, ma nessuno si sarebbe mai azzardato a far scrivere in quegli anni una storia di Batman a Kane! La percezione del mondo cambia. Quando il lettore arriva e mi dice cosa dovremmo fare, sono sicuro 1) che ha ragione 2) che non tocca a me farla! Ma io dove vado? In pensione, è la risposta. Purtroppo non è una risposta praticabile alla mia età…

Tralasciando il fatto che vedendo come Serra si aggiri instancabile per i corridoi della Bonelli sono sicuro che la pensione è ancora parecchio lontana, nelle parole di Antonio si sente una dichiarazione onesta di rispetto del lettore. Credo non sia facile per chi crea un personaggio fare un passo indietro, lasciando che qualcuno altro prenda in mano le redini per andare incontro al gusto dei lettori, ma Antonio Serra lo ha fatto. Perché in questi venticinque anni non è cresciuto solo Nathan, ma anche il narratore che è in lui, che in certi aspetti ha ora una diversa visione.

Nella mia testa di oggi seguire la continuità è limitare la creatività, una follia. Dall’altro lato c’è il rischio di scrivere cose che non solo non piacciano al lettore, ma che siano “senza senso”. È uno spazio difficile, io per primo mi arrabbio se negano la continuità, come lettore mi contraddico, ma come professionista spero di aver la lucidità di scrivere cose interessanti, ma vorrei ricominciare da zero. Come fanno i giapponesi. Prendi la nuova serie della Yamato, un chiaro reboot: è molto più bella della serie originale. Non solo come stile, ma perché è arricchita da tutta l’esperienza acquisita, ti porta su un sentiero conosciuto ma chiarisce che quello che hai visto prima non esiste più! Gli autori non negano i personaggi, rimangono fedeli ai loro caratteri. Nella vecchia serie, ad esempio, in uno dei primissimi episodi i nostri eroi (tutti maschi meno una) facevano scendere le donne dalla nave, in quanto sarebbe stato “ingiusto” per loro affrontare tutte le difficoltà del viaggio verso Iskandar. Oggi una cosa del genere si chiama sessismo! Nella nuova Yamato le donne rimangono a bordo e quindi partono nuove dinamiche interpersonali. Tra le altre cose, finalmente, ci sono i turni a bordo. Ovviamente, è un fatto di “realismo” (risate!). Prima erano talmente pochi come equipaggio che c’erano sempre gli stessi sul ponte. Ti sembra credibile che riescano a essere presenti ai loro posti le stesse figure, 24 ore al giorno per 365 giorni?

antonio serra space battleship yamato

Quindi è possibile dare nuovo fascino a una serie, senza privarla delle sue caratteristiche essenziali? Secondo Antonio Serra è assolutamente fattibile, a patto di seguire delle semplici regole.

Non si deve negare il carattere dei personaggi, il loro “spirito”, ma si può rigenerare il patto con i lettori, a condizione che la testata sia chiusa, non in corsa! Da noi è impossibile, perché comunque la testata è ancora attiva e apprezzata, quindi dobbiamo cercare di gestire questa situazione complicata. Mantenere l’interesse costante del lettore è una bella sfida! Ma io resto anti-continuity dichiarato, con la dichiarazione di intenti di offrire le migliori storie che potrò scrivere con la mia esperienza.

Considerando che alcune delle obiezioni dei fan di Nathan Never riguardano proprio la gestione della continuità del personaggio, viene da chiedersi come Antonio Serra viva le critiche di appassionati ed addetti del settore.

Io non leggo le critiche, cerco di non farlo. Ma spesso sento miei colleghi che le seguono, e se vedono scritte cose negative ci stanno male. Il lettore ha il sacrosanto diritto di criticare e chi scrive deve accettare la sua critica, a patto che sia motivata, e con la coscienza del lavoro che c’è dietro. Spesso purtroppo, i colleghi mi riferiscono di critiche che li lasciano sconcertati, leggendo frasi “cattive”, ma di cui non si capisce l’origine. In un mondo globalizzato in cui tutto si consuma rapidissimamente, in cui l’unico modo per farsi sentire è alzare la voce, questo è il risultato, spesso ci si lamenta in termini secchi, ma privi di valutazione, senza motivazioni.

Eppure, ci deve essere una ragione di questo allontanamento tra Serra scrittore e una certa dinamica narrativa. Con la solita lucidità, Antonio fa una piccola auto-critica e offre la sua chiave di lettura.

Parte del problema è la percezione del mondo. Io ho più di 50 anni, per me ogni miglioria tecnologica, ogni cambiamento di qualsiasi tipo, peggiora qualcosa del mondo che ho sempre conosciuto. Ma il mondo deve andare avanti, senza progresso non saremmo più qui! E se fossi io che ho una percezione sbagliata di cosa sia oggi interessante? Ti faccio un esempio: vado al cinema e penso che il film che sto guardando non funzioni, non mi piace. Poi mi ricapita con un secondo, e con un terzo film. Al terzo bisogna cambiare il punto di vista: e se alla fine fossi io il problema? Se tre registi diversi, coetanei, producono tre film, soprattutto glieli fanno produrre con l’ottica di guadagnare denaro, e sei tu il solo a cui non vanno a genio, allora il problema non sono loro, ma sei tu. Però (anche perché non sono un critico cinematografico professionista, ma solo uno spettatore) io non vado a casa a massacrare questi film con una recensione negativa online, perché capisco che sono io che sono rimasto legato alla mia tradizione cinematografica, e starò a casa e guardarmi un film anni ’50. Credo, ma dovremmo controllare, che una volta le generazioni si esaurissero in modo più lento, ora viviamo in una realtà rapidissima. Prendi me, io sono ancora in un’età produttiva, ma il mio modo di raccontare non incontra più il gusto dei lettori, probabilmente. Il vecchio lettore si sente spaesato perché l’evoluzione del mio modo di raccontare non lo convince, ma il lettore giovane vede il mio stile come datato. Il mondo ormai è troppo veloce, ed è una situazione che io patisco maggiormente perché non riesco a rimanere appassionato ogni mese alla stessa cosa, ho bisogno di raccontare in modo diverso. Non ‘”nuovo”, perché è un termine che non conosco, dire “ho avuto un’idea nuova” è presunzione. Si può dire che raccontiamo un qualcosa che, pur essendo già raccontato da altri, noi presentiamo con una nuova visione, differente. Capisci come è difficile il rapporto autore/lettore?

Il rapporto è sicuramente difficile, ma è facilitato da un ponte che è il personaggio, il tramite con cui l’autore racconta al lettore una storia, cerca di dare un’emozione. O almeno così ho sempre pensato, ma Antonio la vede in modo diverso, spiegando quale sia il problema attuale del mondo fumetto.

A dire il vero il personaggio non è il ponte. Il vero rapporto è lettore-personaggio, gran parte dei lettori ignora il nome degli autori di una storia (in particolar modo lo sceneggiatore: il disegnatore è, di natura, più “divo”), ma conosce il personaggio, lo prende come una figura reale. Il contrasto nasce dal fatto che il personaggio, invece non è reale, è scritto magari da dieci persone diverse. Ma anche fosse sempre lo stesso autore, dopo vent’anni di storie sarebbe differente anche lui, perché nel frattempo ha accumulato nuove esperienze. Eppure ci sono autori come Burattini su Zagor o Berardi con Julia che riescono a cambiare, pur rimanendo saldi su alcuni punti fermi narrativi, mentre io ho bisogno di rompere tutto, come uno tsunami!

Prima di lasciare Antonio Serra al suo lavoro, chiedo quale sia il problema del mondo del fumetto. La risposta arriva immediata, come se Serra avesse chiaro dove sia il cuore della difficoltà attuale del vendere fumetti.

Troppi pochi nuovi lettori. Ci fossero, magari gradirebbero il nuovo fumetto. Noi abbiamo avuto un boom anni fa con i lettori della tua generazione, ma ora voi siete cambiati e le nostre nuove produzioni non vi sanno catturare come un tempo. È come quando vado al cinema, mi rendo conto che cinema (e serial televisivi) sanno rinnovarsi perché hanno un pubblico ricettivo, più giovane non solo nell’età ma anche nella sua cultura, nel suo modo di vivere. Speriamo, con tutte le novità che stiamo preparando, di raggiungerlo, questo pubblico, anche nei fumetti.

Quando saluto Antonio , la Bonelli sta andando in pausa pranzo, ma Serra sta già adocchiando una ciano che aspetta la sua attenzione. Per me che sono cresciuto con le sue storie, che oltre a Nathan ho letto Gregory Hunter e più recentemente Greystorm, è stata una chiacchierata con un mito che si è dimostrato ironico, lucido, forse in alcune parti un filo pessimista, ma comunque sempre innamorato dei fumetti, appassionato nel parlare di film ed anime.

E dopo aver passato con lui un’ora emozionante, non vedo l’ora che arrivi il 12 ottobre, quando all’interno della collana “Le Storie” potremo leggere Astromostri, disegnata da Maurizio Rosenzweig, ma raccontata da Antonio Serra. E vedendo le prime immagini, sono sicuro che ci sarà tanto delle passioni di Antonio!