Arrival – La recensione sul primo contatto alieno di Denis Villeneuve

Arrival Recensione

Arrival – La Recensione

Era da tempo che aspettavo l’uscita di questo particolare film del regista franco-canadese Denis Villeneuve, a mio avviso uno dei più promettenti del panorama cinematografico odierno. Nominato agli Oscar 2017 come miglior film, Arrival segna il passaggio (definitivo?) di Villeneuve alla fantascienza, strizzando l’occhiolino ai classici del passato di Steven Spielberg pur mantenendo una forte personalità.

Tratto dal libro best-seller di Ted Chiang, Story of Your Life (Storie della tua Vita), il film racconta il primo contatto dell’umanità con una civiltà aliena, giunta sulla terra su 12 diverse navi atterrate in altrettanti luoghi differenti del pianeta. Il pensiero potrebbe subito andare ad Independence Day, di cui abbiamo potuto ammirare il sequel giusto l’anno scorso, ma sarebbe un errore. In Arrival non vedrete esplodere la Casa Bianca, non ci saranno scene d’azione e tutto il film scorrerà sotto i nostri occhi con calma (a volte troppa?), permettendoci di analizzare quello che stiamo vivendo e vedendo sullo schermo.

Ad accompagnarci lungo questo percorso di introspezione personale, scatenato da un evento tanto eccezionale come quello del primo contatto alieno, troviamo Louise (Amy Adams) e Ian (Jeremy Renner), una linguista e un matematico intenzionati a scoprire un modo per comunicare con i visitatori venuti dallo spazio. Il tutto viene proposto come fosse un’ipotesi plausibile di quello che potrebbe realmente accadere nel caso in cui E.T. decidesse di presentarsi alla nostra porta, con un ovvio intervento militare che, per una volta, tenterebbe forse un approccio più diplomatico al “problema”.

Arrival

Tutto ruota attorno alla domanda fondamentale che troneggia anche sulla locandina del film: “Perché sono qui?“. La risposta non sarà così scontata come potremmo credere, ma la cosa più difficile sarà come porre la domanda. Attraverso ipotesi e fortunate intuizioni, Louise cercherà di imparare il complesso linguaggio alieno, scoprendo che comunicare con il resto dell’umanità, divisa in nazioni spesso in disaccordo, sarà il compito più complicato. Al suo fianco ad aiutarla ci sarà Ian, esperto matematico che rimarrà affascinato dall’approccio utilizzato dalla collega linguista.

La Adams è la chiave di volta dell’intera pellicola e, anche se sorprendentemente non è stata candidata agli Oscar 217 come miglior attrice, sorregge l’intero peso del film sulle sue spalle, convincendo. Meno incisiva è invece la parte di Jeremy Renner. Costretto al ruolo di spalla di Louise, Ian sembra essere uno spettatore tanto quanto lo siamo noi, seduti sulla nostra comoda poltrona del cinema.

Pochi, se consideriamo il genere, gli effetti in CGI utilizzati in Arrival: giusto lo stretto necessario per mostrarci navi e alieni che, comunque, sono stati realizzati bene. Toccanti ed emozionanti i momenti riguardanti la vita privata di Louise (solitamente non amo flashback ed espedienti simili, ma qui sono stati pesati ed utilizzati con molta astuzia). Credibile è anche il palcoscenico montato per sorreggere la storia, che risulta essere coerente e scorrevole per tutta la durata del film, diventando leggermente prevedibile solo negli ultimi atti.

Visivamente Arrival è un prodotto come non se ne vedevano da anni, efficace soprattutto nei momenti in cui un’immagine vale più di mille parole; e non è da meno il comparto audio che, più che nelle musiche, brilla negli effetti sonori.

A causa della sua stessa natura, il film non si lascerà probabilmente vedere una seconda volta, essendo un prodotto “maturo” incentrato sull’emozione della scoperta, ma il primo contatto con Arrival sarà speciale.