Star Trek Discovery: Nella foresta mi addentro – Recensione

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Star Trek Discovery entra in pausa con un episodio decisamente interessante

Il momento tanto atteso è giunto. Star Trek Discovery ha raggiunto il mid season finale, la pausa all’interno della prima stagione che ci terrà lontani dall’equipaggio della Discovery fino al prossimo gennaio. Questa tradizione americana ormai ha contagiato sempre più serie, non ultima la celebre The Walking Dead, ed è divenuta una vera e propria tradizione.

Nella foresta mi addentro è, all’interno di Star Trek Discovery, il punto più interessante per iniziare una pausa. Profondamente a legato al precedente episodio, Si vis pacem, para bellum, la nona puntata della serie mette l’equipaggio della Discovery di fronte ad un dilemma morale: abbandonare i Pavhani ad un destino certo per mano dei Klingon, o cercare di abbattere il nemico, infliggendo un duro colpo alla flotta nemica?

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La decisione sembra venire imposta dall’alto, con un comando che impone alla Discovery il rientro in una zona sicura, lasciando i pavhani a resistere fino all’arrivo di una flotta di supporto. Peccato che Lorca non sia così avvezzo a seguire gli ordini.

Anche in questo episodio di Star Trek Discovery, Gabriel Lorca non si smetisce. Per me, resta il personaggio migliore dell’intero serial finora. Il suo atteggiamento non è classificabile secondo standard classici di chi siede sulla poltrona di comando in Star Trek, Lorca è un’identità completamente nuova, magari vagamente percepita in Picard in Primo Contatto (nella sua ossessione per sconfiggere i Borg), ma raggiunge una completezza incredibile. In certi momenti sembra un moderno Achab ossessionato dalla vendetta o dalla voglia di combattere, in altri lascia trasparire un senso di onore e di protezione per la Federazione che lo porta a spingersi in meandri dell’anima eticamente discutibili.

La presa di Lorca sul pubblico funziona proprio per questa doppiezza imperscrutabile, magistralmente reasa da Jason Isaac. Prendo ad esempio il discorso con cui sprona Stamets a realizzare il folle piano per carpire il segreto dell’occultamento klingon; il modo in cui circuisce l’interesse dell’ingegnere, i tasti che preme nell’animo di Stamets sono colpiti con precisione chirurgica, intenzionalmente. Potrebbe sembrare un discorso da capitano che ispira i propri uomini, ma possiamo essere completamente sicuri che non ci sia una maliziosa strategia nel suo intento? Ed ecco il fascino del personaggio, il saper lasciare lo spettatore nel dubbio, mantenendo un’aria di mistero.

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Nella foresta mi addentro è il punto di svolta della stagione, non sono all’interno della macrotrama, ma anche per la costruzione dello spessore di alcuni personaggi. In particolare Ash Tyler viene descritto in modo intimo e spietato, presentando un uomo profondamente fiaccato da esperienze passate (la prigionia) e con un inquietante atto finale in cui la sua relazione con L’Rell lascia intendere che nei prossimi episodio possa succedere qualcosa di inatteso.

Ugualmente coinvolgente il lavoro svolto su Stamets, sempre più vero motore della Discovery. Anthony Rapp è assurto alle cronache più per lo scandalo molestie che sta investendo Hollywood, ma la sua interpretazione dello scienziato in Star Trek Discovery è intensa, ben eseguita, con una buona tensione emotiva che, specie in questo episodio, riesce a coinvolgere gli spettatori.

Il finale di questo episodio, e gli eventi a cui abbiamo assistito (tra cui la liberazione della Cornwell e la ‘cattura‘ di L’Rell), consentono di prenderci una pausa e poter dare una prima valutazione complessiva di questi episodi, anche in relazione al classico canone di Star Trek. Tralascerei le valutazioni ormai arcinote sull’aspetto dei Klingon e l’aderenza tecnologica alla tradizione di Star Trek, concentrandomi maggiormente sullo spirito dell’opera di Gene Roddenberry.

La prima serie di Star Trek era figlia del suo tempo, rappresentava un sogno in cui differenze di religione o razza non fossero altro che retaggi del passato. Persino i nemici, anche i più acerrimi, avevano dei tratti positivi che riuscivano ad emergere, l’unico ostacolo era uno: la comunicazione. Kirk e ancora di più Picard in seguito tentavano di usare la forza come ultimo rimedio, potendo anche ragionare da un’ottica di una Federazione ben salda e mai realmente coinvolta in conflitti.

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Star Trek Discovery si discosta da questa linea guida, ma è sinonimo di perdita dello spirito di Star Trek? Onestamente, ora non ne sono più così sicuro come in precedenza. Siamo di fronta ad un’epoca storica in cui terrore e nemico sono parole quotidiane, viviamo in una società fatta di sfiducia verso l’altro e di violenza. Se nel 1966 il mondo era sull’orlo della guerra, oggi la guerra, seppure lontana dalle nostre case, arriva quotidianamente sui telegiornali. Star Trek Discovery, come in diversi altri aspetti, ha cercato di portare lo spirito trekkie nel contemporaneo, se in passato lo ha fatto puntando alla speranza, in questo caso lo sta facendo mostrando anche negli orrori della guerra il meglio dello spirito umano,

Nella foresta mi addentro parla di sacrificio, di voglia di proteggere gli indifesi.Anche di speranza, se vogliamo, ma li adegua all’atmosfera bellica del momento storico di Star Trek. A ben vedere, il senso di speranza che si respira nella Serie Classica può esser visto come la conseguenza di un percorso arduo e sfiancante vissuto in questa guerra, la sicurezza mostrata da Kirk è figlia dei sacrifici e degli incubi vissuti dai protagonisti di Star Trek Discovery.

Per giudicare la linearità di Star Trek Discovery all’interno della saga complessiva di Star Trek, al netto del gusto personale, sarebbe meglio attendere l’interezza della serie, vedere come la macrotrama saprà valorizzara l’appartenenza a questo universo narrativo, senza avere preconcetti ma cercando lo spirito vero di un’esperienza trekkie. Lo confesso, inizialmente ho faticato, ancora troppo legato al mio ricordo di come era vedere Star Trek anni fa, alle mie prime esperienze sulla Enterprise, ma con l’avanzare degli episodi, Star Trek Discovery ha saputo mostrare pian piano una sempre maggior sensazione di esser nella Federazione Unita dei Pianeti. E ora aspetto con ansia la seconda parte di questo viaggio.

Tai nasha, no karosha