Triple Frontier: Affleck riparte da Netflix – Recensione

Manuel Enrico Di Manuel Enrico 8 Min di lettura

Triple frontier era nel mio radar per un solo motivo: Ben Affleck. Siamo onesti, non sono stati proprio anni facili per Affleck. Diventato protagonista di un impietoso meme (ricordate Sad Affleck?), additato da tutti come una star in declino a cui è stata persino negato di indossare nuovamente la tuta di Batman (e ci abbiamo rimesso, tutti, che si sappia!), Affleck aveva necessità di una prova attoriale convincete per mettere a tacere i suoi detrattori.

Netflix pronta a diventare un nuovo punto di partenza per Ben Affleck, protagonista della produzione originale Triple Frontier

Lo ammetto, facevo il tifo per lui, e vedevo Triple Frontier come la sua occasione di rinascere. E la è stata, anche se solo a metà, ma non per colpa sua, bensì perché in questo film hanno arruolato come co-protagonista un Oscar Isaacs che giganteggia. Dopo esser stato Dameron Poe in Star Wars ed un ridicolo Apocalisse negli in Age of Apocalypse, Isaacs è stato investito di un ruolo adulto, profondo ed inserito in un film corale in cui non puoi sbagliare una battuta, in cui ogni espressione deve esser perfetta o rischi di far crollare la tensione di una storia tesa e drammatica. E lui immancabilmente in ogni scena offre il meglio, non perde smalto e anzi spinge il suo personaggio oltre ogni limite interpretativo. Bravo Ben, sei stato grande, ma a questo giro la star è Oscar, non c’è niente da fare!

Ma andiamo con ordine. Triple Frontier è il nuovo film originale di Netflix, firmato da J.C Chandor.

Al centro della vicenda, una squadra di ex-militari americani, intenzionati inizialmente a mettere fuori gioco un pericoloso signore della droga, cogliendo l’occasione di diventare incredibilmente ricchi impossessandosi dell’incredibile tesoro del narcotrafficante. Il team di soldati viene messo insieme da Isaacs, che agisce come agente di supporto alle forze dell’ordine locali, impegnato in una lotta al narcotraffico che sembra non finire mai.

Nelle prime scene del film vediamo proprio Isaacs impegnato in un’azione di polizia, all’interno di una fatiscente favelas. Se è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera, Triple Frontier parte con il botto. Chandor costruisce una sequenza d’azione intensa, in cui la violenza dello scontro si spande sullo schermo in tutta la sua intensità. Le inquadrature buttano lo spettatore in mezzo a esplosioni e sparatorie, complice un buon comparto audio, in cui lo spagnolo locale diventa l’unica lingua parlata, dando maggior concretezza all’ambientazione.

Ma è soprattutto Isaacs ad esser il miglior biglietto da visita di Triple Frontier. Il suo personaggio è appassionante, si muove nello scontro a fuoco con padronanza della scena e dando un senso di completo controllo, almeno nella fase più violenta. Dove però giganteggia è nei postumi dello scontro, dove la violenza inutile di una polizia necessariamente brutale sembra urtare l’americano.

Da questi primi minuti, ho capito come Triple Frontier potesse esser quel film che ti trascina in una storia cinica, violenta e irresistibile. Sarebbe stato sufficiente ricordare che alla sceneggiatura ha lavorato Mark Boal, giornalista che aveva firmato la sceneggiatura anche di The Hurt Locker.

La costruzione della storia, i suoi ritmi e le dinamiche narrative sono, pur con qualche passaggio non perfetto, incalzanti e appassionanti. La formazione della squadra è l’occasione ideale per inserire una serie di spunti narrativi che spingono lo spettatore ad affrontare temi come la vita oltre il servizio militare o il tornare nel mondo civile senza sentirsi esclusi. Ci sono state sicuramente pellicole che hanno fatto di questi scottanti temi il loro fulcro, ma Triple Frontier raccoglie queste cicatrici della società americana e le utilizza per dare sostanza ai propri protagonisti.

Dall’ex soldato che fa da motivatore per veterani, cercando di trovare un senso di nobiltà alla propria divisa (Charlie Hunnam, perfetto nel monologo sull’importanza di divisa e bandiera), sino al reduce spento e avvilito dall’impietoso ritorno alla vita da civile, ruolo affidato saggiamente ad Affleck.

E lì mi sono fermato a chiedermi se il trasporto con cui l’ex Batman ha dato vita al suo personaggio sia in parte dovuto al suo attuale stato d’animo, che lo ha reso vitale e credibile. Il crescendo emotivo di Affleck è innegabile, si vede mutare il suo soldato ad ogni scena, da persona sconfitta a disperato e avido uomo in cerca di una rivalsa che dia finalmente un senso alla sua vita. Cinico, ingordo fino all’eccesso e palpitante, una figura che in questo film diventa il perno su cui ruotano i destini dell’intera squadra.

Chandor sa come dare visione a questa possanza interpretativa, dando ad un team di attori imponente (Affleck, Hunnam, Isaacs, Pascal e Hedlund), giostrando le inquadrature, specialmente durante le scene action, in modo da esser sempre al centro emotivo della situazione. Gli scenari in cui si muovono i personaggi sono realizzati con cura, dalla favelas iniziale alla selvaggia natura che sembra accanirsi con i protagonisti, tutto valorizzato al meglio.

Avevo speranze su Triple Frontier, miste alla solita paura che Netflix avesse nuovamente voluto spingersi su territori non suoi, e la visione di questo film mi ha infine dato quello che desideravo: una storia di uomini, per quanto romanzata, in cui l’elemento emotivo fosse il punto focale di tutta la trama. A ben pensarci, c’è un tono acido in alcuni punti, quei momenti in cui i soldati sembrano accusare l’assenza di quell’attaccamento alla bandiera che aveva guidato per così tanto la loro esistenza. Il tradimento del loro ideale è palpabile, ha il retrogusto acre di un’assenza di prospettive che guida i protagonisti in questa missione estrema, sperando di ottenere il riconoscimento di una vita di sacrifici dimenticati. E i sacrifici non mancano!

Netflix con Triple Frontier è riuscita a riprendere un minimo di credibilità sul comparto delle produzioni originali, da sempre uno dei punti deboli del colosso dell’intrattenimento streaming. Sono stati giorni decisamente positivi per Big N, che dopo averci estasiati con la fantascienza di Love Death and Robots ci ha riportati su una più contemporanea storia di amarezza e voglia di riscatto.

Quel riscatto che ora mi auguro spetti anche a Ben Affleck, che potrebbe avere trovato in questa tipologia di produzioni (oltre alla regia in cui ha già mostrato grandi capacità) una potenziale rinascita per la sua carriera.

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