Oblivion Song, la catarsi secondo Kirkman – Recensione

Di Imma Marzovilli 11 Min di lettura

Oblivion Song è l’ultima fatica di Robert Kirkman, un fumetto co-creato e disegnato da Lorenzo De Felici mentre, ai colori, troviamo Annalisa Leoni.

Edito da Skybound, in Italia da saldaPress, l’opera uscirà in contemporanea con gli USA il 9 Marzo 2018.

Abbiamo avuto il piacere di leggerlo in anteprima e di elaborare alcune riflessioni a riguardo.

Aprendo il volume ci si ritrova catapultati al centro dell’azione, in uno scenario che non riusciamo a identificare come qualcosa a noi conosciuto. Un universo nuovo e da scoprire, un mondo trasmutato

Avete presente la teoria degli universi paralleli, che in molti film e serie tv spiegano con la giustapposizione di un unico foglio di carta?

Ecco, da questa sovrapposizione si genera una porta temporanea tra due realtà differenti e univoche che unendosi formano il caos totale. Un caos che in Oblivion Song ha il suono e l’aspetto di disumane urla e colorati mostri. Un mondo inconoscibile se non per pregressa letteratura.

Abbiamo letto in anteprima Oblivion Song, il nuovo fumetto di Skybound partorito dalla mente geniale di Robert Kirkman

Il protagonista della storia è Nathan. Non riusciamo ad identificare bene il suo personaggio all’inizio del racconto, proprio perché la storia inizia ad azione già inoltrata.

Capiamo che è sicuramente estraneo a quel mondo brutale, un cuore gentile che agisce per la difesa dell’umana specie così come siamo abituati a conoscerla. Ma cosa è umano e cosa non lo è?

Questa è la domanda che pervade le prime pagine dell’opera. Una sorta di indagine nei misteri della volontà umana.

La virtù umana è indagata in questa opera come qualcosa al di fuori della mera “voglia di fare“. La virtù di annientarsi completamente per il diverso, per il reietto, per coloro che di una determinata società non fanno parte. Un tema di grandissima attualità che viene esplorato da Kirkman in maniera profonda e approfondita.

L’approfondimento e la voglia di riflettere sulla condizione umana, tenendo conto della grande tradizione della letteratura didascalica e di insegnamento, si pongono come un lumen tra tutta la tragedia umana riportata nell’opera. Il dramma della perdita, il lutto della divisione e il non capire in quale realtà sia proiettata l’azione, rendono l’opera diversa da qualunque tipo di prodotto di genere post apocalittico.

Kirkman, come sappiamo, è molto addentrato nel gente post-apocalittico (vedi The Walking Dead). In questa opera egli supera se stesso e la sua poetica per addentrarsi in un luogo sconosciuto, in una antitesi quasi kafkiana del genere: e se noi volessimo vivere in tutto ciò?

Stando a questo, stando alla volontà di Nathan, scienziato che vuole riportare le dimensioni parallele sovrapposte in un equilibrio di cui gli umani non fanno parte, la realtà dovrebbe essere avulsa alla bruttura dell’inaspettato.

Bruttura e non bruttezza. Il termine bruttura rende tutto più avulso alla nostra concezione di essere umano. Qualcuno diceva che dopo eventi catastrofici, olocaustici, sarebbe impossibile far poesia. Il genio di Kirkman sta proprio in questo, prendere la catarsi necessaria alla rinascita e farla diventare motivo di speranza.

Oblivion Song nasconde una profonda riflessione della condizione umana

La speranza in questo fumetto è estranea al classico tema dell’ “Essere l’eroe della situazione“. Nathan non è un eroe è, invece, il carnefice di quella stessa speranza per cui combatte. Un carnefice consapevole, un eroe che della virtù e della catarsi fa la propria ragion d’essere.

Parliamo di catarsi perché  quello che tocchiamo tra le pagine, che interpretiamo e che accettiamo non è altro che qualcosa di precostituito. Una volontà studiata a tavolino di riscattarsi dai mali antecedenti. Noi non lo sappiamo, non conosciamo la verità, eppure ci domandiamo il perché.

Perché Nathan vuole riportare da un universo sovrapposto all’altro la gente i cui nomi sono scritti in calce su un monumento ground zeroniano?

Quello che non ci si aspetta dall’opera è una ricerca approfondita e una caratterizzazione fatta per bene. Non ci si aspetta ciò finché non si arriva al termine della narrazione. Abbiamo parlato di catarsi e c’è un motivo. Nathan è colui che vuol salvare dalla realtà parallela e disumanizzante coloro che sono rimasti in quella dimensione così lontana dall’umanità.

Un mondo fatto di mostri informi e “senza volto”, una realtà che non concede diritto di replica. Ma essa è al contempo una situazione che fornisce speranza, un riscatto da ciò che si è stati in precedenza. Pensate se voi stessi foste proiettati in un mondo a voi poco familiare. I più forti inventerebbero degli espedienti grazie ai quali sopravvivere, i più deboli starebbero alle regole di coloro i quali quell’universo l’hanno reinventato.

Non è un The Walking Dead edulcorato quello di cui vi abbiamo parlato fin ora. È semplicemente un’opera magistrale, matura e uniforme da cui non uscirete senza una riflessione abbastanza pragmatica e programmatica. Un po’ di confusione è necessaria per comprendere fino a quanto la riflessione sulla catarsi e sulla speranza possa generare incomprensioni nella mente umana.

Parliamo di confusione quando è chiaro il mistero che Kirkman vuole svelarci, è quello delle possibilità, di quelle che non si sono mai date. Il grande artista Paul Klee diceva “abito la dimensione dei morti e dei non nati“, forse questo è il discrimine che pervade tutta l’opera. Un non essere morti e un non essere nati in una dimensione sconosciuta, venuta dopo, espletata per la sua bruttezza e per la sua incoerenza ai termini minimi della società per come la conosciamo.

La catarsi necessaria alla storia, la speranza che trasuda da ogni vignetta, da ogni illustrazione, da ogni pigmento di colore, è quella della voglia di riscatto. I personaggi che incontrerete saranno tutti portatori di una nuova speranza. Questo imprescindibilmente da quale realtà sovrapposta faranno parte, ma sarà bellissimo assistere ai loro moti dell’animo, indefiniti e contrastanti.

Catarsi e speranza si intrecciano in una trama emozionante e coinvolgente

L’assoluta certezza di vivere secondo valori dettati da leggi superiori cadranno al cospetto della speranza, della voglia di ricominciare, della volontà di essere ciò che non si è potuti essere in una realtà contingente e materiale. La voglia di sprofondare nel suono dell’oblio da cui ricavare un nuovo modus operandi, una nuova ragione per giustificare la presenza nel mondo.

Una trattazione a parte deve essere fatta per quanto riguarda il lato tecnico. Lorenzo De Felici caratterizza al meglio tutti i personaggi e fornisce all’opera un comparto grafico fuori da comune. La “non presenza” dello sguardo, la labilità dei tratti somatici che confondono e inaspriscono un paesaggio reietto, non riconosciuto, forniscono all’opera un bella ricerca. La ricerca è data dalle caratterizzazioni mostruose e amorfe, dall’uso dei colori pertinente e propedeutico alla narrazione.

Non è banale saper dare a una storia un perfetto assetto stilistico per quanto riguarda la realizzazione illustrativa dell’opera. La volontà di far emergere un carattere in base a un colore, una emozione con un determinato tratto, è tutt’altro che conforme al fumetto per come lo conosciamo.

Lorenzo de Felici e Annalisa Leoni hanno attuato un piano dell’opera conforme a quanto di più tecnico ci possa essere in una narrazione grafica di un’opera quanto mai problematica come Oblivion Song.

Dai disegni e dai colori udiamo e vediamo le conseguenze di questa canzone tremenda che porta all’esacerbazione di un concetto quanto mai conforme al differente, la catarsi.

Non possiamo dirvi altro per non spoilerare trama e concetti che ricercherete coi vostri occhi appena sarà possibile. Ma teniamo a dirvi che quest’opera sarà davvero diversa e stimolante, un post apocalittico che non vi aspettate e di cui sentirete il bisogno.

oblivion song

Oblivion Song è un’opera ambiziosa che però lascia molti punti in sospeso.

Nella narrazione post-apocalittica, che in questi anni siamo stati abituati a conoscere, non vedremo mai una sintassi di questo genere ma, dobbiamo considerarla, ancora come un progetto giovane ed incline a qualche sbavatura.

Molti sono i punti in cui la trama sembra incongruente ma che, siamo sicuri, facciano parte di un divenire che si materializzerà nei prossimi numeri.

Un’opera questa che strizza l’occhio alla tradizione letteraria comune, una narrazione quindi che lascia tanto al gioco interpretativo del lettore ma che (purtroppo) poco ci racconta del passato, degli antecedenti, che ci svela d’un tratto come stanno le cose.

Abbiamo però speranza nell’innovazione e nella realizzazione di un prodotto che vada ad esplorare ciò che è ancora oggi soggetto alla ferma posizione di genere.

Questo primo volume di Oblivion Song ci incuriosisce non poco e ci affeziona alle storie nascoste dei personaggi.

Kirkman rimane sempre una garanzia e, con i successivi volumi, siamo certi l’opera ci conquisterà alla distanza.

Condividi questo articolo