Britannia: l’Impero Romano alla conquista della terra dei Druidi – Recensione

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Mentre i fan di The Game of Thrones si stanno struggendo per la conferma della lunga attesa per l’ultima stagione della serie ispirata ai romanzi di George R.R. Martin, su Sky Atlantic ecco comparire una nuova produzione che mira a supplire questa mancanza: Britannia. Co-produzione tra Sky ed Amazon, che ne segue la distribuzione su suolo americano, la serie si inserisce all’interno di quel filone narrativo in cui storia e magia si intrecciano, ma che, per favore, non chiamiamo fantasy.

Sul canale Atlantic di Sky questa tipologia di serie ha avuto un buon risalto. Oltre all’ormai inaffondabile Game of Thrones, infatti, si è giocata la carta fantasy anche con The Shannara Chronicles. La serie ispirata al ciclo di libri di Terry Brooks ha però incontrato il suo giusto destino, terminando la sua corsa con una seconda stagione che è riuscita ad esser ancora più deludente della precedente. Dati questi due precedenti, come può Britannia inserirsi in questo settore?

Britannia inzia la sua avventura su Sky, portandoci a scoprire il potere dei drudi contrapposto alla forza militare dell’Impero Romano

Cercando di far leva sulla storicità, adattandola ad una narrazione che renda al contempo l’elemento sovrannaturale una chiave di lettura essenziale. L’attuale Inghilterra ha rappresentato una spina nel fianco per i Romani, che ebbero sempre vita dura nel conquistare la terra d’Albione. Britannia si concentra sulla conquista dell’Impero, o meglio del tentativo di conquista, guidato dal generale Aulo Plauzio (David Morrisey), nel 43 dopo Cristo. Considerando che nemmeno Giulio Cesare aveva avuto successo quasi un secolo prima, la spedizione del generale Plauzio sembra scontrarsi contro un nemico piuttosto coriaceo.

La story line dedicata alle truppe romane si incastra all’interno di un contesto narrativo molto più ampio. La società britannica del periodo era ancora fortemente tribale, con dissidi che separavano le diverse corone. All’interno di Britannia sono le popolazione guidate dal re Pellenor dei Cantiaci e dalla regina Antedia dei Regnensi a rivestire questo ruolo di separazione, una guerra che nelle prima due puntate della serie ci viene presentata in modo netto e brutale.

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Non manca quel tocco di sovrannaturale e magico, che viene incarnato da una realtà tipica della cultura celtica del periodo: i druidi. Figure mistiche e tramite con le divinità del pantheon britannico, questi sacerdoti nella serie sono presentati come una delle tre colonne su cui basa la produzione. Se da un lato abbiamo Veran, capo dei druidi, dall’altro abbiamo Divis il Reietto, un druido esiliato perché ritenuto posseduto da un demone. Il loro ruolo in opposizione all’avanzata romana è, apparentemente, quella di una protezione contro una civiltà assimilatrice, che impone la perdita delle libertà in nome di una grande spinta civilizzatrice.

Il tono quasi paternalistico delle parole al miele con cui Aulo Plauzio blandisce la regina Antedia e la risposta orgogliosa e impavida della donna sono la dimostrazione della difesa a cui druidi si sentono chiamati. Questo discorso andrebbe visto come contrapposto all’accusa di Veran mossa al legionarioo Antonio, reo di aver dimenticato il proprio dio per venerare le divinità romane. Eppure, Britannia sembra muoversi verso un gioco di equilibri in cui vecchi dissapori tribali diventano un’arma potente per i romani, da sempre sostenitori del divide et impera. Questi primi due episodi sono la perfetta narrazione di questo principio, utilizzato in modo subdolo da Aulo Plauzio.

Fortunatamente i primi due episodi sono stati presentati insieme al pubblico italiano, visto che costituiscono la base su cui si muoverà questa serie, introducendo i personaggi principali e mostrando quali siano le vere macchinazioni dietro questa guerra. Soprattutto, sono narrati gli antefatti che hanno condotto a questa situazione di separazione fra Cantiaci e Regnensi, quella debolezza in terra britannica che verrà sfrutta dai Romani.

Il tono narrativo sembra seguire quello di Games of Thrones, con repentini cambi di soggetto. Questa impostazione sicuramente è funzionale per poter gestire una gran quantità di personaggi come accade nella serie di HBO, ma data la minor quantità di soggetti importanti presenti ora in Britannia, questa scelta stilistica non è completamente condivisibile. In due episodi si cerca di dare frettolosamente la caratterizzazione dei protagonisti principali, in particolare Aulo Plauzio e Kerra, con una dinamica che sacrifica il tempo dedicato ad altre pedine di questa guerra, come Divis.

La fortuna è che un cast all’altezza riesce comunque ad infondere carisma a Britannia. Aulo Plauzio ha il volto di David Morrisey, che dopo esser stato il Governatore di The walking dead pare esser a suo agio nei panni di comandante tormentato. Plauzio appare come un uomo deciso a sfidare il destino, a vincere miti più grandi di lui, anche a costo di affrontare possibili tradimenti e combattere guerre impossibili. Il suo incedere sul terreno di scontro è regale, emana quella caratura del comando che ci si potrebbe attendere da un generale romano.

Kerra, figlia di Pellenor (interpretato benissimo da Ian McDiarmind, meglio noto come Palpatine di Star Wars) viene interpretata da Kelly Reilly. Bellezza sicuramente in linea con l’ideale britannico, la Reilly ha un’espressività minimal ma particolare, in grado di mostrare con sufficiente enfasi la grinta e determinazione del suo personaggio. Kerra è la figura di Britannia da cui mi aspetto di più, costretta a lottare contro il suo retaggio e a compiere scelte facilmente strumentalizzabili contro di lei, per il bene del suo popolo.

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Nikolaj Lie Kaas è un interessante Divis, il Reietto. Personaggio particolare, apparentemente folle ma al contempo in comunione con i suo dei, Divis è il primo a percepire il pericolo incombente, sentendo il carico di questa responsabilità. Riesce ad esser divertente nel suo rapporto con la piccola orfana Cait.

Bello veder il nostro Fortunato Cerlino, don Pietro Savastano in Gomorra, interpretare il centurione romano Vespasiano, futuro imperatore.

Da un punto di vista puramente estetico, Britannia è suggestivo. Le location sono il punto forte di questa produzione, specialmente quelle a ridosso della costa, in cui il contrasto cromatico riempe lo schermo. La regia di Metin Huseyn valorizza sempre l’ambiente circostante, oltre a creare una forte empatia con lo spettatore, puntando su una costruzione della scena in cui l’azione e i personaggi siano sempre esaltati nella loro emotività. Esempio su tutti, l’attacco romano al solstizio nella cerimonia del passaggio a donne, in cui la celebrazione viene adagiata su giochi di colori che lentamente scivolano verso una maggior densità e risalto al momento dell’attacco. Interessante anche la visione data ai druidi, innaturali e decisamente mistica, accompagnata da una sfocatura dell’inquadratura quando esercitano le loro capacità. Escamotage a volte abusato, ma comunque gradevole.

Guardando queste prime due puntate di Britannia, pur apprezzando la ricostruzione storica, sembra chiara l’intenzione di Jez Butterwotrh, scrittore della serie. La chiave di lettura della serie non è tanto la battaglia, quanto lo scontro di mentalità, che viene giocato su tre livelli: religione (druidi), popolo (Kerra), dominio (Aulo Plauzio). Questa serie non intende presentarsi come una visione dell’epoca romana, ma pone l’accento sull’elemento mistico dei celti, le loro credenze, chiedendo ai propri personaggi di mostrare quella sensazione di fede mistica che, per il periodo, era l’elemento essenziale di una struttura sociale profondamente tribale. Da qui anche il contrasto con la mentalità schematica ed ordinata dei romani, in cui anche il rapporto con il sacro era finalizzato ad una concretezza sociale. In tal senso, va notato come Aulo Plauzio perda la sua sicurezza proprio nello scontro non con i guerrieri, ma nel trovarsi faccia a faccia con l’influenza terrena degli dei celtici.

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Britannia parte decisamente in quarta, forse un po’ troppo, puntando poco sulla cura dei singoli personaggi, fatta eccezione per i tre principali, cercando di gettare lo spettatore in modo brusco nell’ambientazione. Il rischio è di confondere chi segue la vicenda, generando perplessità e poco interesse, un pericolo che deve esser scongiurato a partire dal prossimo episodio.