Bitter Harvest: il resoconto di un genocidio dimenticato – Recensione

Bitter Harvest

Bitter Harvest, un film che prova a denunciare la tragedia ucraina attraverso l’amore e il potere dell’arte

Il dovere di un artista è denunciare la realtà.

Nel 1991 vennero trovati i primi documenti riguardanti l’Holodomor (il genocidio ucraino), tenuti nascosti per più di mezzo secolo dalle autorità sovietiche.

Il termine Holodomor deriva da un’espressione ucraina che significa “infliggere la morte attraverso la fame” e si riferisce ai tragici eventi chedal 1929 al 1933, per colpa della politica repressiva staliniana, unita alla carestia, causarono milioni di morti.

Bitter Harvest è dedicato a tutte le vittime di quella tragedia.

Cecità e propaganda

La trama è semplice, principalmente poggiata sulla storia d’amore tra il giovane artista Yuri (Max Irons) e Natalka (Samantha Barks).

La loro vita viene stravolta con l’arrivo dell’Armata Rossa e l’inizio della politica repressiva. La collettivizzazione dei terreni agricoli priva i contadini di ogni mezzo di sostentamento e ogni tentativo di ribellione porta a persecuzioni,deportazioni in Siberia o addirittura alla morte.

L’idea di partenza è buona: l’intento del regista George Mendeluk è quello di mostrare al pubblico la pericolosità delle parole mal interpretate e il potere che può avere la propaganda politica.

La sanguinosa e repressiva politica staliniana, infatti, non fu appoggiata solo dai fedeli al regime, ma soprattutto dagli strati più bassi della popolazione, completamente assuefatti dagli ideali e dagli slogan orecchiati per strada.

Una delle sfide più grandi per Yuri è proprio questa: cercare di convincere i propri amici, artisti e sognatori come lui, a denunciare la realtà dei fatti anche se nessuno sembra notare i cadaveri per le strade e tutti si accorgono troppo tardi dei propri errori.

L’arte usata per svegliare le coscienze

Dal punto di vista tecnico, la pellicola è stata girata molto bene: la fotografia è buona e la scenografia fa entrare lo spettatore in un’Ucraina magica e folkloristica, quasi fiabesca in uno splendido contrasto con la tragedia che si sta abbattendo sulla regione.

Stona però l’amore smielato tra Yuri e Natalka, un eccessivo e goffo tentativo di contrastare con un sentimento puro ed innocente la violenza e la disperazione. Si ha l’impressione che la tragedia faccia solo da contraltare tragico alle vicende dei due amanti, quando invece è l’esatto contrario.

Mentre Natalka sembra essere una figura piuttosto “piatta”, il personaggio di Yuri è stato creato con attenzione: è un artista che vorrebbe essere un guerriero come suo nonno, ma inizialmente non è portato per lo scontro fisico.

Ecco allora che tenta di lottare contro l’oppressione sovietica non con le armi, bensì con la libertà di espressione (libertà che durerà molto poco): è attraverso l’arte che si cerca di svegliare le persone e, allo stesso tempo, di fuggire dalla dura realtà.

La mietitura del diavolo: una tragedia che rimane nascosta

Lo sceneggiatore Richard Bachyncky Hoover concepì l’idea per il film durante una visita in Ucraina nel 1999, dove scoprì che l’Holodomor non era ancora stato rielaborato in un film da nessuno.

L’idea non piacque però al governo ucraino e si dovette aspettare un investitore canadese, anch’egli di origine ucraina, il quale finanziò il film con ben 21 milioni di dollari.

Originariamente, il titolo doveva essere The Devil’s Harvest, ovvero la mietitura del diavolo.

L’Holodomor è stato riconosciuto come crimine contro l’umanità nel 2008 dal Parlamento europeo, ma solo 16 nazioni lo hanno riconosciuto come genocidio, nonostante le tragedia ucraina conti tra i 7 e i 10 milioni di vittime.

Il film punta il dito su una sorta di tentativo di dimenticare la tragedia e seppur la dittatura staliniana sia ormai un lontano ricordo, si ha l’impressione che ci sia una certa paura di mostrare al mondo la verità.

Perfino il governo ucraino, nonostante abbia istituito un giorno ufficiale di commemorazione, sembra restio a far trapelare notizie su questa ferita ancora aperta.

In conclusione in Bitter Harvest, ci sono elementi che forse sarebbe stato meglio comprimere (come il romanticismo, stucchevole e troppo presente) a favore di un’analisi più profonda di questa triste e tragica pagina di storia dimenticata, ma il risultato finale è un film gradevole, soprattutto in considerazione del fatto che le atrocità vengono mostrate con cruda realtà senza troppi fronzoli.

Il messaggio che trapela è chiaro e colpisce dritto allo stomaco, anche se non è stato ancora appreso dalla maggioranza delle persone: rischiamo tutti costantemente di essere la causa della nostra stessa rovina, per questo bisogna imparare dai passi falsi di coloro che ci hanno preceduti.