Dylan Dog: Che regni il caos! – Recensione

dylan dog: che regni il caos cover

Novembre 2018 dovrebbe esser ricordato come il mese dylaniato per eccellenza. L’Indagatore dell’Incubo, infatti, nell’arco di una manciata di giorni è stato protagonista del lancio ufficiale dell’Universo Bonelli (L’abisso del male, in compagnia del BVZM), di un incontro con Morgan Lost (Incubi e serial killer) ed infine dell’inizio del Ciclo della Meteora, Dylan Dog: Che regni il caos!

Dylan Dog: Che regni il caos!: il Ciclo della Meteora inizia da questo albo!

Per quanto i primi due albi citati mi sian piaciuti, è Dylan Dog: Che regni il caos! che mi ha maggiormente appassionato. Legger questo albo è stata un’avventura, soprattutto se si accetta di lasciarsi guidare da Recchioni in quello che personalmente ho vissuto come una dichiarazione di intenti capace di rispondere con i fatti alle critiche degli ultimi anni sulla sua gestione di Dylan Dog.

In Dylan Dog: Che regni il caos! c’è tutta la vena narrativa tipica di Recchioni, capace di colpirti per la sua verve al limite dell’eccessivo, ma che vuole sfidarti ad andare oltre alla semplice apparenza, instillandoti quel senso critico di analisi della realtà che fa dell’autore romano una delle più lucide menti narratrici del nostro panorama.

dylan dog: che regni il caos copertina

Che poi possa piacere o meno il suo stile, è opinione personale dei lettori, ma sarebbe anche il caso di volere privare la figura dell’autore, non solo Recchioni ma in generale, di una connotazione ideologica o politica obbligatoria, lasciando emergere quelle che sono le suggestioni che chi scrive la storia vuole suggerirci.

In questo albo, come in precedenza, Recchioni arriva brutalmente onesto al confronto con il lettore, senza maschere, ma mettendo nella storia di Dylan Dog: Che regni il caos! quelle che sono le sue caratteristiche: citazionismo e visione, a volte cinica, del mondo.

Di Recchioni ho sempre apprezzato il suo modo di privare i personaggi, specialmente i cattivi, della perfidia quasi stereotipata a cui eravamo abituati. Dalla Juric di Orfani al John Ghost di questo albo, il cattivo non è mai quella macchietta meschina e facilmente odiabile, ma nasconde subdolamente un certo fascino, nato dalla condivisione di idee che, per quanto orribili, hanno una loro liceità machiavellica.

John Ghost, in Dylan Dog: Che regni il caos, ritorna in piena forma, proprio in questa accezione. Il magnate inglese è un fine conoscitore dell’animo umano, che vede senza illusioni e apprezzandone anche i lati più torbidi, comprendendo come una catastrofe imminente potrebbe trasformare la percezione del mondo, rendendo complesso il salvataggio dell’umanità.

Diventa emozionante vederne la crescita in carima, un escalation che culmina in sua dichiarazione che echeggia il celebre invito di Steve Jobs. Da buon machiavellico, Ghost capisce che per controllare le masse serve un simbolo, un eroe. Serve Dylan Dog. Ma ogni eroe ha bisogno di nemici, ed ecco che Recchioni fornisce all’Indagatore dell’Incubo un mostro vero, altra sua creatura: Axe Neil.

Il serial killer del rock viene liberato come una bestia affamata nel centro di Londra da Ghost, intenzionato a creare un caos controllabile, contando sul fatto che Dylan Dog faccia Dylan Dog, salvando la città. Questo consente a Recchioni di dare libero sfogo alla propria vena citazionista, sfruttando la peculiarità del serial killer per trasformare i dialoghi in una playlist rock, con un culmine metatestuale che segna il degno finale di questa prima parte dell’albo.

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Ora, lasciamo per un attimo da parte l’incredibile lavoro di Leomacs alle tavole, capace di rendere la furia omicida di Axe Neil in modo sublime e travolgente, per concentrarci su altro. La vena omicida di Axe consente di ritrarre lo spaccato di una società che appare in piccoli dettagli, capaci però di far emergere una realtà distorta, in cui un selfie della strage sembra la normalità. Questa società è la presentazione del ritratto dell’umanità fatto da Ghost nel suo inquietante e lucido monologo sulla storia umana, in cui un lupo come Axe riconduce il gregge di pecore alla realtà in modo traumatico, ma necessario.

Recchioni riesce a raccontare questo aspetto con un buon uso del black humour, presente da sempre nella serie, ma che in Dylan Dog: Che regni il caos! viene spinto all’estremo, non tanto per venerare la violenza scabrosa fine a se stessa, quanto per allineare una caratteristica della collana al personaggio ritratto. Tra citazioni canore e massacri, con un ‘qualcosa di colpetamente diverso‘ interpretato dal segretario della regina (che mi ricorda un giovane John Cleese), che spezza il ritmo al momento giusto, si costruisce una vicenda che vuole in Dylan Dog l’eroe che tutti aspettavano.

E qui si ribalta un canone tipico del personaggio di Sclavi. Per anni additato dalla stampa e opinione pubblica come un ciarlatano, improvvisamente Dylan Dog diventa il beniamino dell’Inghilterra, l’incarnazione dell’eroe per eccellenza, l’uomo che combatte i mostri. Perché dopo avere visto in azione Axe Neil, tutti ora accettano che i mostri esistano. Anche in questo caso, il principio che il mostro siamo noi sembra esser ribaltato, scardinando un altro punto fermo di Dyd. Recchioni vuole forse ribaltare il personaggio di Sclavi? No, fa una cosa ancora più difficile ed emozionante: ribadisce chi sia Dylan Dog.

Dylan Dog: Che regni il caos! mette in mostre la verve narrativa di Recchioni

La seconda parte di Dylan Dog: Che regni il caos! è interamente dedicata alla pressione psicologica esercitata su Dyd. L’improvviso apprezzamento popolare, lo sfruttamento della sua immagine sono elementi che funzionano eccellentemente come viaggio interiore di Dyd. Recchioni sembra avvicinarsi maggiormente all’ideale sclaviano, mostrando un’altra sua caratteristica inattaccabile: le parole.

Leggere Recchioni significa anche apprezzare quello che dicono i suoi personaggi, mai banali, ma che lasciano messaggi ai lettori che possono essere vissuti su più livelli. Non è un caso che fuori da casa, Dylan apostrofi i nuovi fan sfegatati con una frase devastante

“Uccidete i vostri idoli, dannazione”

In Dylan Dog: Che regni il caos! l’utilizzo dei dialoghi, il ripresentarsi di alcuni elementi tipici della storia (non continuity, ma storia, badate bene) di Dylan Dog sono gli strumenti di precisione con cui Recchioni crea il primo passo del Ciclo della Meteora, ma hanno la forza di esser anche un dimostrare come Dylan sia sempre Dylan.

Chi si lamenta che Recchioni abbia violato la continuity dylaniata, che abbia privato il personaggio del suo DNA per adeguarlo ai nuovi tempi, ha mancato di riscontrare come le storie uscite sotto la direzione Recchioni non abbiano snaturato Dylan, ma lo abbiano invece reso ancora più vivo e reale. Quello che viene fatto con Dylan Dog è mostrare come i veri mostri non siano le creature orrende, ma le persone normali, capaci di diventare essere abietti da temere. E Recchioni lo ribadisce quando Dyd salva il povero Lord Chester (rivisto volentieri!):

“.. Ma i veri mostri siete voi!”

Ed ecco che Dylan torna ad esser un simbolo, ma non come lo vorrebbe Ghost, bensì come lo amiamo noi lettori. Una persona onesta e buona, che ha visto il peggio dell’animo umano ma non perde fiducia negli uomini, capace di opporsi ad una banda di violenti armato solo della sua convinzione che sia la cosa giusta.

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E l’ultima tavola, con quella spettacolare mano tesa di Dyd verso colui che è percepito come un mostro, è la manifestazione più emotiva e travolgente dell’animo del protagonista:

“Il mio nome è Dylan Dog…e sono un essere umano”

Dylan Dog: Che regni il caos ha il duro compito di esser il primo capitolo di una lunga saga, ma riesce in pieno nel suo obiettivo. Di impatto e profonda la storia di Recchioni, ottimi i disegni di Leomacs e Nizzoli (Dyd assomiglia di nuovo moltissimo ad Everett), ma soprattutto abbiamo tra le mani un albo che dovrebbe finalmente segnare la fine di polemiche sterili e prive di dignità.

Ed ora prepariamoci a festeggiare l’ultimo dell’anno con il secondo capitolo del Ciclo della Meteora, Esercizio numero 6.