Altered Carbon: la recensione in anteprima della nuova serie di Netflix

Altered Carbon

Adoro il cyberpunk. La fantascienza è ricca di ambientazioni e tipologie narrative, ma quando mi si mette davanti quest’atmosfera decadente in cui tecnologia e umanità sembrano ormai fuse in un unico entità, mi sento a casa. Che si tratti di un videogioco come Shadowrun o l’ennesimo romanzo del padre del cyberpunk, William Gibson, vado in fibrillazione. E potete quindi capire quanto stessi aspettando la nuova serie cyberpunk di Netflix, Altered Carbon. Ad onor del vero, la attendo da quando ho letto il romanzo omonimo di Richard Morgan, edito in Italia come Bay City. Ricreare le atmosfere del cyberpunk in un libro è una sfida non da poco, sapendo che avrai sempre la fama di Gibson e Sterling come pietra di paragone, eppure Morgan ha saputo interpretare la filosofia cyberpunk in modo perfetto. Specialmente in questo suo primo capitolo delle avventure di Takeshi Kovacs, personaggio dal fascino molto particolare.

Netflix non ha resistito alla possibilità di mettere le mani su questo tesoro letterario. La conversione da opera letteraria a serie TV non è mai semplice, come ha dimostrato di recente Electric Dreams di Amazon Prime Video, ma nel caso di Morgan ci si è scontrati con un’altra difficoltà: la libertà narrativa e gergale dell’autore. Lo scrittore, nel creare il suo universo futuro, non ha lesinato in alcun modo su volgarità e scene forti, con un’espressività che potrebbe risultare eccessiva per un certo pubblico. Non a caso, in questi giorni la showrunner della serie, Laeta Kalogridis, ha affrontato la questione riguardo una certa scena, e, dopo aver visto in anteprima Altered Carbon, il dubbio su questo passaggio al mondo delle serie tv è stato dissipato in modo totale. La Kalogridis ha mostrato di credere in modo viscerale nell’opera di Morgan, tanto che sono circa quindici anni che cerca di portare il romanzo originario nel mondo di cinema, dopo aver opzionato i diritti. Alla fine, si è dovuto accontentare di Netflix, ma il risultato è comunque superlativo.

Altered Carbon sarà disponibile dal 2 febbraio, noi lo abbiamo visto in anteprima e vi sveliamo la nostra opinione!

Al centro di Altered Carbon abbiamo Takeshi Kovacs, personaggio di cui scopriremo pian piano il passato, incaricato da Laurens Bancroft, uno degli uomini più potenti della Terra di indagare su un omicidio: il proprio. Nel futuro, infatti, sarà possibile digitalizzare la propria coscienza e trasferirla in altri corpi (sleeve), rendendo il tutto simile all’immortalità. Takeshi viene risvegliato dopo 250 anni di detenzione su richiesta di Bancroft, che vuole sfruttare le sue particolari abilità per risolvere questo spinoso caso. Ma non tutto sarà come sembra, e a volte certe risposte possono non piacere!

Altered Carbon in versione Netflix segue in modo abbastanza fedele il romanzo di Morgan. Il personaggio di Kovacs è reso al meglio, con una progressione che appassiona e lo rende affascinate, grazie ad un carattere apparentemente cinico e disincantato. In questo ricorda alcuni detective tipici delle storie hard boiled, complice un atteggiamento irriverente e sfacciatamente provocatorio, che spesso diventa un contrasto con persone abituate ad esercitare un potere assoluto in nome della propria autorità. Joel Kinnaman presta il proprio volto a Kovacs, il cui aspetto originario ha le fattezze dell’attore coreano Will Yun Lee. Questo cambio ha senso all’interno della narrazione, consente di valorizzare al meglio il sistema degli sleeve, oltre a dare un maggior impatto emotivo all’interno della storia stessa. Kinnaman (Suicide Squad, The house of cards) è puntuale nella sua recitazione, aiutato da una gestione del personaggio che tende al minimo dell’emotività, specie nei primi episodio. Le sue espressioni sono quasi sempre ciniche, accennate, ma al contempo perfettamente inserite nella dinamica tra personaggi. Scelta intelligente, visto come in certi episodi (come nella chiacchierata scena della tortura) la maschera di Kovacs cede e le emozioni scorrono potenti.

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James Purefoy ha la maestosità di un Matusalemme in ogni aspetto. La sua aura di onnipotenza è una costante delle sue apparizioni, una figura idolatrata che si bea di questa venerazione, esercitando ogni briciola di potere in suo possesso. L’attore è particolarmente suggestivo negli episodi finali in cui viene svelata la verità, un momento in cui immortalità e potere presentano il conto. Le  movenze, la sua dialettica così ampollosa o all’occorrenza incredibilmente volgare, sono elementi che danno corpo e sostanza ad un personaggio ambiguo. Non c’è un solo istante in cui Purefoy sia sulla scena e non magnetizzi tutti gli sguardi su di sé.

Poco incisiva la recitazione di Martha Higareda come Kristin Ortega, la poliziotta che affianca Kovacs nell’indagine. L’attrice cerca di mostrare la forza del suo personaggio e tutto il suo vissuto, ma in più di un’occasione sembra poco nel ruolo. Anche i suoi frequenti scatti d’ira accompagnati da imprecazioni nel’idioma futuro perdono impatto sullo spettatore in breve, troppo sfruttati e poco valorizzati da una recitazione sempre sufficiente ma che non compie mai quel passo per esser davvero convincente.

Menzione d’onore per Chris Conner, l’IA Poe dell’albergo The Raven. Personaggio che nella serie prende il posto di Jimy Hendrix, Poe è sublime, perfetto signore dell’800 che con un linguaggio forbito e modi raffinati segue le vicende di Kovacs, sostenendolo e aiutandolo. Il suo umorismo e la sua parlantina sono sempre un piacere, e va riconosciuto a Laeta Kalogridis di aver curato in modo estremamente appassionato la crescita di questo personaggio.

Il primo scoglio di una produzione di questo tipo era la costruzione del mondo in cui si sarebbero mossi i personaggi. Il cyberpunk ha uno stile ben preciso, che nel corso del tempo è stato arricchito visivamente da pellicole come Johnny Mnemonic, che hanno impresso nella memoria degli spettatori una certa impostazione di base. Altered Carbon riesce non solo rendere onore a questo stile, ma ad adattarlo anche al gusto moderno e alle tecnologie visive attuali. La Bay City che nel futuro ingloberà la dimensione urbana di San Francisco è resa magnificamente, con una certa famigliarità alle atmosfere di Blade Runner. Tinte scure, neon che bucano lo schermo ed una pioggia perpetua che pare accompagnare gran parte della storia. E proprio come in Blade Runner era presente un linguaggio ibrido, anche in Altered Carbon le diverse etnie presenti sono valorizzate dagli accenti dei personaggi. Altered Carbon va assolutamente visto in lingua originale, per godere al meglio di una recitazione suggestiva da parte di attori come Conner e Purefoy.

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L’anima cyberpunk non è solo questa ricostruzione ambientale, ovviamente. Dal punto di vista sociale, non manca quel divario tra la massa indigente che cerca di guadagnarsi qualche soldo e le mega corporazioni, in grado di comprare tutto e tutti. In Altered Carbon questo distacco sociale è accentuato dalla presenza di un mondo sopra le basse nuvole che soffocano la città. Le residenze dei più facoltosi sono dei pinnacoli che svettano nel cielo, oltre la cortina di nuvole, dove il sole splende, contrastando con l’illuminazione cupa dei livelli inferiori. E, naturalmente, all’interno di Altered Carbon nulla può esser più divisorio della possibilità di ricorrere agli sleeve. Nella società futura questa reincarnazione digitale, costosa oltremodo, diventa appannaggio di pochi eletti, i Matusalemme o Meth, come Bancroft, che riescono a vivere per centinaia di anni, trasferendo la propria coscienza in cloni. Nel romanzo questo aspetto veniva maggiormente sfruttato in opposizione alla dinamica religiosa che aborre questa pratica, sostenendo che uccida l’anima, privando Dio del suo ruolo. Il corpo è un semplice strumento ormai, l’unico elemento che valorizzava la mortalità dell’anima è stato sostituito, e questa perdita di un limite alla nostra vita ha liberato il peggio dell’anima umana. Ma come può resistere la nostra integrità morale alla perdita di una simile guida?

La Kalogridis riesce ad inserire questo elemento in modo molto sottile. La tematica religiosa al centro del romanzo di Morgan viene affrontata anche nella serie di Netflix attraverso gli occhi della famiglia di Ortega, la partner di Kovacs nell’indagine. L’approccio filosofico sulla mortalità e gli effetti che una vita infinita e priva di rischi possano avere sull’umanità è sempre presente, segue l’indagine di Kovacs in ogni aspetto. Gli sleeve diventano uno strumento di asservimento, dando la possibilità di compiere azioni impensabili, per il semplice fatto che fisicamente non si hanno ritorsioni, ma l’impatto sull’indole e sull’anima è comunque presente. E su questa tematica Altered Carbon non fa sconti.

Stilisticamente, Altered Carbon è una gioia per gli occhi. Se l’ambientazione principale fa leva sugli appassionati di cyberpunk con suggestioni alla Blade Runner, gli interni in cui si svolge la storia non sono da meno. Dagli ambienti asettici dei laboratori alla maestosità della reggia di Bancroft, la varietà di scenografie è notevole, tutte precisamente dettagliate per mostrare il divario sociale e rispecchiare l’anima di chi le vive. Ad esaltare questa sensazione intervengono degli spettacolari giochi di luce, in cui riflessi e bagliori giocano con la nostra emotività, creando un contrasto tra luci ed ombre che sembra esaltare al meglio il tessuto narrativo della serie.

La narrazione della trama è fedele, nel ritmo, al romanzo. La complessità dell’indagine è acuita da una serie di complessità tecnologiche che rendono facile depistare gli investigatori, aiutando a creare dei vuoti che sono colmati in modo accorto con la visione del passato di Kovacs. La ricostruzione della sua vita, e la voce di una persona a lui cara che lo accompagnano nei momenti più intensi sono espedienti narrativi ottimi, che accrescono il fascino del personaggio e la solidità della serie. Laeta Kalogridis non tradisce la sua idea iniziale di un adattamento per il cinema, ma la dimensione della serie TV ha sicuramente consentito di poter offrire una versione più ricca e consistente di Altered Carbon, potendo contare su dieci episodi su cui sviscerare ogni aspetto del romanzo di Morgan. Certo, in alcuni punti i dialoghi tra i personaggi sembrano una forzatura nello scendere nel dettaglio di elementi che loro dovrebbero conoscere al meglio, essendo parte integrante della loro quotidianità, ma è un difetto necessario, strumento essenziale per coinvolgere lo spettatore offrendogli ogni elemento necessario per comprendere questo complicato mondo futuro. Mai banale, invece, la stupenda colonna sonora, varia e ricca di brani estremamente potenti, specialmente durante le scene di pura azione, in cui Altered Carbon diventa pura adrenalina.

La mia personale venerazione per il cyberpunk potrebbe fuorviarmi, ma Altered Carbon mi ha convinto pienamente. Non privo di alcuni difettucci, come la citata verbosità di alcuni dialoghi o una Ortega non propri sfavillante, la serie di Laeta Kalogridis convince per aver saputo ricreare le atmosfere emotive del romanzo ed avere offerto una società futura che rispecchia al meglio i dettami del cyberpunk, dalla tecnologia invasiva alla corruzione del potere. Netflix, con questa serie, ha nuovamente offerto un ottimo prodotto, che arricchisce il suo catalogo di serie fantascientifiche in cui figurano titoli come Stranger Things e The Expanse. Possiamo ora iniziare il conto alla rovescia per la seconda stagione di Altered Carbon, di cui è già stato dato l’annuncio ufficiale qualche tempo fa.