Beau ha paura è il terzo lungometraggio di Ari Aster, regista e sceneggiatore di Hereditary e Mindsommar, due film horror che hanno raccolto successo commerciale e di critica.
Alla terza prova, Aster decide di realizzare qualcosa di completamente diverso, difficilmente codificabile in un genere specifico. Una pellicola tutt’altro che commerciale, vista anche la durata di 3 ore, un film che ha diviso critici ed esperti di settore e che, siamo certi, dividerà anche il pubblico.
Di cosa parla Beau ha paura?
Beau è un uomo di mezza età, insicuro e trasandato, che vive in uno squallido appartamento in un quartiere di una normale città degli Stati Uniti, posto che però sembra quasi la Colombia durante la guerra di Pablo Escobar. Il film inizia, letteralmente, con la nascita di Beau, dall’utero alla “luce” e fin da subito ci accorgiamo di quanto si apprensiva la madre Mona, preoccupata dal fatto che il nascituro non emetta nessun suono.
È proprio il rapporto con la madre che innesca la storia alla base del film: Beau deve andare a trovarla per l’anniversario della morte del padre, ma una serie di sfortunati (o voluti) eventi si metteranno in mezzo fra l’uomo e il suo proposito. Prima gli verranno rubate le chiavi di casa e la valigia, poi una folla di persone della peggior specie invaderà la sua casa e infine verrà investito da un furgone. Forse, non tutto il male viene per nuocere, e il nostro protagonista verrà salvato da Grace e Roger, la coppia che lo investe per strada. Roger è uno stimato chirurgo e rimetterà in sesto Beau, resta da capire se per un’opera caritatevole o per altri scopi, più loschi.
Da qui in poi inizierà il viaggio del protagonista, fra gente dei boschi che inscena opere teatrali, un pazzo che inseguirà Beau e l’arrivo a casa della madre, con una serie di rivelazioni, che più che dare un senso compiuto al film, lo renderanno ancora più incasinato.
L’Odissea firmata Ari Aster
“Beau ha paura” è dunque un film che racconta l’odissea di un uomo che tenterà di tornare a casa e, proprio come Ulisse nel poema omerico, smarrirà la strada di casa più volte, prima di arrivare a destinazione. Se Ulisse veniva messo in difficoltà dalle divinità avverse, Beau sembra essere più vittima del caso, anche se l’ambiguità del film non chiarisce questo aspetto.
Il premio Oscar Joaquin Phoenix interpreta un uomo pieno di ansie e fobie, che vive in un modo che sembra fatto apposta per accrescere le sue idiosincrasie, e che sembra una versione estremizzata della nostra società, quasi un futuro distopico dove i cadaveri vengono lasciati a marcire per strada, e un uomo nudo accoltella la gente, senza essere fermato. A volte si ha la sensazione che tutto sia programmato, come una sorta di Truman Show, e chi sembra offrire una speranza a Beau, sembra nascondere qualcosa, come i coniugi Grace e Roger, interpretati da Amy Ryan e Nathan Lane.
Un cast calato nella parte
Se c’è una cosa in cui riesce “Beau ha paura” è sicuramente centrare il proprio cast. A cominciare dal protagonista tutti gli attori sono veramente in grande spolvero, tanto da sembrare fatti apposta per il ruolo che interpretano. Oltre a Phoenix, Ryan e Lane, troviamo Denis Menochet che interpreta un reduce di guerra schizzato e inquietante, Patti LuPone nei panni della madre di Beau, versione âgé, e Zoe Lister-Jones nella versione più giovanile.
Phoenix, come di consueto, regala una prestazione memorabile, donandosi completamente al personaggio, riuscendo a essere comico e disperato, a volte contemporaneamente.
La versione di Beau
Tutto quello che vediamo nel film è dal punto di vista di Beau, persino la sua nascita, e anche mentre assiste alla rappresentazione teatrale inscenata dalla gente dei boschi, il protagonista della piece diventa lo stesso Beau. Questo potrebbe far pensare a quanto la mente di Beau sia propensa a fantasticare, e che quello che vediamo durante il film, non sia una versione della realtà modificata dalle sue paranoie, il che spiegherebbe le innumerevoli situazioni assurde in cui il protagonista si ritrova. Anche l’atto finale sembra propendere verso questa “versione di Beau” e quello che abbiamo visto potrebbe essere come Beau vuole che lo vediamo.
È lui la vittima di una madre castrante, o in realtà è un figlio ingrato, come sembra sostenere Mona. Le immagini del film raccontano la prima versione, a sostegno di Beau, ma come detto il protagonista potrebbe essere un narratore inaffidabile.
Da Beau a Beau ha paura
Ari Aster, considerato insieme a Robert Eggers (The Witch, Lighthouse e The Northman), uno dei più interessanti autori emergenti, realizza il suo terzo lungometraggio ancora una volta con la A24, casa di produzione alla base di molti film acclamati degli ultimi anni (leggi alla voce Everything Everywhere All At Once). Quella che realizza Aster è un’opera complicata, densa ed ermetica, più surreale e sognate dei suoi primi due film. Partendo dal corto Beau, realizzato ad inizio carriera, il regista americano amplia la sua storia in un sogno ad occhi aperti. Ricorda un po’ l’operazione che fece Darren Aronofsky con Madre, anche se questo film risulta più riuscito, e con la sequenza dell’opera teatrale di cui Beau diventa protagonista uno dei momenti migliori del film, anche se avviene in un momento in cui rischia di spezzare il ritmo.
Non mancano i punti interrogativi alla fine del film e francamente ci sono dei momenti grotteschi, ma anche un po’ fuori luogo (in particolare nel momento in cui Beau sale nella soffitta della madre), che rendono Beau ha puara un film sotto certi aspetti interessante ma anche un tantino pretenzioso e pretestuoso.
I tre atti nei quali si sviluppa la pellicola rappresentano il rapporto di forza tra madre e figlio, dove a vincere è la madre, e dove il povero Beau viene ostracizzato e pubblicamente umiliato dal genitore. Ma come detto prima potrebbe anche essere solo una faccia della medaglia, quella che Beau vuole farci vedere.
Il ciclo della vita
“Beau ha paura” è il tipico film che si apre a più interpretazioni, dove il regista non fornisce una vera spiegazione allo spettatore ma lascia aperta la possibilità a ciascuno di farsi la propria idea, disseminando indizi che possono andare in una direzione o in un’altra, diametralmente opposta. Fra gli “indizi” lasciati da Ari Aster, c’è ne uno in particolare sul finale del film, non vi sveliamo cosa succede, ma quello che si sente è un vagito di un neonato, e, vedendo l’incipit del film, ci si può fare un’idea di quello che può rappresentare il senso del film.
Beau ha paura è un film imperfetto, ma che offre molteplici spunti di riflessione.
Di certo non è adatto a chi vuol passare un pomeriggio leggero al cinema, ma più nelle corde di chi cerca qualcosa di diverso da quello che si vede abitualmente nelle sale. Un film che non finisce ai titoli di coda ma che resterà nelle teste degli spettatori anche nei giorni seguenti, rischiando di incasinarvi il cervello, proprio come succede a Beau.