Zagor 624: L’attacco dei ninja – Recensione

Zagor prosegue la sua avventura in tre parti che vede il ritorno del samurai Takeda

Da qualche giorno è in edicola il nuovo albo di Zagor intitolato L’attacco dei ninja, seconda parte di una storia in tre atti dedicata al ritorno del samurai Takeda.

Ai testi troviamo Jacopo Rauch, ormai uno sceneggiatore cardine della collana, coadiuvato ai disegni da Massimo Pesce, artista con ben due decenni di militanza fra le pagine dello Spirito con la Scure, il personaggio della Sergio Bonelli Editore che dal 1961 è ininterrottamente nelle edicole.

L’albo di giugno, intitolato Il ritorno del samurai, ha aperto le danze in maniera ottimale, introducendo il lettore alla vicenda con il giusto ritmo e senza fretta. Abbiamo fatto la conoscenza di mister John Meylin, armatore che ha in ballo un grosso affare con il Giappone, all’epoca in fase di apertura dopo un’epoca di isolazionismo perenne.

Meylin si scopre essere il datore di lavoro di Takeda, il ronin che anni prima aveva giurato di uccidere Zagor per vendicare la morte del proprio signore, i principi Minamoto, giuramento poi lasciato in sospeso perché quest’ultimo aveva salvato la giovane moglie di Takeda. Purtroppo, sull’incontro tra John Meylin e l’alto dignitario giapponese in visita negli USA incombe la minaccia di un gruppo di terribili ninja.

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Zagor L’agguato dei ninja – Copertina

Cominciamo subito con lo sgombrare il campo da qualsiasi dubbio: il secondo albo di questa trilogia rafforza quanto di buono è stato fatto nel volume precedente e apre la strada ad un finale con i fiocchi che, come suggerisce l’evocativa copertina di Alessandro Piccinelli, sarà all’insegna della pura epicità.

Breve, ma esaustiva, sinossi dell’albo: Meylin e Takeda si incontrano con l’ambasciatore giapponese e trascorrono insieme un viaggio su un battello lungo il fiume, viaggio purtroppo funestato dall’attacco di un gruppo di letali ninja affiancati ad un gruppo di banditi guidati dal guercio Shaft. Scopo dei ninja è quello di far fallire l’incontro, ma sulla loro strada troveranno l’inossidabile Zagor.

Tac, tac e ancora tac. Una cosa che più semplice e facile di così si muore.

Tre righe abbondanti per sintetizzare quello che di essenziale accade nelle 94 pagine che compongono l’albo.

Si rassicurino i fan del buon Rauch, questa non è assolutamente una critica, anzi. Rauch si dimostra abilissimo nel gestire il tempo della narrazione, bilanciando adeguatamente il ritmo e arrivando al finale senza alcuna fretta, lasciando semplicemente alla storia il compito di fare il proprio corso.

Massimo Pesce si conferma un validissimo disegnatore che sa fare molto bene il proprio mestiere; non è, e non sarà mai il mio autore preferito, ma in fondo chi se ne importa! Ha uno stile leggibile, non appesantisce il disegno senza motivo, ha un tratto diretto ed evocativo, la regia delle scene è sempre ottima e in generale è uno di quegli autori di una che stanno nel loro studio chini a disegnare e non vanno troppo in giro a fare le superstar alle fiere del fumetto.

Avercene di gente così.

Con mio sommo stupore mi accorgo che siamo già arrivati alla fine di questa recensione. Certo, avrei potuto dilungarmi molto di più e infarcire il discorso sulle chicche della cultura orientale che Rauch dissemina nel corso dell’albo o sulla qualità (ottima) delle scene d’azione disegnate da Pesce, ma sapete che c’è? Non ho la minima intenzione di farlo.

Non lo farò per il semplice motivo che questo albo non ne ha davvero bisogno perché, nonostante non sarà mai un capolavoro del fumetto italiano o una storia indimenticabile per Zagor resta comunque un albo incredibilmente valido, dal buon ritmo, baciato da ottimi dialoghi e concretizzato molto bene da parte del disegnatore.

Basta con gli elogi, basta con i presunti capolavori che durano lo spazio di un mattino.

Viva le storie scaccia-pensieri che ti leggi serenamente all’ombra in un caldo weekend estivo.