The Man Behind the Legend: la recensione del film sul fondatore della Lamborghini

Lamborghini The Man Behind The Legend

Dopo essere stato presentato alla festa del cinema di Roma, Lamborghini: The Man Behind the Legend, è uscito direttamente su Prime Video, saltando la distribuzione nelle sale cinematografiche.

Scritto e diretto da Robert Moresco, il biopic vede Frank Grillo (già interprete del Crossbones nemico di Capitan America), nei panni del costruttore emiliano Ferruccio Lamborghini, nel film che ne ripercorre la vita.

La trama si sviluppa i tre capitoli, con tanto di scritta in sovra-impressione: nel primo capitolo vediamo il giovane Ferruccio, di ritorno dalla seconda guerra mondiale, svelare al padre – interpretato da Fortunato Cerlino (il Pietro Savastano della serie Gomorra) – di non voler proseguire con l’attività agricola di famiglia per dedicarsi alla fabbricazione di trattori economici ed efficienti, con lo scopo di fornire a quante più persone mezzi idonei a facilitare il lavoro nei campi.

Dai trattori alle auto di lusso il passo non è mai stato così breve e nel secondo capitolo, gli anni del successo, assistiamo all’ascesa del marchio Lamborghini ai danni del rivale Ferrari, che hai il volto dell’irlandese Gabriel Byrne (I Soliti Sospetti).

Il terzo capitolo è quello della crisi, causata dall’aumento del costo del petrolio e dagli scioperi degli operai che portano l’imprenditore alla cessione della sua quota aziendale.

La storia viene interrotta ogni tanto da una gara tra le vie italiche tra i due rivali Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini a bordo delle rispettive fuori serie. Mostrata a più riprese l’avvincente gara potrebbe voler significare che il nocciolo del film è  rappresentato dalla rivalità fra i due imprenditori italiani, cosa che però traspare solamente nel secondo capitolo e di fatto non ha una vera e propria risoluzione alla fine del film.

Un film con poco “uomo” e senza “leggenda”

Trattandosi di un film che tratta il mondo dei motori, e delle auto di lusso, era lecito aspettarsi qualche scena di auto veloci degna del nome che compare nel titolo, o almeno degna di un qualsiasi Fast & Furious.

In Lamborghini: The Man Behind the Legend, ci sono due momenti che vorrebbero essere adrenalinici: il primo è il già menzionato duello Ferrari vs Lamborghini, l’altro è la prima corsa che il giovane Ferruccio (Giorgio Cantarini), insieme al pilota e socio Matteo (Matteo Leoni), fanno per dimostrare il valore della loro autovettura. Entrambe le sequenze hanno la stessa intensità di un improbabile gara tra due anziani con il cappello per le vie del centro del paese, più che auto da corsa, la velocità raggiunta, sembra, al massimo, quella di un go kart, ma di quelli elettrici, con il limitatore inserito. Durano pochissimo e mettono in scena ancora meno, persino guardano il volto dei protagonisti l’emozione che traspare non è mai quella di una folle gara, ma più quella del “Come ci sono finito in questo film?”.

Tratto dall’autobiografia scritta dal figlio Tonino “Ferruccio Lamborghini, la storia ufficiale”, l’idea di questa trasposizione cinematografica sarebbe quella di raccontare l’uomo dietro la leggenda, come suggerisce il sottotitolo, ma purtroppo, non vi è traccia ne dell’uomo, ne tantomeno della leggenda. La pecca principale del film è che condensa la vita di Lamborghini in 1 ora e 40 minuti riuscendo comunque a perdersi in inutili lungaggini, soprattutto nella prima parte del film, quella che dovrebbe raccontare l’uomo. Di leggendario, invece, si riesce a scorgere davvero poco, o quantomeno non ciò che ci si potrebbe aspettare.

Lamborghini: The Man Behind the Legend è l’America che vuol “fare” l’Italia

Frank Grillo, che di italiano ha soltanto il cognome derivante da qualche lontano parente, offre un ritratto di Ferruccio Lamborghini lontano dalla figura dell’imprenditore italiano, rappresentandolo più come lo stereotipo del self made man a stelle e strisce, alla conquista del sogno americano. A parte qualche “ciao” e “bello” buttati qua e là, l’italianità del protagonista è ridotta al nome e al paese d’origine Cento, frazione dell’Emilia Romagna, anche se di tortellini in brodo o lasagne neanche l’ombra.

Gabriel Byrne, dal canto suo, ci offre un ritratto di Ferrari senza emozioni, con le espressioni facciali ridotte al minimo sindacale e prive di qualsiasi guizzo, in particolare durante il famigerato duello in auto.

Mira Sorvino, vincitrice del premio Oscar per La Dea dell’Amore di Woody Allen, non certo in una delle sue interpretazioni più riuscite, interpreta Anita, la seconda moglie di Ferruccio tradita a più riprese dal marito,. Il resto del cast è quasi totalmente composto da attori italiani.

Se volete farvi del male, fino in fondo, vi suggerisco di guardarvi il film in versione originale, magari sottotitolato, dove potrete vedere nell’ordine: attori italiani che recitano in inglese, male; attori americani che buttano a caso qualche parola masticata in italiano, pronunciate peggio; Ferruccio e il  padre prendersi il consueto “the delle 5”, forse per dimostrare l’influenza della vittoria della guerra da parte degli alleati (e il conseguente adeguarsi alle tradizioni inglesi, o più semplicemente il classico pressapochismo americano per cui tutti gli europei sono uguali); la prima moglie di Lamborghini, interpretata dalla grande e irreprensibile Hannah van der Westhuysen, che in agonia da parto urla il nome del marito “Ferucciiiio”, con un “r” in meno e la “i” ben pronunciata.

All’elenco mancherebbe incredibilmente la classica scena con il carabiniere incompetente, ma sono pronto a scommettere che è stata tagliata in fase di montaggio.

C’è un problema ogni qual volta Hollywood decide di realizzare un biopic su un personaggio italiano (ma probabilmente succede anche per quelli di altri paesi che adottano il sistema metrico decimale). La poco lungimirante scelta dei produttori è quella di selezionare un cast composto da attori principali americani, o anglofoni affiancati da attori autoctoni, cercando di far passare l’idea che parlino tutti la stessa lingua. Il risultato, solitamente, è quello di avere gente che parla inglese con accento italiano e gente che parla inglese, con un finto e pesante accento italiano (vedi House of Gucci). Partendo dal presupposto che un produttore americano difficilmente sceglierebbe di produrre un film dove tutti parlano in italiano, completamente sottotitolato, non si capisce il perché non sia più logico far recitare gli attori con la loro lingua d’origine , senza accenti improbabili o storpiature dalla lingua di Dante.

Per completare questa superficiale opera, il regista Robert Moresco avrebbe potuto inserire un cameo della nipote di Ferruccio, Elettra Lamborghini, mentre twerkava in una tipica balera emiliana degli anni ’60. Probabilmente si sarebbe visto qualcosa di “leggendario” in questo film che, probabilmente, verrà presto dimenticato dalla maggior parte degli spettatori.