Wonder Woman: la storia dell’eroina simbolo di casa DC

Alessio Sgarlato Di Alessio Sgarlato 14 Min di lettura

Prima supereroina dell’universo DC, Wonder Woman, che sia disegnata da George Perez o da Jim Lee, che sia in carne e ossa con le sembianze di Lynda Carter o quelle di Gal Gadot, è senza dubbio il personaggio femminile dell’immaginario a fumetti più amato, e più facilmente riconoscibile dell’editoria americana.

Il corsetto con i colori della bandiera a stelle e strisce e il fregio dell’aquila stilizzata che ricorda anche due W, la tiara con la stella, i braccialetti che intercettano le pallottole, il Lazo della Verità e l’aereo invisibile formano insieme un quadro memorabile e perfettamente chiaro anche a chi non legge i fumetti.

Un affascinante viaggio alla scoperta di una delle icone dei comics: Wonder Woman

Tuttavia Diana Prince è molto di più di questo e adesso ci avventureremo con lei in una storia che parla di amazzoni, dèi dell’Olimpo, ambasciate, omicidi, invasioni aliene, e un po’ di bondage, che non fa mai male – a patto di essere tutti d’accordo sulla parola di sicurezza. La mia è “ananas”.

Questa storia comincia a gennaio 1942, con la pubblicazione di All Star Comics n° 8: “In un mondo lacerato dall’odio e dalle guerre degli uomini, appare una donna per la quale i problemi e le ambizioni degli uomini sono solo giochi da bambini”. Con queste parole l’autore che si firma Charles Marston introduce la sua creazione ai lettori: una donna forte, decisa, e superiore alle questioni mondane che possa salvare vite con il buon esempio e soprattutto con l’amore, ma che non disdegni qualche scazzottata ogni tanto, con quelli che proprio non vogliono darle retta, cioè, soprattutto, i nazisti, vista l’epoca. Ai disegni C’è H.G. Peter, un acceso sostenitore dei diritti delle donne come lo era Marston.

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Diana, principessa delle amazzoni creata dalla regina Ippolita infondendo la vita in una statua d’argilla per intercessione di Zeus, lascia l’Isola Paradiso – talvolta anche detta Themyscira – dove vivono segregate dal mondo le amazzoni, per riportare al fronte Steve Trevor, pilota Alleato precipitato, e per dare il suo messaggio di pace al Mondo degli Uomini.

Professor Marston and the Wonder Women

Gli elementi che Marston aveva delineato per il suo personaggio sono già tutti in questa premessa: Wonder Woman è forte quanto gli uomini, ed è questa forza a consentirle di decidere di essere docile, affettuosa e sottomessa, tutte le qualità di una brava moglie. Siamo pur sempre negli anni ’40, e William Moulton Marston è un innovatore e un personaggio trasgressivo, ma non intende certo essere un rivoluzionario: vuole dare un messaggio sottile su come la società potrebbe diventare più egualitaria, ma vuole anche qualcuna in cucina a preparargli un sandwitch. Come psicologo, il professor Marston è noto per aver posto le basi per uno dei primo modelli di autovalutazione della personalità e delle relazioni, il DISC, che classifica il comportamento degli individui in base alla loro capacità di dominare gli altri e le situazioni, o di risultare passivi o sottomessi (…”Ananas!” “Ananas!” Scusate, sto cercando di difendermi da una folla di psicologi inferociti per quanto sto banalizzando la loro disciplina). Soprattutto però ha il merito di aver capito le possibilità del fumetto come mezzo per trasmettere valori positivi ai più giovani.

Come inventore, si deve a lui il poligrafo, cioè la macchina in grado di capire dalla misurazione del polso e della respirazione se una persona stia dicendo la verità o no. Come uomo e marito, Marston rigetta certe convenzioni sociali e vive in una relazione poliamorosa con due donne, è convinto che le dinamiche interpersonali per funzionare abbiano bisogno di un individuo dominante e di uno sottomesso, e ritiene che questo si esprima alla perfezione nella pratica sana e divertente del bondage, che insegna a maschi e femmine, grandi e piccini il piacere della sottomissione come antidoto all’ego distruttivo. In pratica, gli piacciono le persone legate e smascherare chi dice le bugie: ecco perché la sua supereroina è equipaggiata con un Lazo della Verità.

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Dicevamo: Marston ha idee molto chiare sul ruolo e sui diritti della donna nella società, crede che i fumetti diano il buon esempio, e i suoi articoli sul tema vengono notati da Max Charles Gaines, pioniere della stampa a quattro colori ed editore di All American Comics, che gli propone di scrivere un fumetto. il professore è un vulcano di fantasia ma non ha mai scritto niente del genere in vita sua, e quindi al momento di firmare la sua opera si cambia il nome in Charles, per aggiungere al suo lavoro un indizio di come l’editore lo avesse aiutato. Probabilmente, anche le sue due compagne di vita Elizabeth Holloway e Olive Byrnes, che lo sostengono in tutto, hanno avuto qualche ruolo in questa immacolata concezione.

In particolare, si dice si debba alla Holloway l’idea di una superdonna, quando il primo soggetto a cui aveva pensato Marston era un superuomo pacifista, mentre è meno chiaro se una certa ispirazione nell’aspetto del personaggio sia stata presa o meno dalla Byrnes, un’idea elaborata soprattutto dal recente film sulle loro poco convenzionali vite. (…”Ananas!” “Ananas!” Scusate, sto cercando di difendermi dal fantasma di William Moulton Marston adirato per come ho banalizzato la sua biografia).

Uomini, Dèi ed Eroi

Le avventure di Wonder Woman, nel corso della sua lunga vita editoriale, hanno sempre viaggiato lungo tre corsie: quella mitologica, che mette Diana a confronto con Divinità e mostri leggendari, quella umana, in cui assume il ruolo di ambasciatrice in un mondo che non conosce e che non condivide i suoi valori, e quella più propriamente supereroistico, in cui combatte, da sola o in squadra con gli altri personaggi più famosi della DC, supercriminali, invasori alieni e scienziati pazzi.

Durante la Silver Age del fumetto americano, le storie di Robert Kanigher si concentrarono sul filone delle leggende, mentre sotto la gestione di Mike Sekowsky, fu resa più umana: Diana rinunciò ai suoi poteri per poter vivere tra i mortali, e divenne una specie di agente segreta che però non disdegnava combattere maghi e mostri. Nel 1985, dopo la Crisi sulle Terre Infinite, George Pérez, Len Wein, e Greg Potter riportarono la serie sui suoi più tipici binari, ricominciando le sue avventure dal giorno in cui arrivò tra gli uomini a portare il suo messaggio di pace. Negli anni a seguire non sono mancati sbandamenti, come quella volta che è andata a lavorare per un fast food di Tacos per capire meglio la gente comune, o quando rigettò il bianco-rosso-e-blu per adottare un look a metà strada fra una biker e la groupie di una band glam metal.

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Il momento più tragico della sua carriera avviene però quando, nel 2005 – gestione del personaggio di Greg Rucka, con vari disegnatori fra cui Tom Derenick, Georges Jeanty, e Rags MoralesMaxwell Lord, uomo d’affari trasformato in telepate durante un’invasione aliena, mette in atto un piano per eliminare i supereroi e plagia la mente di Superman. Wonder Woman è la prima a contenere la furia distruttrice del più grande eroe di tutti i tempi, e una volta scoperto il piano del nemico si trova costretta a spezzare il collo di Lord, per liberare l’Azzurrone dal controllo mentale, infrangendo tutti i propri principi di rispetto della vita. Anche quando le amazzoni hanno dichiarato guerra agli Stati Uniti (autori Will Pfeifer e Pete Woods, 2007) Diana se l’è vista brutta, ma ne è uscita a testa alta anche con un po’ di aiuto da parte di Batman.

Ogni volta che Diana ha affrontato crisi così grandi da vacillare nel proprio ruolo e nelle proprie convinzioni, un’altra donna ha assunto temporaneamente il suo manto; a volte è stata la regina Hippolyta, rivisitata in tempi recenti come la Wonder Woman degli anni ’40, a volte è stata Donna Troy, la prima ragazza ad assumere il titolo di Wonder Girl, fondatrice dei Giovani Titani, alla quale è poi subentrata Cassie Sandsmark, la figlia di Zeus e di una donna mortale. I suoi nemici più ricorrenti sono invece il dio della guerra Ares, la strega Circe, e Cheetah, alias l’archeologa inglese Barbara Ann Minerva, trasformata in una donna-ghepardo dall’amuleto di un dio africano, avversaria designata per il prossimo film dal vivo. (…”Ananas!” “Ananas!” Scusate, ci ho preso gusto e volevo gridarlo ancora una volta).

Wonder Woman nei media

Nel 1972 l’aspirante attrice e musicista Lynda Carter rappresenta gli USA a Miss Mondo, arrivando in semifinale. Nel 1975 viene scritturata per il ruolo di Wonder Woman in un serial televisivo di 60 puntate, con una prima stagione ambientata nella Seconda Guerra Mondiale e le più fortunate successive due negli anni ’70, per abbattere i costi di produzione. E’ fuori di dubbio che questa serie abbia avuto un ruolo determinante nel far conoscere e amare il personaggio al pubblico, forse ancora più dei fumetti.

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In questa versione, Diana Prince per indossare il costume gira su sé stessa e scatena un’esplosione (un trucco abbastanza grezzo per dissimulare un taglio di montaggio), e questo elemento della storia rimasto nella memoria di tutti basta a far notare le cadute verso uno stile campy che questa serie doveva sopportare nonostante una discreta fedeltà al fumetto, cadute che comprendono una Wonder Woman motociclista e capace di comunicare telepaticamente con gli animali, ma solo in alcuni episodi. Dopotutto, la serie era un po’ figlia della popolarità del telefilm di Batman degli anni ’60, e infatti nel ruolo di Steve Trevor recitava Lyle Waggoner, l’attore che era stato in lizza per il ruolo del Crociato Incappucciato ma aveva perso il confronto con Adam West.

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Soltanto nel 2010 la televisione ha avuto il coraggio di ritentare con Wonder Woman e subire il confronto con questa serie storica, e non è andata bene: l’episodio pilota girato con l’attrice Adrianne Palicki nel ruolo non ha convinto la Warner Bros. Più fortunata è la storia a cartoni animati del personaggio, iniziata con i Superamici e continuata con diverse apparizioni da comprimaria in serie corali, fino alla recentissima DC Super Hero Girls collegata a una serie di bambole. Anche nel filone dei cartoni dedicati alle bambine c’è però un precedente tentativo abortito: nel 1993 era entrata in produzione Wonder Woman and the Star Riders, una serie concepita con Mattel per il lancio di una linea di giocattoli in cui l’amazzone avrebbe dovuto guidare una supersquadra tutta al femminile e cavalcare un unicorno alato.

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La consacrazione mediatica di Wonder Woman nel presente è avvenuta con il film del 2017 diretto da Patty Jenkins e interpretato da Gal Gadot, una pellicola che, aldilà dei suoi meriti di forma e contenuto, è diventata ancora più importante per aver dato uno slancio di fiducia ai film diretti e interpretati da donne all’interno dell’establishment severo e maschilista di Hollywood, un risultato di cui Diana Prince e il suo creatore William Moulton Marston andrebbero fieri.

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