#iostoconloro: una lezione di vita contro il bullismo e non solo

#iostoconloro

Negli ultimi tempi il tema del bullismo sembra aver nuovamente invaso i banchi di scuola, ma ha anche spopolato sui media e, in particolare, in televisione.

Complice sicuramente la serie Netflix Tredici (con la seconda stagione uscita circa un mese fa e una terza già annunciata) e la risonanza che questo pericoloso fenomeno riesce ad avere grazie ai social network, l’argomento si è fatto strada cavalcando l’onda del momento.

La narrativa italiana non si è lasciata sfuggire l’opportunità di analizzare e sviscerare il bullismo, regalandoci un romanzo potente e disarmante.

Sto parlando di #iostoconloro, romanzo scritto a quattro mani da Loredana Frescura e Marco Tomatis.

#iostoconloro, edito da Fanucci Editore, racconta uno scorcio di vita quotidiana che sembra tanto reale da far quasi male.

E di reale, in questo romanzo, potrebbe esserci tutto come niente, perché il lettore non può fare a meno di riconoscere le scene descritte come qualcosa di spaventosamente famigliare.

Non c’è dato sapere in quale città sia stato ambientato il libro, ma per la maggior parte del tempo ci l’azione si svolge all’interno dell’Istituto Comprensivo Ippolito Nievo. Di più non ci serve conoscere, perché potrebbe essere lontanissimo da noi oppure sotto casa, tanto la sostanza non cambierebbe minimamente.

I nostri sei protagonisti hanno dei nomi normalissimi, ma il lettore li ricorda principalmente per i loro soprannomi, perché è proprio da quelle orribili etichette che nasce questa storia.

Ebbene, vi presento i nostri eroi: Checco Finocchio, Enrico Cervello Bruciato, Carla Puttana, Graziano Scarpe Strette, Teresa Gambe a Fiori e Piero Avanzo di Galera.

Per capire l’origine di questi nomignoli bisogna leggere buona parte del libro, ma non ci vuole particolare perspicacia per comprendere che siamo di fronte a una vicenda che di straordinario e insolito purtroppo non ha nulla.

I narratori sono due: Carla (detta Puttana) e Donato, il preside dell’istituto. Grazie a loro ripercorriamo la vicenda di tredici anni prima, quando i “fantastici sei” erano solo dei ragazzini obbligati a sopportare una vita troppo pesante per le loro giovani spalle.

Com’è facile immaginare, i loro antagonisti sono dei ragazzi delle superiori, contro i quali si battono quasi quotidianamente nel tentativo di non affondare in mezzo a tutta la cattiveria gratuita dei bulli.

Ma il loro più grande nemico ha un altro nome: si chiama Tutto Quello.

Tutto Quello non è altro che l’esistenza in generale, la vita come la conoscono loro, piena di soprusi, sopraffazioni e violenza. Infatti, ognuno dei sei ragazzi combatte una battaglia personale contro il mondo intero; c’è chi ha la madre depressa, chi il padre violento, chi una malattia genetica e chi ha problemi con la droga.

La scelta non è casuale: non sono semplici studenti mingherlini e timidi, ma ragazzi provenienti da situazioni più che complicate.

Il punto fondamentale è che sono uniti da un’amicizia indelebile e, invece di sopportare la violenza in silenzio e di nascondersi, sono pronti a difendersi a vicenda fino a far scoppiare una vera e propria faida continua.

Una storia scritta a quattro mani

Come ho accennato prima, gli autori del libro sono due, ma sono due anche i narratori, che hanno ruoli ed età completamente diversi e vedono il mondo in due modi così differenti che non possono essere nemmeno paragonati.

Sono due voci che si intrecciano abilmente, creando un’equilibrata alternanza tra la furia adolescenziale e la calma ponderata della maturità.

Questo stratagemma, invece di infastidire il lettore, rende la lettura molto più emozionante e, soprattutto, rende la storia verosimile perché filtrata da due menti opposte ma complementari.

Inoltre, la schiettezza con cui vengono presentati gli avvenimenti e il linguaggio franco e genuino di Carla rendono il tutto ancor più coinvolgente.

#iostoconloro nasconde, tra le pagine, un’importantissima lezione di vita

Si tratta, insomma, di una storia che tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta nella vita.

Magari starete pensando: “Beh, Tredici ha spianato la strada e ora tutti prendono spunto da lì!”. Mi spiace deludervi, ma non è così perché #iostoconloro è nettamente diverso da Tredici sotto qualsiasi punto di vista.

Un esempio? Non è destinato all’industria cinematografica, il cui scopo è creare dei materiali scioccanti che attirino visualizzazioni.

Al contrario, #iostoconloro è destinato a un pubblico più ristretto e il suo scopo è, innanzitutto, quello di educare.

Il romanzo, infatti, ha una morale ben precisa, il suo insegnamento più grande viene riposto nella fiducia verso il prossimo (quello che non è stro*zo però).

#iostoconloro invita i ragazzi vittime di bullismo a fidarsi degli adulti, perfino (anzi, soprattutto) del preside e degli insegnanti della scuola.

Ricorda ai lettori che sì, ci sono molti adulti che non capiscono, che se ne fregano dei ragazzi e che spesso sono la causa principale dei loro problemi, ma ce ne sono anche molti altri che sono disposti a tutto pur di proteggerli.

A questo proposito, c’è un brevissimo passo del libro che vorrei condividere con voi. È tratto dai pensieri del preside, quando finalmente capisce le reali dimensioni di quello che sta succedendo e decide di metterci la faccia.

Non si possono salvare tutti.

Vero.

Soprattutto se non hanno l’intenzione di essere salvati.

Falso.

La frase esatta era un’altra.

Soprattutto se non sanno che possono essere salvati.

Non lo sanno perché nessuno gliel’ha mai detto, nessuno gliel’ha mai spiegato, nessuno ha nemmeno mai tentato di farlo.

Spesso il bullismo è un mostro troppo grande da combattere, soprattutto se unito a Tutto Quello, vale a dire a genitori violenti, ingiustizie sociali e malattie crudeli. Per farla breve, la vita non è mai facile da sopportare, soprattutto per i giovani adolescenti di oggi.

Ma la risposta non è nel suicidio o nella vendetta confezionata in tredici cassette (ogni riferimento a serie tv è puramente casuale!).

La risposta sta nella fiducia.

Gli adulti devono prestare più attenzione a ciò che accade e aprire gli occhi, mentre i ragazzi devono imparare a fidarsi e convincersi che non sono da soli.

Vi invito a riflettere sul titolo, che più studiato di così non potrebbe essere.

Si tratta di un hashtag, come quelli che tanto vanno di moda adesso ai tempi dei social network, proprio quei social in cui chiunque può diventare capro espiatorio di tutti i mali nel giro di qualche secondo, dove tutti siamo dei voyeur pronti a puntare il dito contro chi ci fa più comodo.

Per quanto riguarda la frase, l’interpretazione non è difficile: io sto con loro, non li lascio da soli, perché credo che nulla è perduto finché si è in vita, soprattutto quando si è “solo” dei ragazzini.