Conan il barbaro: La Maledizione della Strega Cremisi – Recensione

Francesco Benati Di Francesco Benati 6 Min di lettura

A Cartoomics 2019, l’annuale fiera legata all’intrattenimento che da anni si tiene a Milano, la Panini Comics ha presentato la nuova iniziativa targata Marvel: la nuova serie del tutto inedita di Conan il barbaro, il celeberrimo personaggio creato da Robert E. Howard nel lontanissimo 1932.

Conan il barbaro torna in edicola grazie a Panini Comics

Al timone di questa serie troviamo il navigatissimo sceneggiatore Jason Aaron, sicuramente uno degli autori di punta della Marvel contemporanea, e l’altrettanto esperto Mahmud Asrar, anche lui uno con un pedigree di tutto rispetto. La bellissima copertina è firmata da un altro nome importante del fumetto Marvel: Esad Ribic.

Il titolo del numero uno è tutto un programma: La maledizione della strega cremisi. Un titolo roboante, appunto, come da tradizione cimmera, che promette quintali di heroic fantasy con contorno di morti ammazzati. A corollario di questa nuova serie c’è addirittura una novella inedita, pubblicata a puntate e in appendice all’albo intitolata La stella nera di John C. Hocking.

La vicenda fumettistica di Conan il barbaro è sempre stata piuttosto complicata. Il periodo migliore legato al personaggio di Howard si concentra soprattutto nella seconda metà degli anni ’70 quando erano Roy Thomas e John Buscema (e Neal Adams) a realizzare le storie principali del cimmero. Il periodo subito precedente, anch’esso di grande successo, era caratterizzato dai disegni di Barry Windsor-Smith, il cui Conan, però, era piuttosto lontano dallo stereotipo che avrebbe raggiunto successivamente.

Gli anni seguenti sono stati caratterizzati da vicende alterne, da un proliferare di serie di varia fortuna, le quali coinvolsero pure autori italiani, e infine dal passaggio delle pubblicazioni alla Dark Horse.

Tutto fino ad ora, quando la Marvel si riappropria dei diritti del personaggio e lo rilancia con due nuove serie, che poi tanto nuove non sono: Conan il barbaro e La spada selvaggia di Conan, la quale esordirà ad aprile.

Faccio una breve premessa: io sono un conaniano d’acciaio. Ho letto tutto l’omnibus a opera di Mondadori, ho visto tutti i film (compresi gli ultimi due, purtroppo) e ho letto parecchie storie a fumetti del periodo classico di John Buscema.

Premessa numero due: io non leggo fumetti Marvel da anni, più o meno dal periodo delle ultime Secret Wars, quindi non so una cippa di quello che hanno combinato alla Casa delle Idee nei tempi recenti.

Ero anche indeciso se iniziare questa nuova serie di Conan, più che altro per il timore di aggiungere un’ulteriore lettura alle tante già in corso d’opera e alle tantissime che ancora aspettano sugli scaffali. Poi ho deciso di prenderla, sia per via del mio amore per il personaggio, sia perché, in fondo, un numero uno non si rifiuta mai.

E ne sono stato ben soddisfatto.

La narrazione creata da Jason Aaron si inserisce bene nello stile classico della serie, uno stile fatto di didascalie, scontri all’ultimo sangue, uomini virili e pettuti, streghe dai poteri malefici e via discorrendo.

L’albo si apre con un prologo maestoso in cui Conan è già adulto e re, riprendendo quindi la continuity interrotta dei fumetti, per poi lasciarsi andare in un flashback in cui l’eroe di Howard ricorda il suo vecchio incontro con la strega cremisi del titolo, la quale ha cercato di sacrificarlo al dio Razazel. Si ritorna poi nel presente, quanto la vecchia strega cremisi torna a fargli visita per saldare il vecchio conto.

Bene il lavoro di Aaron, il quale sembra non risentire affatto il doversi uniformare agli stilemi della serie, dimostrando, anzi, di possederli già tutti senza problemi, come aveva dimostrato già con Goddamned.

Discorso analogo per Mahmud Asrar. Il suo Conan si inserisce nel solco tracciato da John Buscema e Neal Adams, mentre quello quasi raffinato di Windsor-Smith è definitivamente archiviato, nonostante il bellissimo omaggio nella celebrativa splash page iniziale.

Moderno e nervoso, Asrar riesce a ricreare abilmente le atmosfere dell’età hyboriana e a fornirci un’immagine di Conan e dei suoi avversari modernissima e nel totale rispetto della tradizione.

Si può criticare il fatto che 48 pagine ogni due mesi siano un po’ poche per poter godere appieno della narrazione, che si prospetta di ampio respiro, ma nulla vieta di rileggersi tutto quanto una volta raggiunti due o tre volumetti. Anche perché, lo ricordo, ad aprile debutta la seconda serie di Conan.

Sul racconto in appendice ho poco da dire, se non che è un semplice antefatto. Lo stile di Howard è un po’ lasciato andare a ramengo (ma ci sta, essendo degli anni ’30), ma quello di Hocking nel complesso è più che godibile.

Per ora, pollice alzato su tutto e attendiamo il prossimo numero.

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