Mar 10 Settembre, 2024

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Candy Candy compie 40 anni: 5 cose che (forse) non sapete sull’orfanella della Casa di Pony

Il 2 marzo 1980, esattamente 40 anni fa, Candy Candy (キャンディ・キャンディ Kyandi Kyandi) faceva il suo debutto sulle TV private locali italiane, riscuotendo subito grande successo e diventando uno degli anime più famosi giunti in Italia dal Giappone tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.

5 particolari su Candy Candy, l’anime con protagonista l’orfanella più simpatica e adorabile dei cartoni animati che debuttò 40 anni fa in Italia

Adattamento animato dell’omonimo shojo manga (manga indirizzati principalmente a un pubblico femminile) disegnato da Yumiko Igarashi e tratto dal romanzo di Kyoko Mizuki (edito in italia da Kappalab Edizioni), racconta la struggente e difficile storia dell’orfanella Candy, bionda bimba un po’ ribelle dagli atteggiamenti da maschiaccio,  cresciuta nell’orfanotrofio Casa di Pony e successivamente adottata da una nobile e potente famiglia inglese, i Legan.

Tra angherie subite da fratellastri Iriza e Neal, gioie, amori sfortunati dagli epiloghi anche tragici, senza dimenticare l’orrore della guerra, Candy troverà il suo percorso di vita da sola, non rinunciando mai ad affrontare la vita con un sorriso. Dopotutto, come diceva Anthony, “Candy, sei più carina quando ridi che quando piangi”.

Icona della positività e dell’amore per la vita che supera tutte le difficoltà, dell’autodeterminazione femminile e della perseveranza nel realizzare i propri sogni e trovare un posto nel mondo, Candy ci ha insegnato il valore della vera amicizia, la necessità di opporsi sempre alle ingiustizie e l’idea che il bene e la gentilezza si elargiscono senza secondi fini.

Scopriamo, dunque, cinque particolari du Candy Candy di cui, forse, non siete a conoscenza.

1 – Dalla Casa di Pony al tribunale

Dopo essere stato trasmesso, oltre che da una miriade di TV locali, anche da Mediaset, l’anime è sparito dalla circolazione dagli anni ’90 a causa di beghe legali tra le due creatrici Igarashi e Mizuki, contenzioso che ha portato al blocco con gli anni si è incrinato fino ad arrivare in dei pubblicazione del manga e di trasmissione dell’anime.

2 – A spasso col suo gatto(?) se ne va

Il procione Klin, che nella sigla dei Roking Horse veniva indicato come “gatto”, nel romanzo e nel manga non esiste, ma venne inserito nell’anime a favore di un pubblico infantile per cercare di controbilanciare i momenti più tristi e drammatici della narrazione (ma probabilmente anche per ragioni di merchandise).

3 – Niente tragedie, siamo francesi

La storia di Candy è “costellata” di vari momenti drammatici, come la morte del suo primo grande amore Anthony. In Francia la morte del “principe della collina”, soprannome dato da Candy ad Anthony, fu ritenuta troppo forte per il giovane publico d’oltralpe, con la sorte del giovane e biondo rampollo della famiglia Andrew che venne trasformata in una grave malattia invalidante.

4 – Italians do it longer

Del manga esiste un’edizione italiana riadattata e censurata che venne pubblicata da Fabbri Editori in uscite settimanali. L’intraprendenza dell’editore milanese porto alla continuazione del manga ben oltre le 77 uscite dell’originale giapponese, arrivando alla pubblicazione di ben 326 numeri con un proseguimento della storia completamente inventato creato e disegnato in Italia.

5 – “Otenba style” e fischio alla pecoraia

In Giappone il successo di Candy Candy affonda le radici anche nel fascino che i giovani del Sol Levante hanno per le ragazze “otenba” (ovvero maschiacce), probabilmente per quel senso di libertà e anticonformismo che, spesso, in Giappone non è (o forse era) visto di buon occhio proprio associato alle ragazze. Infatti nella bellissima sigla originale giapponese di Candy Candy, cantata dalla mitica Mitsuko Horie, si fa spesso riferimento alla protagonista che ama fischiare, arrampicarsi sugli alberi e fare cose da maschi, infischiandosene del suo aspetto e di ciò che pensano gli altri.

E proprio in conclusione ecco le sigle, italiana e giapponese, dell’anime.

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