Bleach: la recensione del live action di Netflix!

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Inutile sperare che Netflix impari dai suoi errori. Dopo aver deluso con il live action americano di Death Note ed un trasposizione in film di Full Metal Alchemist che è meglio non commentare, il colosso dello streaming tenta di riabilitare il suo filone di live action ispirati ai manga nipponici sfruttando un nome di sicuro impatto: Bleach.

Netflix riprova a stupire gli appassionati di live action con la trasposizione di Bleach

Per chi non conosce l’opera in questione, si tratta di uno shōnen  creato da Tite Kubo, divenuto un vero e proprio cult. Divenuto uno dei maga di maggior successo nella storia della rivista Weekly Shonen Jump, Bleach ha ricevuto anche l’ambito premio Shogakukan nel 2055, entrando nell’olimpo dei manga.

Questo successo è il frutto di un ottimo equilibrio tra storia e talento realizzativo di Kubo. Spinta dalla solita fame di contenuti, Netflix non poteva resistere alla tentazione di dar vita ad un nuovo live action, cercando di finalmente di imbroccare la giusta strada. Peccato che anche in questo caso le intenzioni di Netflix, per quanto lodevoli, si scontrino con una triste realtà: ancora una volta manca un ‘qualcosa’ che renda questi cinecomic (perché tali sono) all’altezza delle aspettative.

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La speranza del canale di streaming è da sempre quella che una regia affidata ad un cineasta nipponico possa cogliere al meglio lo spirito dell’opera originale. La scelta di Shinisuke Sato dietro la macchina da presa avrebbe dovuto raggiungere questo scopo, ed in parte ci riesce, ma viene schiacciata da un difetto che nemmeno le migliori scene di lotta possono nascondere: la sceneggiatura.

Ichigo Kurosaki è un liceale, dotato di una straordinaria forza spirituale, grazie alla quale può vedere gli spiriti. A sconvolgere la sua vita è il ritrovarsi vittima della caccia di un Hollow, entità maligna che ai nutre di esseri umani dotati di forza spirituale particolarmente potente. Ichigo viene salvato da Rukia Kuchiki, una shinigami, che nella lotta viene ferita al punto da esser costretta a cedere parte dei suoi poteri a Ichigo, costretto a diventare uno shinigami e combattere per la propria vita.

Questa parziale cessione di potere cambia radicalmente la vita del ragazzo, che si trova coinvolto in un gioco di potere all’interno degli shinigami. La sua volontà e ferite mai guarite del suo passato sono parti essenziali di questa sua nuova condizione, che lo portano ad affrontare il più temuto Hollow: il Big fisher.

Attingendo ad un materiale particolarmente ricco e ben scandito come quello di Bleach, la sfida era quella di riuscire a trasporre in film questo spessore narrativo.

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A rendere appassionante la lettura del manga era il modo unico, a tratti surreale e volutamente eccessivo, con cui Kubo è riuscito a prendere elementi classici degli shōnen  (come il contesto adolescenziale) e dell’archetipo della nascita travagliata di un eroe rendendoli appassionante e nuovi. Tutto questo non arriva minimamente nella produzione di Netflix, che sembra invece condannata a mostrare sin dai primi istanti una certa prevedibilità, anche per coloro che ignorano il manga.

Nonostante lo sforzo di recuperare lo spirito di personaggi e ambientazioni dall’originale cartaceo, il Bleach di Netflix perde molto delle caratteristiche tipiche dell’anime. A causare questa crepa tra le due opere è una sceneggiatura che ha la colpa di svilire e banalizzare una delle più iconiche ambientazioni manga, privandolo del carattere per cui milioni di lettori si sono innamorati di questa storia.

Il difetto maggiore è la sensazione costante che gli eventi sullo schermo si susseguano più per necessità che non per una propria organicità, come se fossero stati uniti a forza, privando passaggi chiave del manga della loro importanza. La sensazione, per i lettori, è quella di aver di fronte una trasposizione abbastanza piatta e frettolosa, conseguenza di avere condensato una visione così dettagliata e particolare come quella di Kubo in un film di circa due ore. Sembra ironico, pensando che, dopo aver negato di voler trasporre il suo manga in film una decina d’anni fa, lo stesso Kubo ha preso parte alla stesura della sceneggiatura per conservare il più possibile un’affinità tra le due versione di Bleach.

Bleach non riesce a portare lo spirito originario del manga su schermo, mostrando nuovamente i limiti dei live action made in Netflix

Manca il mordente, il tessuto narrativo in crescendo che trasmetta la voglia allo spettatore di proseguire la visione con curiosità. Bleach si trascina abbastanza stancamente, prevedibile e scontato, non aiutato dal cast che pare abbastanza caricaturale, nello sforzo di identificarsi il più possibile con gli originali cartacei.

Bleach è un prodotto che vorrebbe rilanciare il genere dei live action, cogliendo alcuni buoni spunti nel dare una certo eco del manga, ma si perde su troppi aspetti per poter esser considerato un’operazione riuscita. La colonna sonora è piuttosto monotona e troppo stereotipata su sonorità da rock band adolescenziale, che deve spingere l’emotività degli spettatori nel tentativo di nascondere un montaggio a volte frammentario e che presenta scene spesso disordinate e poco appaganti.

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Da salvare, la voglia di dare almeno il sentore di quel tono surreale tipico dell’opera di Kubo e la coreografia dei combattimenti, specialmente quello finale, in cui i protagonisti, salvo qualche piccola imprecisione della CGI, risultano credibili e magnetici. Ma può basare questo a salvare Bleach?

Dipende. I lettori del manga hanno la possibilità di colmare alcune lacune tramite la conoscenza maturata dalla lettura, ma chi si avvicina per la prima volta al mondo di Ichigo si ritrova tra le mani un film che si trascina stancamente, tentando di ribaltare l’opinione sfavorevole con un combattimento finale anche appagante, se vogliamo. Peccato che la lunghezza del film, il suo scarso appeal per il resto del tempo e una realizzazione poco incisiva siano troppo evidenti per venire coperti da qualche sprazzo positivo.

Dopo la crisi dei cinecomic, parzialmente risolta da qualche colpo azzeccato come Infinity War e Black Panther, sembra che i cugini nipponici continuino a soffrire, mancando di portare su schermo gli elementi essenziali che hanno reso i manga di ispirazione dei veri cult.