Il Rituale: Netflix ci riprova con l’horror nordico – Recensione

Il Rituale

È uscito da pochi giorni Il Rituale (The Ritual), il nuovo film horror targato Netflix basato sull’omonimo romanzo di Adam Nevill.

Il lungometraggio, diretto da David Bruckner, è stato caricato sulla nota piattaforma di streaming il 9 febbraio 2018 e nel giro di poche ore ha riscontrato un discreto successo tra gli utenti, con Netflix che ci riprova con il genere horror dopo i feedback non certo lusinghieri di The Open House.

Dopo la morte di un loro vecchio amico dell’università, Dom, Phil, Luke e Hutch decidono di organizzare una gita fuori porta, una vacanza per ricordare e onorare il quinto compagno del gruppo ormai scomparso.

La scelta della meta è difficile, ma alla fine viene scelto un percorso nelle lande desolate della Svezia, l’unico posto che sembra sopportabile da Luke, che si sente in parte responsabile per la morte dell’amico.

Tuttavia, durante il cammino, Dom subisce un infortunio al menisco, imprevisto che spinge il gruppo ad avventurarsi nella foresta per raggiungere quanto prima il rifugio.

Ed è proprio lì che iniziano ad accadere eventi terribili, mentre la foresta si trasforma nel palcoscenico di un terribile rituale nordico.

A prima vista, la trama non sembra essere particolarmente originale, basti pensare a quanti film horror esistono ambientati in foreste maledette (come il recente Jukai – La foresta dei suicidi ambientato nella foresta giapponese di Aokigahara), ma il regista è riuscito a dare un tono diverso al suo lavoro.

Per cominciare, dato che David Bruckner se la sa cavare piuttosto bene con gli horror psicologici, partiamo già con una buona dose di senso di colpa e un’amicizia di lunga data ma sull’orlo di un precipizio… elementi che ci accompagneranno fino alla fine del film.

Il secondo ingrediente principale è la religione nordica che, seppur abbondantemente condita dalla sovrabbondante fantasia narrativa tipicamente americana, lascia quel gradevole sentore di magia nera e superstizione.

Quando l’horror ha una crisi d’identità…

Ultimamente i film horror di Netflix sembrano mancare di un ingrediente essenziale: la paura… e ve lo dice una che tende a spaventarsi facilmente.

Ora penserete che, dopotutto, ciò può essere considerato quasi un sollievo e che posso godermi un maggior numero di film, ma credo sia scontato che se voglio vedere un film horror è perché un minimo di paura (o almeno un po’ d’ansia) la voglio provare, giusto?

Ecco, Netflix per adesso non ci sta proprio riuscendo e il film di Bruckner sembra ripercorrere la stessa insoddisfazione del recente The Open House, cosa che appunto si cercava di evitare.

Il Rituale non solo non fa paura, non avendo né jumpscare né scene raccapriccianti, ma non è neanche lontanamente vicino ad uno splatter: vediamo solo qualche macchia di sangue e qualche goccia scivolare da una scarpa.

L’atmosfera è inquietante, questo sì, ma ricordiamoci che di notte anche i rumori del giardino dietro casa e il semplice gocciolio di un rubinetto che perde possono far rabbrividire, non servono maledizioni nè dèi pagani assetati di sangue.

Considerarlo un horror, dunque, è forse un po’ troppo esagerato; molto meglio se consideriamo Il Rituale come un thriller, ed è davvero il massimo che possiamo concedergli.

Il fascino dei paesaggi svedesi

Ci sono tre elementi principali che salvano Il Rituale e che lo rendono comunque un film godibile, e la colonna sonora è uno di questi.

Le tracce, scritte dal musicista Ben Lovett, sono ciò che realmente mantiene un minimo di suspense nello spettatore, dando alle immagini un ritmo sostenuto, nonostante il film sia abbastanza lento.

Anche la scenografia fa la sua parte, considerato il fatto che i paesaggi svedesi sono davvero incantevoli; all’inizio del film non si ha l’occasione di apprezzarli a pieno, ma verso la fine hanno il loro meraviglioso riscatto.

Ma ciò che gioca un ruolo fondamentale ne Il Riscatto è senza dubbio la fotografia. Da quando il gruppo di amici entra nella foresta e si addentra in un luogo chiuso, le inquadrature dei tronchi degli alberi e la luce che vi filtra in mezzo giocano diventano assolute protagoniste; non a caso, la maggior parte delle scene sono girate di giorno e, se non ci fosse stata questa maestria nel gestire le immagini, adesso parleremmo di un film senza anima.

Conclusioni

Il Rituale non è un film brutto, né mal costruito. Si nota subito la cura nei particolari, e la fotografia è davvero il non plus ultra che caratterizza piacevolmente questa produzione.

La mancanza di jumpscare e di elementi paurosi però penalizza pesantemente il film di Bruckner squalificandolo come horror nel senso più puro del termine e irrimediabilmente “relegandolo” tra i canoni del thriller.

Non siamo di fronte ad una pellicola spettacolare, né tanto meno memorabile, ma certamente godibile, adatta a serate senza grandi aspettative ma sicuramente piacevoli.